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Una donna violenta
Era l’inizio di un autunno come un altro quando mi accadde il fatto più singolare di tutta la mia vita. Quell’anno mi ero ritrovata a rimpiangere l’estate più degli altri anni, quella calda e sensuale stagione, che trovava sempre in me un’entusiasta seguace. Una sera, mentre uno strano vento soffiava tra le deboli foglie degli alberi, me ne andavo al lavoro a piedi, incaricata di aprire la pizzeria d’asporto in cui lavoravo. Non ne ero molto felice, perché ritenevo che il mio titolare si stesse un pochino approfittando della mia disponibilità, tuttavia fu una fortuna per me trovarmi da sola in quell’occasione, perché i miei colleghi si sarebbero fatti quattro maligne risate nel vedere la sorpresa che mi attendeva. Appena tirata su la serranda della pizzeria non mi accorsi della busta bianca abbandonata sul gradino, stavo addirittura per pulirmici i piedi. La afferrai sbuffando, convinta si trattasse dell’ennesima bolletta, ma quasi mi cadde a terra per l’emozione quando vidi scritto sul retro “per Elisa”. Turbata ma anche incuriosita, mi precipitai ad aprirla e la lessi tutta d’un fiato. “Da un po’ di tempo non riesco a toglierti gli occhi di dosso, ci ho provato, ma non ce la faccio. Se la cosa ti infastidisce o se sei già impegnata, butta immediatamente questa lettera e fai finta di non averla mai ricevuta. Se invece la cosa ti intriga o ti incuriosisce vediamoci domani pomeriggio alle tre alla casetta di legno nel bosco, non lontano da casa tua. Con dedizione e desiderio. G.” Non ci potevo credere, un cliente della pizzeria mi osservava da chissà quanto tempo e si era preso la briga di scrivermi una lettera, la cosa aveva dell’incredibile! Leggere quelle poche righe subito prima di iniziare a lavorare non fu un bene, perché non feci altro che pensarci per tutta la sera, mentre i clienti mi osservavano dubbiosi, nel vedermi così distratta. Per fortuna, come sempre arrivò il momento di tornare a casa, dove però continuai ossessivamente a pensare alla lettera. Non solo, ma anche all’idea di recarmi alla casetta nel bosco per vedere chi fosse il misterioso cliente che mi desiderava così tanto. La cosa incredibile era che, proponendomi di vederci il giorno dopo, lo spasimante aveva addirittura azzeccato il mio giorno libero. Tutto ciò mi inquietava, ma una parte di me iniziava a considerare l’idea di non mancare all’appuntamento. Il mattino seguente mi svegliai più stanca che riposata, avevo dormito male a causa di quel chiodo fisso: chissà cosa sarebbe successo recandomi a quell’appuntamento! Anche la mattinata trascorse con il tormento, ero terrorizzata e stuzzicata al tempo stesso. Arrivarono le due e mezza del pomeriggio e decisi che fosse il caso di andare, in fondo che avevo da perdere? Sarebbe bastato tenermi pronta alla fuga e col cellulare a portata di mano, qualora si fosse trattato di uno psicopatico. Così, con le gambe leggermente tremanti di emozione, mi incamminai in direzione del bosco, i cui colori autunnali mi ricordarono ancora una volta l’addio dell’estate. Le foglie frusciavano allegramente al susseguirsi dei miei passi, mentre mi addentravo nell’oscura selva, le cui fronde erano violate qua e là dai raggi di un sole tiepido, in una sorta di penetrazione panica. Camminai per qualche minuto, finché non vidi comparire d’un tratto la vecchia casetta di legno dall’aspetto cadente, quello stesso rudere che guardavo con curiosità fin da bambina. Mi soffermai a scrutarla per un po’, dopo di che mi rimisi in moto per raggiungerla, visto che ormai mancava poco alle tre. Non avevo visto nessuno arrivare, quindi se c’era qualcuno doveva già essere dentro. Raggiunsi il rudere semicoperto di edera scura e dopo aver sospirato profondamente bussai. Non si udiva il minimo rumore dall’interno della casa, mentre attendevo di vedere la porta aprirsi. In quel breve istante la mente mi si riempì di dubbi e paure. Cominciai a chiedermi che diavolo ci facessi lì e per quale motivo una persona bramosa di incontrarmi non mi potesse lasciare il suo numero di telefono, anziché propormi un incontro clandestino. Tornai sui miei passi, pronta a darmi alla fuga, quando sentii la porta alle mie spalle aprirsi con un cigolio. Mi voltai di s**tto, ma ancora non vidi nessuno sporgersi, così mi avvicinai di nuovo. Fu allora che sbucò dalla porta socchiusa il viso di una ragazza dalla pelle nera e dai lunghi capelli crespi che le ricadevano su una spalla nuda. “Oh, scusa”, dissi, completamente disorientata, “credevo ci fosse un’altra persona, scusa tanto, me ne vado”. Detto questo mi voltai e alzai i tacchi, ma non feci in tempo a fare più di tre passi che la ragazza mi rispose. “Sono io”, disse a voce bassa. Mi si gelò il sangue nelle vene. “Tu… mi hai scritto la lettera?”, chiesi, tornando a posare lo sguardo su di lei. “Si, non vuoi entrare?”, mi invitò. “Io… non lo so”, risposi, confusa ma sentendomi in qualche modo a mio agio. Mi avvicinai e finalmente la riconobbi, era Giada, una cliente della pizzeria, sul momento non l’avevo capito, abituata com’ero a vederla tutta d’un pezzo, coi capelli raccolti e un’aria quasi arcigna. Le sue scure e carnose labbra sorrisero, rivelando denti color avorio. Mi lasciai rapire da quel sorriso e accettai l’invito. La porta si richiuse alle mie spalle con il solito cigolio, mentre la mia bocca si spalancava in un’espressione di stupore. L’interno della casetta era tutt’altro che un rudere, sembrava arredata di recente, con gusto semplice ma elegante, in stile chalet di montagna. “Ma… che posto è questo? Io credevo fosse abbandonato da decenni…”, balbettai. “Invece è sempre stato così”, sorrise Giada. Mi voltai a guardarla, scoprendo così una bellezza che mai avrei pensato di riconoscere e apprezzare a tal punto in una donna. I lunghi capelli nero corvino sfioravano le spalle nude, che disegnavano due curve perfette. La sua pelle color cioccolato al latte sembrava di un altro mondo, levigata e vellutata come un tessuto pregiato. Braccia e gambe leggermente muscolose sbucavano da un vestitino giallo, colore accecante, sommato a quello della moquette rossa. “Quindi, eri tu la G. della lettera…”, dissi sottovoce. “Eh, si”, sorrise Giada, “ti dispiace?”. Mi bloccai a fissarla in silenzio per qualche secondo. “Non l’avrei mai detto, ma… no, non mi dispiace”, risposi, esibendo probabilmente un sorriso ingenuo. “Allora siediti”, disse, indicandomi un divano rosso fuoco. “Va bene”, risposi e mi sedetti senza indugi sull’accogliente divanetto. “Da quanto… mi… pensavi, insomma?”, balbettai. “Credo dalla prima volta che sono entrata in quella pizzeria, sarà stato… circa due anni fa”, confessò Giada con un sorriso imbarazzato, “naturalmente, come puoi vedere, mi ci è voluto un po’ per decidermi”. “Si”, sussurrai, ipnotizzata dai suoi occhi neri, “meno male che l’hai fatto”. Mi stupii nel sentirmi dire quelle parole, ma neanche più di tanto, cullata dall’inedita sensazione di benessere che avevo addosso. Mi sentivo bene, in pace con me stessa e con il mondo guardando quegli occhi magnetici, incastonati in un viso dal colore prezioso. Percependo il mio apprezzamento per lei, Giada si gettò verso di me con un movimento felino e posò le carnose labbra sulle mie. Ci fu solo quel lieve contatto, lento, intenso, dopo di che la ragazza si staccò da me e tornò a guardarmi negli occhi, come a chiedermi se avessi provato qualcosa con quel bacio. “Si”, risposi, nonostante non me l’avesse chiesto verbalmente. Il suo sorriso divenne disteso e sereno, il suo corpo sembrò rilassarsi, diventando più sinuoso. Giada mi prese dolcemente una mano e mi invitò con lei sul pavimento, dove ci attendeva ora un soffice tappeto bianco. “Ma io…”, obiettai, spaventata da quanto stava per accadere. “No, quello che ti frena in questo momento è solo un riflesso di ciò che ti hanno messo in testa per tutta la vita, noi siamo molto più libere di così”, sorrise. Fu come se quelle parole mi attraversassero l’intero corpo, in una sorta di penetrazione totale. Accettai di seguirla a braccia aperte su quel tappeto ovattato, memore forse di intensi momenti d’amore passati, e mi lasciai ancora una volta toccare da quelle labbra, che però stavolta mi travolsero. La sua lingua infuocata entrò nella mia bocca e si strofinò sulla mia, facendomi sfiorare le stelle all’improvviso. Il mio corpo si afflosciò sul tappeto, sotto l’influsso del sensuale potere che Giada aveva su di me. Mi solleticò il collo con un dito, poi lo baciò e ne succhiò avidamente, ma sempre con dolcezza, una piccola superficie. La sua mano quindi cercò alla cieca i bottoni della mia felpa e lentamente li sfilò, per poi intrufolarsi sotto il tessuto, strofinandosi quindi su un seno. Con una serie di movimenti lenti ma decisi, Giada mi spogliò completamente e se ne rimase per un attimo in piedi, spogliandosi lei stessa, a guardarmi mentre incrociavo le braccia attorno al petto, intimorita ma anche eccitata come non mai. I suoi seni dal capezzolo pungente color caffè non mi ricordavano nulla che avessi già visto in precedenza. Mi venne un’improvvisa voglia di baciarli e carezzarli, delicatamente. Un triangolino nero primeggiava tra le gambe dalle cosce muscolose e levigate. Sembrava una divinità nera. Nel vederla piegarsi su di me sobbalzai di emozione e ansimai precocemente al contatto con la sua pelle bollente. Chiusi gli occhi ed ebbi l’impressione per un istante di trovarmi immersa in un paesaggio tropicale, con lo sguardo rivolto ad un cielo blu, che gradualmente si infuocava all’orizzonte in una serie di sfumature rosso e arancio mozzafiato. Riaperti gli occhi, ritrovai la dea, pronta a baciarmi e a regalarmi nuovi emozionanti viaggi nell’eros. Incrociando le gambe in un modo particolare, sfiorò il suo pube contro il mio, mentre le mie mani accoglievano i perfetti seni in una morbida e calda stretta. Mi sembrò che l’inguine mi prendesse fuoco, mentre i suoi peli si strofinavano contro i miei. Le nostre mani si incontrarono e si accarezzarono vicendevolmente, poi scesero lungo l’addome e, raggiunto il colle di Venere, si infilarono indiscrete tra i nostri inguini accalorati. Giada mi guardava negli occhi raccontandomi con lo sguardo storie di luoghi lontani e felici, condividendo memorie di un passato remoto eppure in qualche modo molto vicino. Le nostre mani continuavano ad andare avanti e indietro sulla pelle delle nostre grandi labbra bagnate, esattamente com’erano bagnate di sudore le nostre fronti. Presto giunse l’umido risvolto di quel piacere, a sedare il fuoco che nasceva al nostro intimo contatto. Io non ero più io, lei non era più lei, tutto ciò che rimaneva era un lungo, interminabile piacere, che mai avrei vissuto in seguito, se non nel ricordo di quell’esperienza. Mentre tutto questo lentamente sfumava, vidi allontanarsi anche lei da me, un’ultima volta con quel sorriso luminoso, diventando gradualmente sfocata. Poi non so che accadde, non ricordo più nulla. A dire la verità, non so se quel fatto si collochi nella realtà, nel sogno o in qualche altra dimensione possibile. Comunque sia, in me si è verificato e ha lasciato una traccia indelebile, che ha reso il mio corpo e il mio mondo dei luoghi migliori in cui vivere.
9
Racconto d’inverno
Nina respirava a pieni polmoni l’aria profumata di neve, procedendo a passo lento lungo il sentiero che conduceva al bosco. Giunta ad un ponticello si soffermò per guardarsi attorno sfiorando con le dita, nascoste sotto i guanti neri, lo strato di neve che ricopriva la staccionata del ponte. “Sono molto fortunata”, pensò, “chi vive lontano da qui non ha idea di quello che si perde”. L’atmosfera era gelida e immobile, gli unici suoni udibili erano i tonfi della neve che cadeva di tanto in tanto da qualche ramo d’albero. Nina si sentì improvvisamente innamorata, forse dell’inverno, forse della vita stessa. Riprese il passo, decisa a seguire il sentiero fin dentro il bosco. “Non ci sono impronte sulla neve”, sussurrò tra sé e sé, “sembra che io sia la prima a passare di qui”. Ora lei si avvicinava al bosco e il bosco si avvicinava a lei come volesse accoglierla col manto bianco di cui era rivestito. Giunta ai suoi margini, dove il sentiero si confondeva con le forme create a terra dalla neve, respirò a fondo ancora una volta. Si immerse poi tra le piante spoglie e continuò il suo viaggio in quello che ora sembrava un mondo in cui il ghiaccio avesse trionfato su tutto il resto. Non le passò nemmeno lontanamente per la testa l’idea di potersi perdere, eppure era stata più volte messa in guardia sulla pericolosità dei boschi, dove tutti gli alberi sembrano uguali. Ma addentrandosi più del previsto e svoltando di tanto in tanto qua e là accadde proprio questo. Nina non aveva più la benché minima idea di quale direzione prendere per tornare indietro e sapeva bene che quello in cui si trovava non era propriamente un boschetto. Tuttavia, riprese il cammino, guidata da quel senso di innamoramento che provava prima. Non passò molto tempo che comparve ai suoi occhi una casa. Sembrava una di quelle graziose baite di montagna che fino ad allora Nina aveva visto solamente in foto. “Chissà se è abitata”, pensò, ma immediatamente si accorse che alcune finestrelle emanavano luce. “Peccato non conoscere chi ci abita”, disse, e fece marcia indietro. Proprio allora sentì un rumore e voltatasi scorse una persona sulla porta dell’abitazione. Vedendo distintamente che la figura faceva un gesto di saluto si avvicinò. “Temo di essermi persa”, disse a voce alta ridendo. Dalla risata della persona sull’uscio capì che si trattava di una donna. Una bella donna, poté appurare quando fu abbastanza vicina. “Entra pure a prendere un tè caldo, ti starai congelando lì fuori”, disse la donna. “La ringrazio, accetto volentieri”, rispose Nina dopo una brevissima esitazione. L’interno era incantevole, tutto in legno. L’odore di resina si mescolava a quello del fumo che usciva da un caminetto crepitante. “Ma lei vive qui?”, chiese Nina. “Eh si”, rispose la donna, “ti piace?”. “Da impazzire”, continuò lei. Sembrava però che a sua volta la donna impazzisse per lei, la guardava come si può fissare incantati un qualche miracolo della natura. “Perché mi guarda così?”, chiese Nina incuriosita, ma senza paura. “Trovo che tu sia molto bella”, rispose la donna. “La ringrazio”, arrossì la ragazza sorseggiando dalla tazza che aveva ricevuto. “Dammi pure del tu”, sorrise con sguardo trasognato l’altra. Il tè era squisito, Nina non aveva mai sentito una tale miscela di aromi di sottobosco. “Dovrei andare, lei saprebbe… voglio dire, tu sapresti dirmi come uscire dal bosco?”, chiese. “Certo, uscita di qui vai a sinistra e cammina fino a trovare una grande quercia, la riconoscerai di sicuro perché è enorme. Da quel momento gira ancora a sinistra e dopo un centinaio di metri sarai fuori”, la rassicurò la donna. Nina si alzò ringraziandola e le si avvicinò per stringerle la mano. L’imprevedibile signora però le afferrò il viso e la baciò delicatamente sulle labbra. Nina rimase turbata, affascinata. La sua preoccupazione di ritrovare la strada svanì e si sostituì alla voglia di rimanere lì con lei. La donna la abbracciò e lei provò di nuovo quel senso di innamoramento verso la vita e la natura che l’aveva accolta entrando nel bosco, solo che ora era rivolto a quella figura femminile dalle forme rotonde e sensuali. La donna le posò le mani sui fianchi e la tirò a sé. Nina sentì i seni premersi morbidamente contro i suoi e sobbalzò dall’emozione. “Ma chi sei?”, chiese con un filo di voce. “Ha importanza?”, rispose l’altra. Nina si avvicinò alla sua bocca e si fece baciare di nuovo. Non aveva mai baciato una donna, o forse si, al momento la sua mente era offus**ta da ciò che sentiva dentro. Le due si sedettero sul divano, una di fianco all’altra, e qui si sfiorarono il viso reciprocamente con le mani. I polpastrelli di Nina balzarono sui capezzoli dell’altra le cui forme emergevano da sotto la lana. Il divano su cui sedevano dava le spalle a una finestra. Voltandosi la ragazza si rese conto che aveva ripreso a nevicare, ma non le importava, sarebbe potuta rimanere in quella casa per un tempo indefinito. Si stese sul divano e accolse su di sé il corpo caldo della donna, i cui bruni capelli le solleticarono il viso, inducendola a ridere divertita. Una mano dell’altra finì inavvertitamente tra le sue gambe che lentamente si divaricarono per accoglierla. La stessa mano si infilò sotto i pantaloni e si strofinò a lungò sulle mutande, mentre Nina sprofondava tra i morbidi cuscini del divano, avvolta da una vampata di piacere, che aumentò quando la mano della donna si infilò sotto le mutande finendo con lo strofinarsi sulla nuda pelle. La respirazione di Nina aumentò in velocità e frequenza, mentre il viso della sconosciuta si schiacciava tra i suoi seni infuocati. “Cos’hai messo in quel tè per farmi fare questo?”, chiese la ragazza tra un sospiro e l’altro. “Assolutamente niente”, rispose sicura la donna, “stai facendo tutto seguendo unicamente la tua volontà”. Nina chiuse gli occhi e iniziò a gemere sentendo che le dita della misteriosa signora entravano dentro di lei con un savoir- faire che nemmeno lei stessa era mai riuscita ad ottenere. “Hai ragione, sono io a non essere più la stessa”, concluse Nina e si lasciò completamente travolgere dal calore che sentiva sprigionarsi tra le gambe. Strusciando il viso sui suoi seni e la mano nelle sue più intime cavità, la donna la trasportò in un baratro di piacere, dal quale la ragazza avrebbe voluto non risalire. Un ultimo gemito nel toccare il culmine e Nina, nonostante la sua volontà, ritornò alla coscienza. Riaprì gli occhi e si trovò ancora una volta su quel divano, con quella donna sconosciuta eppure così familiare che la abbracciava, mentre fuori silenziosamente continuava a nevicare.
10
Il piacere dell’attesa
Fuori pioveva a dirotto mentre aspettavo impaziente Gianna. Desideravo vederla ardentemente, toccarla, baciarla, leccarla in tutto il corpo. Avevo sete di lei, ma lei non arrivava. Mi chiesi cosa potessi fare nell’attesa, ma non mi venne in mente altro che rimanere lì immobile a fissare la pioggia che scorreva sui vetri in piccoli ruscelli. Sapevo che quando avesse bussato alla porta l’avrei fatta entrare e trovandola tutta bagnata avrei insistito perché si spogliasse subito, per non ammalarsi al contatto coi vestiti fradici. L’avrei avvolta in un grande asciugamano colorato affinché la sua pelle divenisse al più presto asciutta, per poi bagnarla nuovamente con la mia lingua. Immaginando tutto questo il mio desiderio di lei aumentò a dismisura. Sospirai a fondo e cercai di portare il mio pensiero altrove per non tormentarmi inutilmente. Ma non ci riuscii e tornai a pensare a lei. Gianna aveva due piccoli seni, teneri e appuntiti. Amavo toccarli, stavano perfettamente nei palmi delle mie mani. Non avrei potuto sperare di toccare seni migliori dei suoi. Nel momento in cui fosse arrivata l’avrei probabilmente assalita, tanto era forte ormai il mio desiderio. Dopo averla costretta ad estrarre i seni da sotto gli abiti bagnati, li avrei aggrediti con la mia bocca calda e vorace, per leccarli e tormentarne i capezzoli con la punta della lingua, finché lei esausta mi avrebbe pregato di smettere. La mia eccitazione aumentava sempre più immaginando tutte queste delizie, ma Gianna non arrivava. E io attendevo il suo corpo liscio e slanciato, per trascinarlo nel dolce baratro dell’estasi. Le sue cosce avrebbero tremato sotto l’effetto dei miei morsi a****li. Il suo ventre avrebbe gioito alle indiscrete ispezioni della mia lingua serpentina. Tremavo ormai dal bisogno di Gianna, che continuava a non arrivare. I miei sguardi sulla porta silenziosa erano ormai l’eterna ripetizione del medesimo fotogramma vuoto, riempito dal mio solo desiderio di lei. Non potei più res****re, mi slacciai i pantaloni e con un sospiro quasi di sollievo infilai la mano dentro le mie mutande. Le mie dita vennero a contatto con la pelle umida delle labbra sotto la folta peluria. Iniziai a toccarmi per sedare la mia eccitazione, quasi sperando che Gianna arrivasse trovandomi in quella situazione, ideale preludio alle pratiche sessuali più sfrenate. Ma lei non arrivò e io continuai con me stessa. Dopo aver strofinato le dita a lungo mi decisi a farle entrare e uscire velocemente per alcune volte, ma il mio livello di eccitazione era talmente alto che venni nel giro di un paio di minuti. Ciò che da me avevo ottenuto non mi bastò, così continuai ad infliggermi quel piacere che, se dapprincipio rappresentava un semplice ripiego, ora stava diventando l’unico piacere possibile. Ma dopo il quinto orgasmo tornai a pensare a Gianna. Andai ancora una volta alla finestra a guardare la pioggia. Di lei ancora nessuna traccia. Forse non sarebbe mai arrivata, ma io avrei continuato imperterrita ad aspettarla, desiderando ardentemente il suo corpo, sedando di tanto in tanto il dolore dell’attesa con il piacere della mia mano, sperando che prima o poi Gianna entrasse da quella porta.
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Eravamo amiche io e Rebecca
Sola e sconsolata sul mio vecchio divano, aspettavo che Rebecca telefonasse. Mi sentivo fortemente angosciata e il mio rendermi conto che l’ansia che provavo aveva sempre meno a che fare con l’amicizia aumentava ulteriormente l’angoscia. Aveva detto che avrebbe telefonato, ma il mio cellulare era ancora immobile e silenzioso sul tavolino vicino a me. Di tanto in tanto lo fissavo sperando che emettesse qualche suono, ma niente. Improvvisamente sentii suonare il campanello e la mia ossessione per il cellulare mi indusse in un primo momento a credere che fosse questo a squillare. Il campanello suonò una seconda volta, così rendendomene conto mi diressi a malincuore verso la porta, pensando fosse la solita vicina di casa scocciatrice. Aperta la porta mi trovai di fronte Rebecca col viso bagnato di lacrime. Allibita ma felice di vederla, la invitai ad entrare e ad accomodarsi sul divano. Non appena si sedette scoppiò in lacrime senza dire una parola. “Cosa succede”, chiesi timidamente dopo qualche minuto, appoggiandole una mano sulla spalla. Lei continuando a piangere fece cenno con la mano di non volerne parlare. La mia mano prese a carezzarle la spalla su cui poggiava, poi scese lungo il braccio coperto di calda lana. Rebecca singhiozzava, era come avesse qualcosa da dirmi ma non riuscisse in alcun modo a farlo. “Mi vuoi forse parlare di qualcosa?”, chiesi sottovoce. “Si”, rispose a stento dopo alcuni secondi. Ero convinta si trattasse dell’ennesimo sfogo in merito al suo lavoro, anche se mi sembrava evidente che stavolta fosse successo qualcosa di più pesante del solito. Lei invece disse qualcos’altro, una cosa che mi fece sentire decisamente bene. “Non so come dirtelo, ma è inutile che continui a tenermi dentro questa cosa, o la va o la spacca”, esordì, mentre io la fissavo in silenzio. “Io… ti amo”, disse con un filo di voce. Dopo un primo istante di stupore, durante il quale sentii una sorta di brivido lungo la schiena, non potei trattenere una risata di sfogo. La abbracciai continuando a ridere come una pazza mentre lei mi guardava come se effettivamente lo fossi. Infine asciugai le sue lacrime con una mano e le baciai delicatamente le labbra, sotto il suo sguardo instupidito e ormai rasserenato. Abbracciandola sentii il suo corpo abbandonarsi pesantemente sul divano, come se finalmente fosse giunto il momento di un meritato relax. La invitai a stendersi e mi posai delicatamente sul suo corpo caldo. “Ti amo anch’io”, le sussurrai ad un orecchio. Rebecca chiuse gli occhi e mi strinse a sé sospirando. Fu allora che le baciai il collo e glielo leccai con avida voglia di lei, dei suoi sospiri spaventati, di quella pelle ispiratrice di lussuriosi sogni. La baciai nuovamente sapendo che si trattava solamente del primo di una infinita serie di altri baci, che si sarebbero moltiplicati nel tempo. I suoi seni caldi e morbidi mi attendevano sotto il maglione di lana. Ne toccai uno facendo sobbalzare Rebecca dall’inaspettato piacere. Infilai la mano sotto la maglia mentre lei rimaneva immobile ad aspettare che io la trascinassi in un flusso di intenso piacere. E questo io feci, allora per la prima volta e in seguito infinite volte.
Racconto d’aprile
Parte I
Le lacrime scendevano copiose lungo le mie guance mentre Lucia mi teneva le mani, stringendole fra le sue. D’un tratto ne portò una al mio viso bagnato e lo asciugò con un fazzoletto. Rimasi senza fiato quando con l’altra mi sfiorò il seno. La fissai con gli occhi carichi di stupore, quasi a volerle chiedere perché mai avesse aspettato quel momento per mettere le mani su di me, proprio gli ultimi minuti in cui eravamo insieme, prima che mi venissero a prelevare per farmi uscire. Ebbene si, mi trovavo in prigione da una decina d’anni. Io e Lucia stringemmo amicizia solo qualche anno dopo il mio ingresso. Col tempo diventammo più che amiche, non ci perdevamo mai d’occhio. Finché un giorno iniziai a desiderarla. All’inizio pensai fosse la semplice conseguenza dell’astinenza sessuale, per cui essendo ormai rinchiusa lì da molto tempo mi venisse spontaneo rivolgere il mio interesse ad una persona con cui passavo tanto tempo. Poi mi accorsi che in realtà non si trattava solo di questo. L’interesse verso mio marito, che era fuori ad aspettarmi, diminuì fino a scomparire del tutto, insieme alla mia voglia di uscire da quella dannata prigione. L’unica cosa che invece aumentava era il mio desiderio per di lei, che un bel giorno scoprii essere reciproco. Ci trovavamo nell’assolato prato della prigione in cui una volta al giorno avevamo un’ora e mezza di libertà. Trovai dei fiorellini azzurri che non avevo mai visto vicino ad un piccolo stagno e li mostrai a Lucia. Lei mi disse che conosceva quel fiore, ma non ne ricordava il nome. E aggiunse che un fiore così grazioso avrebbe potuto portare il mio nome. Io le chiesi scherzosamente se mi amasse e lei del tutto seria rispose di si. I nostri visi abbandonarono l’espressione di giovialità, per assumere quella dell’istantanea consapevolezza. Da allora parlammo spesso di noi, crogiolandoci tra dolci parole sussurrate e piccole confessioni, ma non ci toccammo mai con un dito. Non so perché, forse il nostro amore era nato tra quelle sgretolate mura, ma aspettava di esprimersi altrove, in un qualche imprecisato luogo lontano. Ora che io stavo per andarmene, lei aveva improvvisamente deciso di toccarmi, sebbene in modo fugace e fortuito, ma quanto bastava per rendere più tormentosa la mia dipartita. Eppure avevo anche la strana sensazione che mi nascondesse qualcosa. Già da un paio di settimane si comportava in modo diverso dal solito, aveva stretto amicizia con alcune detenute che mai prima di allora aveva considerato. Non le avevo chiesto spiegazioni perché mi sembrava volesse tenere per sé le cose di cui confabulava. In ogni caso, ormai era tardi per parlarne. Paola, la guardia bionda e dalla rosea carnagione, arrivò a prelevarmi. “Avanti cara”, disse sorridendo, “il tuo uomo ti aspetta all’uscita”. “Chiusi gli occhi e abbassai il capo, mentre le mani bollenti di Lucia si allontanavano da me, lasciandomi in una solitudine peggiore della morte. Sorrisi con ironia, visto che Paola sapeva benissimo che non mi importava niente di mio marito. “Paola, come avrei fatto qui senza di te”, sospirai girandomi a guardarla. “Come avrei fatto io invece senza di te”, replicò con aria molto seria, che
per un attimo mi fece sospettare che anche lei mi amasse. “Beh, ma ti lascio tutte queste donne”, continuai. “E meno male”, gridò Paola, sarcastica, rivolgendosi al corridoio lungo il quale erano incastonate le varie celle, ottenendo come risposta qualche sberleffo. Mi alzai e andai verso di lei, le baciai una guancia, dicendole: “ti auguro di trovare quella giusta”. Lei sorrise e mi invitò a uscire da quella gabbia, unica vera dimora che oramai conoscessi. Con un piede dentro e uno fuori mi voltai a guardare Lucia un’ultima volta. “Nontiscordardime”, disse lei sottovoce, stesa sul suo grigio lettino. “Certo che no”, risposi con voce strozzata, “come potrei…”. “Nontiscordardime, è il nome di quei fiori azzurri che abbiamo trovato vicino allo stagno”, sussurrò. “Coraggio”, disse la carceriera, “dobbiamo essere puntuali con l’orario di uscita, non sia mai che la prigione ti abbia sulle spalle un minuto in più del previsto”. Risi, anche se i miei occhi continuavano a lacrimare. “Addio”, dissi voltandomi verso Lucia un’ultima volta. Ma lei era sparita, probabilmente nel microbagno interno alla cella. Qualche minuto dopo il portone della prigione si spalancò. Il sole era così abbagliante che mi sembrò di aprire gli occhi per la prima volta. Solo in quel momento mi resi conto che era primavera. Vidi Lorenzo, mio marito, di spalle che fumava. Non lo vedevo da almeno due anni, ma quando si girò a guardarmi mi accorsi che non era cambiato affatto. “Ciao Alice”, disse gettando a terra il mozzicone di sigaretta per poi schiacciarlo sotto una scarpa. Non risposi. “Non sei contenta di vedermi?”, chiese con un sorriso beffardo stampato sulla faccia, “beh, nemmeno io, abbiamo già le carte pronte, basta che firmiamo, se è consensuale non c’è alcun problema”. Ero entrata in prigione sposata e me ne uscivo separata, anche se dovevo ancora firmare. Ma in fondo questo era solo un dettaglio, ero comunque separata da molto più tempo, anzi posso dire che la mia separazione fosse iniziata appena pronunciato il fatidico “si”. “Non ti preoccupare”, lo rassicurai, “firmerò appena arriveremo, poi andrò nella vecchia casa dei miei e non mi vedrai più”. Non più di un’ora dopo ero già in viaggio verso la casa di campagna in cui ero nata e cresciuta, che non vedevo da almeno quindici anni. Ormai là non c’era più nessuno, ma da quanto mi diceva mia sorella per lettera, doveva essere ancora tutto in buono stato. Il viaggio in treno fu piacevole, ma nello stesso tempo devastante. Vedendo prati verdi e colline fiorite ripensai a Lucia e al contatto con le sue mani nella nostra gelida cella. Mi immaginai insieme a lei sui prati che mi scorrevano dinnanzi agli occhi, a rotolarci sull’erba come due adolescenti innamorate, a rincorrere farfalle, ridendo per ogni piccola stupidaggine. Chiusi gli occhi e la vidi, stesa sull’erba completamente nuda. Il suo corpo roseo e delicato sembrava il ritratto di una Venere pittorica. Anch’io ero nuda. Mi avvicinai e stendendomi al suo fianco posai una mano sui seni che abbondavano sul petto bianco. Li sfiorai, come si trattasse di un oggetto prezioso e delicatissimo. Abbassando la testa li baciai, portando ora la mano sui suoi fianchi e infine sui rotondi glutei. Fui violentemente strappata a quella fantasia da uno scossone del treno, che si preparava a fermarsi alla mia stazione. Un’ora dopo mi avvicinavo a piedi alla vecchia casa di famiglia, che
percorrendo una lunga strada sterrata emergeva sulla collina tra i ciliegi in fiore. Nel vederla lasciai cadere a terra la valigia e scoppiai in lacrime.
Parte II
Avrei voluto che Lucia fosse lì a sostenermi nel mio ritorno alla vita, una vita che, sebbene mi sembrasse quella di un’altra persona, stava lentamente ritornando mia. Arrivata di fronte alla casa ingrigita, mi affrettai ad entrare, visto che stava arrivando un temporale. Gettai la valigia a terra vicino alla porta d’ingresso e ne estrassi un lenzuolo pulito, che portava con sé l’odore della prigione. Non me la sentii di tornare in quella che era la mia vecchia camera, così mi diressi nella stanza degli ospiti e mi gettai insieme al mio lenzuolo su un impolverato materasso. Dormii per ore e ore, mentre i tuoni scuotevano i muri del rudere che mi ospitava. Subito prima di svegliarmi feci un sogno. Ero nel giardino sul retro della casa e con me c’era Lucia. Sedute a terra ci raccontavamo a vicenda i più intimi pensieri del presente e del passato. Io le dissi quanto mio marito non avesse più alcun significato per me e quanto invece fossi felice di passare la mia vita con lei. Poi mentre allungavo una mano per toccarla mi svegliai improvvisamente. Era mattina e i raggi del sole entravano violentemente dalla finestra, priva di tende. Spesso, dopo aver sognato qualcosa di intenso, mi succedeva che la sensazione del sogno mi accompagnasse durante la giornata. Fu così anche quel giorno. Sentivo addosso, quasi come una resina appiccicosa, la sensazione che Lucia mi stesse veramente aspettando in giardino. La prima cosa che feci alzandomi dolorosamente dal letto fu andare a verificare se si trattasse davvero di un sogno, ma in fondo solo per mantenere intatta ancora per un po’ quell’amara illusione. Vidi dunque il giardino. Era incolto e caotico rispetto a una volta, ma in compenso aveva acquisito un fascino selvaggio. I roseti intricati erano ricchi di rose rosse e le farfalle svolazzavano le une attorno alle altre, piroettando in una specie di danza primaverile. La vita che vedevo risvegliarsi in quel giardino era anche dentro di me, seppur ancora in forma embrionale. Mi distesi sull’erba alta, che mi accolse con i suoi lunghi denti verdi e mi ingoiò completamente. Chiusi gli occhi e cercai di immaginare cosa potesse fare Lucia in quella dannata prigione. Non ci riuscii, ma in compenso ricordai una cosa che mi turbò, esattamente come mi aveva turbato allora. Ero appena uscita dalla doccia insieme alle altre, perché purtroppo per noi ci lavavamo assieme. La privacy non era certo il piatto forte della prigione, ma se così non fosse stato probabilmente non sarebbe mai accaduto questo fatto. Mentre uscivo dalla doccia, avvolta nel mio asciugamano giallo, incontrai Lucia che, completamente nuda, si apprestava invece ad entrare insieme ad un altro gruppo di detenute. Nel vedermi abbassò lo sguardo al pavimento gelido, come fosse stata sorpresa a rubare. Lucia non aveva certo un corpo come quelli che a volte vedevamo alla tv nella nostra cella. No, certo che no, lei era molto più bella, più vera. Il suo seno era onestamente pendente, i fianchi molto larghi e le gambe pelose, ma non avrei potuto immaginarla diversamente. Quella era la sua
verità, il suo unico inevitabile essere e a me piaceva così. Ritornai bruscamente al presente. La mia prima giornata nella vecchia casa di famiglia fu lunga e crudele. Verso sera iniziai a chiedermi se sarebbe sempre stato così. Arrivò il tramonto e dopo una cena noiosa e priva di gusto, pensai di fare ancora due passi, prima che il sole scomparisse del tutto all’orizzonte. Camminando arrivai ad un fossato, dal quale saltarono fuori due anatre che volarono via, facendomi spaventare a morte. Trassi un sospiro, abbassai lo sguardo e li vidi: ai miei piedi c’era una distesa di nontiscordardime. Mi inginocchiai e con le lacrime agli occhi ne strappai uno. Sentendo un fruscio nell’erba alle mie spalle, immaginai che lei fosse lì e mi dicesse “hai trovato i nostri fiori?”. Invece dietro di me, e non per effetto dell’immaginazione, udii la sua voce dire “che ci fai inginocchiata per terra?”. Mi voltai di s**tto e la vidi. Era lì sporca e infangata che mi guardava con un sorriso beffardo sulla faccia. Per qualche frazione di secondo non capii se si trattasse di un sogno o del mio cervello che dava i numeri, poi invece mi resi conto che era davvero lì. “Beh che accoglienza”, mi disse, visto che ero pietrificata e non riuscivo a dire una parola. “Ma, che scherzo è?”, riuscii a biascicare. “Ma quale scherzo”, rise Lucia, “non ti sei proprio accorta di niente allora”. “Di cosa?”, chiesi, allibita. “Che ultimamente stavo organizzando la mia fuga per poter stare con te!”, esclamò, scoppiando a ridere. Mi alzai e iniziò a girarmi la testa, ma invece di svenire piroettai verso Lucia, lasciandomi infine cadere fra le sue braccia. Mi aiutò a stendermi sull’erba, tra le farfalle che svolazzavano. Si chinò su di me e mi baciò, sfiorandomi delicatamente. Io ripresi alla svelta coscienza di me e di ciò che mi circondava. Allungai allora le braccia e posai le mani sui suoi seni, carezzandoli. Lucia si stese sull’erba al mio fianco e si rotolò con me fino al fossato dove c’erano i nontiscordardime. Mi fece spogliare di tutto, vestiti e inibizioni, poi se ne rimase immobile, seduta a gambe incrociate, ad ammirarmi, come per vendicarsi di quando io l’avevo vista nuda senza che lei potesse fare lo stesso con me. Stesa di nuovo al mio fianco, mi baciò il collo con labbra umide e morbide. Rabbrividii di fronte alla sensazione di appagante piacere che provavo, da tanto tempo bramata e per la quale ero ormai rassegnata. In estasi com’ero ad occhi chiusi sotto i salici, non mi accorsi che anche Lucia si era spogliata. Sentii, improvviso e caldo, il suo corpo avvolgermi e tutte le sue molli rotondità premere contro la mia pelle inumidita dall’erba. Le mie membra si abbandonarono completamente a quelle sensazioni. Restammo sul tappeto erboso d’aprile ad accarezzarci, mentre qualche rana appena risvegliata dal tepore primaverile gracidava con scarsa convinzione. “Non avrei più potuto stare senza di te”, sussurrò Lucia, cullandomi tra le sue braccia. Io chiusi gli occhi, sorrisi ma non dissi nulla. Non sapevo se saremmo rimaste lì o fuggite in qualche luogo sperduto per non farci trovare, Lucia evasa e io oramai sua complice. Sapevo solo che dietro le sbarre della prigione avevamo trovato la nostra libertà e che ora non avrei permesso a niente e a nessuno di portarcela via.
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La confessione di Amelia
“Ebbene si, l’ho fatto”, ammise Amelia con lo sguardo rivolto al pavimento. “Avevo appena finito di lavorare e mi stavo dirigendo a casa. Ovviamente a piedi come al solito. Ad un certo punto mi sono sentita afferrare una spalla e mi sono spaventata. Era Rosa”. “Ah si? E quindi?”, chiese la donna che la interrogava. “E quindi niente, mi sono girata e le ho detto di lasciarmi perdere, che non avevo niente da dirle e volevo solamente tornarmene a casa perché ero stanca”, disse con la voce rotta dal pianto. “Continua”, la invitò l’altra. “Allora”, riprese Amelia, “appena le ho detto che non volevo più avere a che fare con lei mi ha dato uno schiaffo. Appena ho sentito la mia guancia surriscaldarsi per effetto del suo ceffone ho sentito anche un’altra cosa”. “Sarebbe?”, chiese la donna indagatrice con un sorriso a metà tra il sadico e il dolce. “Ho sentito un pizzicorino allo stomaco… e a quel punto ero perduta. Cioè intendo dire che mi stavo eccitando”, continuò sentendosi un po’ in imbarazzo. “Bene”, fu tutto ciò che aggiunse l’indagatrice. “A quel punto”, riprese Amelia, “quando lei si è avvicinata per baciarmi non ho resistito. È stato un bacio violento, mi ha sconvolta… piacevolmente intendo. Subito dopo mi ha afferrata per un polso. Sentendo la sua mano farmi male intorno al polso… ho iniziato ad ansimare. Ormai ero troppo eccitata, volevo a tutti i costi che mi portasse a casa sua, ma non osavo chiederglielo”. “E lei che ha fatto quindi?”, chiese incuriosita l’ascoltatrice. “Mi ha trascinata per il polso fino a casa sua, che era lì vicino. Non ha mai detto una parola. Una volta in casa mi ha sbattuta sul divano e mi ha dato un altro schiaffo. A quel punto ero sua, la mia volontà era praticamente inesistente”. “Come al solito”, rispose l’interlocutrice con un velo di amarezza. “Mi spiace”, sussurrò Amelia, “comunque è andata così. Oramai mi era addosso e io speravo soltanto che mi strappasse i vestiti, cosa che ovviamente lei ha fatto di lì a poco. E senza vestiti ha iniziato a strapazzarmi su quel divano freddo e spoglio. Era violenta, ma a me non bastava, volevo facesse di più”. “Amelia”, si intromise l’indagatrice, “com’è possibile tutto questo? Pensavo fosse cambiato qualcosa ormai”. “Certo, lo pensavo anch’io, purtroppo però ormai è andata così. Volevo che continuasse a schiaffeggiarmi, a un certo punto le ho persino chiesto di darmi un pugno”. “E lei che ha fatto?”, chiese l’altra. “Lei me l’ha dato, sembrava proprio disposta a soddisfarmi in tutto e per tutto, non ha avuto alcuna difficoltà a darmi un pugno. Comunque è andata così. Io ero nuda sul divano e lei mi rigirava tra le sue mani. A un certo punto… mi ha messo le mani sui seni e li ha stretti, poi mi ha infilato due dita…”, si interruppe. “Non si preoccupi Amelia, non deve dirmi proprio tutto. “Forse sarebbe meglio”, dissentì Amelia, “mi ha infilato due dita nella vagina in modo molto violento. Ho provato dolore e volevo continuare a provarlo. So che non avrei dovuto, ma quel misto di piacere e dolore mi faceva impazzire… beh lo sa anche lei”. “Si, lo so”, ammise l’interlocutrice. “In ogni caso”, continuò Amelia, “mi ha penetrata con le dita velocemente e crudelmente. E io godevo. Per un attimo ho anche pensato a lei”, disse con la voce che si spezzava una seconda volta. “Non capisco, a lei… intende Rosa?”. “No, intendevo lei”, rispose
indicando l’interlocutrice, “nel senso che pensavo ai nostri discorsi e ai suoi consigli”. “Giusto, quindi com’è andata a finire la cosa?”, volle sapere l’altra. “Che mi sono sentita travolgere dal piacere, ormai non esisteva più il dolore, anzi… anche il dolore era piacere, il piacere nel vedere Rosa trattarmi in quel modo, così violento, autoritario. Mi vengono ancora i brividi a pensarci. Dottoressa, che devo fare, questa volta mi è andata bene, ma quella prima mi sono dovuta tenere i lividi per due mesi?”. “Eh, continueremo a lavorarci, non si preoccupi. È comunque importante che lei riesca ad essere così sincera come stavolta, vedrà che alla prossima occasione andrà già meglio”, spiegò la donna impassibile. “Sa, a me piace farmi trattare così”, si lamentò Amelia. L’altra alzò lo sguardo su di lei e con un sorriso malizioso disse “beh, non pensi di essere l’unica”.
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La rinuncia
Ciò che forse nella vita non riescono ad insegnarci è ad avere cura di se stessi, cosa che dovrebbe riuscirci spontanea, ma non è così. Ci penserà la vita con i suoi pugni in faccia a insegnarti che se non ti prendi cura di te stessa, nessuno lo farà per te.
Capitolo 1: Idillio (Si fa per dire)
Un tempo amavo perdutamente una donna che si chiamava Lara. Non so perché mi sia tornata in mente questa vecchia storia che all’epoca mi aveva procurato tanto dolore. Io ero una studentessa un po’ avanti negli anni, fuori corso da un pezzo e non riuscivo a venirne fuori. Vivevo con altre due studentesse, anche loro lesbiche, sebbene molto più giovani di me. All’epoca mi sentivo spesso frustrata e amareggiata perché l’università procedeva a tentoni, mi barcamenavo tra un lavoretto e l’altro per mantenermi e le poche storie sentimentali che intraprendevo finivano quasi sempre sul nascere. Insomma, un bel quadretto allegro e promettente. Ero solita naturalmente frequentare le chat per sole donne per coltivare di tanto in tanto l’illusione che nella mia vita vi fosse anche un lato sentimentale. Era in chat che avevo il primo approccio con quelle che sarebbero diventate in un secondo momento le mie mancate storie e fu lì che incontrai anche Lara, l’unica che fece la differenza dentro di me e di conseguenza la sola che mi lasciò in uno stato di devastazione senza precedenti nel momento in cui la cosa finì. Ci vedemmo la prima volta in un banalissimo bar della città in cui studiavo. Lei era vestita come una ragazzina, nonostante avesse più di quarant’anni, ed esibiva un sorriso candido e sicuro di sé. La mia cupezza rimase abbagliata da tanta solarità e si eclissò, lasciando il posto alla ragazza propositiva che era in me, di cui io non sospettavo quasi l’esistenza. Sedute al tavolo del bar ci raccontammo le solite storielle che ci si racconta in quelle circostanze, poi dopo cinque minuti lei mi disse che mi trovava carina. Sprofondai nell’imbarazzo, ma contemporaneamente, percepii un certo piacere nel sentirmi fare quel complimento, insieme alla speranza che ne arrivassero altri. Parlammo per un’oretta del più e del meno, infine lei mi disse che doveva andare, così ci salutammo baciandoci sulle guance. Ci scrivemmo via sms per alcuni giorni, sms coi quali Lara si divertiva di tanto in tanto a provocarmi, inserendo tra le righe fugaci ma mirate allusioni sessuali. Poco dopo decidemmo di vederci di nuovo, stavolta di sera, e ci trovammo in un minuscolo bar gay, frequentato prevalentemente da donne. Qui parlammo ancora e ancora, ma dal suo sguardo sembrava che Lara fosse interessata ad altro, cosa che trovava in me terreno fertile, da quanto ero in astinenza. Alle 11, nonostante mi fossi divertita, dissi che dovevo andare a casa perché il giorno dopo avevo l’ultima lezione di un corso che seguivo all’università. Lara si offrì di accompagnarmi e io accettai, nonostante mi tremassero le gambe per la paura che fra noi potesse già accadere qualcosa. Ho sempre cercato di andare per gradi in queste cose, ma avevo sempre avuto difficoltà perché le ragazze che frequentavo il più delle volte volevano tutto e subito, il che mi spingeva ad assecondarle per paura di perdere un’occasione. Cosa non si fa per mancanza di sicurezza in se stesse! Naturalmente le mie frequentazioni scomparivano subito dopo aver ottenuto quel breve e poco intenso rapporto sessuale. In ogni caso, avevo l’impressione che Lara fosse invece molto interessata a me e lasciandomi trasportare da quell’impressione le chiesi se volesse salire. Fu così che consumammo il nostro primo rapporto sessuale alla seconda uscita. Non fu nemmeno male devo dire, solo che il mattino seguente a lezione ebbi serie difficoltà a stare attenta. Frustrata e paranoica non riuscivo a liberarmi dell’idea che non ci saremmo più viste, esattamente come succedeva di solito. Ma intorno a mezzogiorno Lara ricomparve con uno dei suoi soliti messaggi, facendomi capire che nulla era cambiato rispetto a prima che facessimo l’amore. Questo per me fu più che sufficiente per lasciarmi andare, avevo avuto la prova del suo interesse per me, ora tutto sarebbe andato bene automaticamente.
Ci sono delle volte in cui è come se la vita cercasse di insegnarti qualcosa, quasi volesse dirti “hey, svegliati, non vedi come stanno realmente le cose?”. “Nossignora, non lo vedo come stiano realmente le cose altrimenti limiterei le cazzate che faccio”, sarebbe la risposta adatta.
Capitolo 2: Sconfitta (Ma dipende dai punti di vista)
Racconti lesbo, La rinuncia, di LadyluDopo un paio di mesi di frequentazione accadde la cosa che mai mi sarei aspettata. Stavamo andando a pranzo assieme, ero persino andata a prenderla all’uscita dell’ufficio ed ero al settimo cielo per questo. Ridevamo come due ragazzine sedute al tavolo del bar, non mi ero mai sentita così legata a qualcuno. D’improvviso un uomo sulla cinquantina si avvicinò al nostro tavolo e rivolto a Lara disse: “ciao, come mai da queste parti?”. Lei si voltò e si soffermò a guardarlo per qualche istante, mentre il sorriso sulla sua faccia non cambiava di una virgola. “Ciao, non lo vedi? Sto pranzando con una collega”, rispose prontamente, mentre nella mia testa si mescolavano svariate sensazioni sgradevoli. “Bene, ci vediamo più tardi a casa, buon pranzo”, rispose lui, voltando le spalle e allontanandosi. Io rimasi agghiacciata, mi sembrò per un attimo che lì, seduto a quel tavolo, ci fosse solamente il mio corpo, ma non io nella mia interezza. Mordendo nuovamente il suo panino Lara mi disse che si trattava di suo marito e, quasi come fosse una cosa normale, aggiunse che non me ne aveva parlato perché era seriamente interessata a me e non voleva rovinare tutto. Cosa non si fa quando si è presi a tal punto da qualcuno e l’autostima continua a scarseggiare! Ebbene si, io ci passai sopra, anzi arrivai a sentirmi vicina a lei, a comprendere le sue problematiche, obliando completamente le mie. E quali furono le conseguenze di tutto questo? Che la nostra frequentazione continuò per un anno e mezzo, tra una gastrite e uno svenimento da parte mia, con tanto di “Chissà che cosa mi succede? Eppure le analisi del sangue dicono che è tutto regolare!”. “Non sai vivere, cara mia”, continuava a rispondermi la vita, mettendomi continuamente di fronte ad evidenze che i miei occhi rifiutavano di vedere. Un anno e mezzo di evidenze: lei che la sera, dopo aver visto me, tornava a casa da suo marito, lei che passava il giorno del suo compleanno con il marito e la famiglia per poi incontrare me a fine serata a bere qualcosa in uno squallido bar, lei che quando incontravamo qualcuno che conosceva per strada continuava a dire che eravamo colleghe, lei, sempre lei! La vita mi diede l’ennesima lezione quando un giorno io e Lara ci incontrammo in uno dei soliti bar. Aveva il suo solito sorriso e io uno dei miei consueti mal di stomaco. Iniziò a dirmi che nella vita c’era una cosa che bramava più di ogni altra e che fino a quel momento non era ancora riuscita ad ottenere. Le chiesi di che si trattasse e lei rispose che era incinta. Lì vigliaccamente mi sentii leggermente sollevata, perché una cosa del genere faceva sì che non dovessi essere io a prendermi la briga di interrompere quella relazione, era come se la vita avesse deciso per me, ma si trattava di un’illusione. Immediatamente infatti, la vita mi lanciò l’ultima sfida per vedere se stavolta l’avrei còlta. Lara disse che nulla sarebbe cambiato, che voleva ancora vedermi, amarmi, fare l’amore con me, pur rimanendo con suo marito a crescere il bambino. E fu lì che finalmente mi si aprirono gli occhi, realizzando che avevo di fronte a me una persona priva di qualunque forma di criterio e che io finora, esponendomi a quell’elevata quantità di mancata autostima, avevo dimostrato di essere priva della stessa cosa. Quindi la vita era tornata a dirmi ancora una volta che dovevo essere io a decidere e io scelsi di concludere lì. La guardai per l’ultima volta negli occhi, chiedendomi amaramente se fosse minimamente cosciente di sé e di ciò che faceva, dopo di che mi alzai e la salutai per sempre, senza versare nemmeno una lacrima. I mesi successivi furono molto duri per me, Lara mi mancava, insieme ai suoi baci e alle sue parole dolci e purtroppo non riuscii a pensare a quanto invece stessi male mentre ci frequentavamo, in primo piano c’era solo il senso di vuoto. Ma fortunatamente quel periodo passò, io riuscii a concentrarmi sull’università e iniziai a fare il conto alla rovescia verso la laurea. Presi ad autostimolarmi, somministrandomi piccole sfide, piccoli obiettivi. Dopo la laurea mi trasferii e non tornai più nella città in cui studiavo. Ripensando oggi a quel periodo non riesco a non provare una profonda tristezza, accompagnata però alla solidarietà verso me stessa per com’ero allora. Oggi la mia vita è completamente diversa e non somiglia più neanche lontanamente a quella, che stento quasi a riconoscere.
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Proibita visione
Annoiata e sfinita dai rumori del traffico provenienti dalla finestra spalancata, mi alzai dal divano, decisa a trovare qualcosa da fare in quella soffocante giornata estiva. Gironzolai per alcuni secondi al centro della stanza, facendomi venire se possibile ancora più caldo, ma non mi venne in mente niente da fare. Essere a casa quel giorno avrebbe dovuto darmi uno slancio attivo verso le cose cui non riuscivo mai a dedicarmi a causa del lavoro, invece niente, il caldo sembrava bloccarmi in una trappola di noia e insofferenza. D’un tratto un pensiero inaspettato e singolare mi attraversò la mente: chissà se la mia coinquilina era a casa! Difficile a dirsi, essendo Amanda la ragazza più silenziosa del mondo! Mi venne la strana idea di guardare dal buco della serratura della porta che divideva le nostre camere da letto. Cercando di inquadrare per bene ciò che vedevo, mi grattai vicino all’inguine a causa della lieve irritazione che il sudore iniziava a procurarmi. Vidi distintamente Amanda seduta sul letto con i gomiti appoggiati alle ginocchia, corrucciata in un’espressione che sembrava più annoiata della mia. La mia bocca si allargò in un sorriso, insieme al pensiero di bussare immediatamente alla porta per chiedere alla coinquilina di fare qualcosa insieme. Ma proprio in quell’istante la porta alle spalle di Amanda si aprì. Entrò una ragazza bruna, molto ma molto bella, cui la mia coinquilina saltò praticamente addosso. Davanti al mio sguardo attonito, le due ragazze si gettarono sul letto l’una sull’altra, in un impeto di passione come raramente mi era capitato di vedere. Senza che me ne rendessi conto, la mia mano raggiunse l’inguine e si strusciò più in basso, raggiungendo le labbra. La visione delle due ragazze, ora completamente nude, stava procurando in me un’eccitazione senza precedenti, scacciando decisamente via la noia. Strusciando le dita dolcemente tra le mie labbra umide, rimasi in ginocchio a guardare le due avvinghiate sulle lenzuola. I loro corpi in movimento sembravano una specie di miracolo della natura, i loro sospiri e il crescente ansimare suonava come il respiro della vita, che si manifesta nell’amore. Non coglievo i particolari di quanto facevano, nascondendo la schiena di Amanda gran parte della scena, ma ass****re a quel gioco tutto al femminile mi fece rinascere, mentre il mio corpo, sempre più sudato, godeva dell’intensa visione percepita dagli occhi. I gemiti e i sospiri di Amanda e la sua amica raggiunsero l’apice, mentre giungeva caldo e sudato il mio orgasmo, che con incredibile simultaneità si aggiunse a quello delle altre due. Accasciatami poi a terra mi resi conto che, nonostante fossi ora decisamente più sudata, mi sentivo anche rinfres**ta e mi preparai per andare in doccia, custodendo gelosamente in me il segreto di quella visione proibita, che con un po’ di fortuna avrebbe potuto ripetersi nel corso di quell’estate.
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Alina
Parte I
Alina lavorava in un bar poco fuori del centro, uno di quei locali di campagna che sembrano dimenticati da Dio, ma che in realtà, una volta che ci sei entrata, scopri essere grandemente frequentati. Una collina verdeggiava a qualche centinaio di metri dal bar, rendendo oscura l’atmosfera, quando la sera il sole scompariva precocemente dietro la gobba verdeggiante. Qualcosa di magico risiedeva tra le fronde degli alberi che si agitavano di fronte al bar di Alina, mentre il vento soffiava impetuoso e le nubi sembravano correre alla velocità della luce. “Come sei bella”, pensai fra me e me incantata, la prima volta in cui vidi Alina e la sorpresi a ridere timidamente sotto gli sguardi maliziosi di certi clienti. Quei suoi occhi azzurri erano gelide perle preziose. La pelle lattea e i capelli biondi la facevano sembrare una specie di divinità lunare. “Sei così bella che per te potrei anche fare una follia”, avevo pensato. Ma le due volte successive in cui tornai a bermi una birra al bar, appositamente per vedere lei, non mi riuscì ancora di fare alcuna follia. Nell’avvicinarmi al banco per sondare il terreno ero rimasta terrorizzata da quello sguardo glaciale e bollente al tempo stesso, che sembrava volermi stringere in una morsa di ghiaccio e fuoco. Così avevo desistito e confinato Alina nelle zone più ombrose e intime della mia immaginazione. Ma un venerdì sera, dopo una giornata lavorativa decisamente poco gradevole, durante la quale stavo per mettere le mani al collo al mio capo, mi recai al bar e mi sentii rinascere nel vedere Alina sorridere alla cameriera che per pochi spiccioli le dava di tanto in tanto una mano.
“Una birra?”, chiese Alina quando vide che mi trascinavo al banco. “No, ti ringrazio”, sorrisi, “stavolta ho bisogno di qualcosa di diverso, dammi una vodka”.
“Ah, ottima scelta, ho una vodka che mi ha inviato mia madre”, esclamò col suo accento russo.
“Bene, mi piace”, sorrisi, sentendomi già ebbra prima di iniziare a bere, “viene dalla Russia quindi?”.
“Eh, si”, sospirò lei in un modo che sembrava nascondere una grigia malinconia. Alina mi porse un bicchierino di vodka secca e tornò a maneggiare bicchieri e bottiglie, mentre il suo sorriso si spegneva lasciando il posto ad un’espressione di triste amarezza. Nel vederla così incupita ebbi l’impulso di correre dietro il banco per stringerla a me. Quel pensiero, unito al primo sorso di vodka, mi fece sentire un calore interno che mi diede una specie di stimolo a reagire. “Ti manca il tuo paese?”, chiesi.
Lanciandomi uno sguardo fugace, Alina sorrise, ma non rispose, come volesse sorvolare. Fissandola mentre andava a servire ad un tavolo, mi accorsi che fingere non era l’attività che le riuscisse meglio. Aveva gli occhi lucidi e sembrava che i muscoli del suo viso si sforzassero faticosamente per non piegarsi in un’espressione disperata. Abbassai lo sguardo al banco, ingobbendomi sul mio bicchierino e afferratolo trangugiai tutta d’un fiato quella vodka secca, che mi pugnalò lo stomaco. Dopo qualche secondo mi sentii più leggera, quasi svolazzante sul soffitto di legno del locale, anziché seduta sullo sgabello.
“Senti, me ne daresti un altro?”, chiesi ad Alina, non appena ricomparve sul retro del banco.
“Certo”, sorrise lei, con aria leggermente risollevata, “però non posso darti la stessa vodka di prima, quella era solo un assaggio per una cliente speciale, ti do un’altra vodka”.
Quelle parole mi lasciarono di stucco. Perché io ero una cliente speciale, forse perché sembravo solidale con lei? Forse perché le piacevo? La mia confusione si riversò anche all’esterno e mi fece dire una cosa che mai avrei pensato di poter dire.
Parte II
“Sei molto bella, mi piacerebbe farti un po’ di compagnia qualche volta”, dissi tutto d’un fiato.
Senza scomporsi minimamente, Alina prese un altro bicchierino, lo posò sul banco con forza e dopo aver versato altra vodka russa sia a sé che a me, lo sollevò in aria. “Salute”, disse guardandomi negli occhi.
“Salute”, risposi io facendo lo stesso.
Bevemmo tutto d’un fiato il bruciante liquido e posammo il bicchiere sul banco. Durante la successiva mezzora, mentre cercavo di ritornare coi piedi per terra in modo da riuscire ad andarmene a casa, guardai Alina muoversi fra i tavoli di legno nerastro del bar. Il modo in cui riusciva a scivolare tra gli angusti spazi del locale muovendo i fianchi come una danzatrice del ventre, la faceva sembrare un’artista del ballo succube di uno scherzo di cattivo gusto. Dopo un altro quarto d’ora di rintronamento, decisi di provare a trascinarmi verso casa, che fortunatamente non era lontano dalla zona. Mi sembrava che tutte le persone del bar fossero dentro la mia testa, insieme al loro confuso vociare. Mi voltai lentamente da tutte le parti per vedere Alina, in modo da poterla salutare, ma in quel momento sembrava scomparsa. Senza aspettare oltre, onde evitare di impazzire, agguantai la giacca e corsi verso l’uscita. Un secondo dopo mi ritrovai lunga e distesa per terra, inciampata su una manica della mia stessa giacca che mi stava scivolando da sotto il braccio. Nell’ubriachezza del momento mi resi conto di aver battuto forte un ginocchio, ma l’alcool attutì il dolore. Sentii una mano che dolcemente si posava sulle mie spalle. “Tutto bene?”, chiese con un filo di preoccupazione la voce di Alina.
Ancora stesa a terra alzai lo sguardo al soffitto e vidi i suoi dolcissimi occhi impegnati in un’espressione vagamente contrita.
“Si si, ti ringrazio”, risposi alzandomi più velocemente che potevo.
“Aspetta…”, sentii ancora pronunciare dalla sua voce, mentre mi scaraventavo fuori. L’aria gelida di dicembre mi riportò immediatamente alla dura realtà delle cose.
Facevo un lavoro che mi faceva schifo, tanto quanto mi faceva schifo il mio capo, non avevo una storia da due anni e le poche donne con cui ero uscita negli ultimi tempi mi avevano fatto sperare che la serata finisse il prima possibile. Lanciai uno sguardo a sud, dove la collina veniva rischiarata dalla gelida luce lunare. Alcune nubi arrivavano da est, proprio come Alina, probabilmente erano cariche di neve. Di lì a poco io sarei stata sola sotto le mie coperte ad aspettare che mi passasse la sbronza, indifferente a quel candore che da piccola mi faceva impazzire di gioia. Non so come, arrivai a casa.
La sera seguente ripensai alla pessima figura che avevo fatto al bar. Non mi importava tanto dei clienti, quanto di Alina e del fatto di averla messa in imbarazzo. Dopo aver letto un ebook erotico per nutrire solo virtualmente le mie esigenze sessuali, decisi di aspettare l’orario di chiusura del bar per andare lì a scusarmi. Indossato il cappotto a chiodo marrone e le scarpe più calde che avevo, mi avviai a piedi lungo il marciapiede. Il freddo era più pungente e le nuvole ricoprivano il cielo come una cappa opprimente. Circa dieci minuti dopo mi trovavo già a pochi passi dal locale. Vidi gli ultimi clienti barcollanti uscire, mentre Alina si affrettava a seguirli in direzione dell’ingresso in modo da chiudere non appena avessero messo piede fuori. Feci una corsa per riuscire a beccarla prima che chiudesse, ma quando mi trovai alla porta lei dietro il vetro mi dava già le spalle. Così bussai delicatamente, facendola sobbalzare. Nel rendersi conto che ero io, i suoi occhi azzurri si distesero in un sorriso.
“Ciao, che ci fai qui a quest’ora? Il bar è chiuso…”, disse aprendomi la porta. “Scusa, lo so”, risposi, “volevo parlarti un attimo?”.
Parte III
Con la sua solita gentilezza Alina mi invitò ad entrare dentro il locale spoglio. Il calore dell’ambiente, accompagnato da un lieve profumo di fritto, era decisamente invitante.
“Volevo… scusarmi con te per ieri sera…”, sussurrai mentre mi accompagnava al banco.
“Per cosa?”, chiese smarrita, “siediti pure”.
“Per la scenetta che ho fatto…”, spiegai, “sono caduta per terra e… non ero un bello spettacolo per il locale”.
Inaspettatamente Alina si mise a ridere di gusto a quelle mie parole. “Scusa”, esclamò col suo accento russo, “non rido per te. Ci sono tanti uomini che entrano ed escono dal bar e sono tanto più ubriachi di te e anche violenti certe volte. Per questo rido, è strano che tu ti scusi”.
Le sue gote erano diventate da bianche come la neve a rosa pesca. Incantata dalla sua dolcezza, non potei fare a meno di avvicinarmi al suo viso per baciarla. Fu un bacio labbra su labbra, senza particolare ardore, privo della bramosia del sesso. Ma si trattò comunque di un bacio pieno di calore e, oserei dire, di amore. Un istante dopo Alina
ebbe un mezzo mancamento, piegò le ginocchia e appoggiò una mano al bancone. “Hey, tutto bene?”, chiesi tenendola per i fianchi.
“Si”, sospirò, “sono solo molto stanca”.
Il cuore mi saltò in gola per l’emozione quando subito dopo appoggiò una guancia sulla mia spalla. Allungai le braccia attorno al suo corpo caldo e la strinsi a me. Quell’abbraccio caldo e coccolante durò qualche minuto, ma avrei preferito che non finisse mai.
Senza proferire parola Alina si staccò delicatamente da me, mi prese per mano per poi condurmi alla scricchiolante scala di legno nascosta subito dietro il bar. Strada facendo spense le luci, facendoci piombare in un buio quasi totale. Camminando piano, strette l’una all’altra, salimmo le scale. Giunte al piano di sopra Alina si staccò da me per accendere la luce. Ecco che un’abat-jour rosso fuoco illuminò l’ambiente, scaldando l’atmosfera di quella che a tutti gli effetti sembrava una mansarda. Ci trovavamo esattamente sotto il tetto. Tutto era in legno, le pareti come le doghe del letto e i braccioli di un minuscolo divano, accampato di fianco ad un tavolino con un cesto di frutta.
In quell’istante mi resi conto che quella era la casa di Alina.
“Ma… tu vivi qui?”, chiesi, un po’ intimorita all’idea di essere troppo indiscreta. “Si, ti piace?”, rise lei.
“Beh… si, è molto intima”, risposi ridendo a mia volta.
Alina si sedette sul letto e allungò un braccio verso di me perché la raggiungessi. Obbedii e mi accomodai al suo fianco. Non potei res****re al suo azzurro sguardo così la baciai subito di nuovo. Lentamente ma inesorabilmente il nostro bacio divenne caldo ed eccitato. Ci stendemmo una di fianco all’altra e ci spogliammo, un pezzetto alla volta, scoprendoci ed apprezzandoci con calma. Il suo pallido corpo nudo con la pelle d’oca sembrava fatto apposta per essere idolatrato. La invitai ad infilarci sotto le coperte, dove saremmo potute stare più al caldo. Lì, avvinghiate l’una sull’altra, ci lasciammo trasportare dal desiderio e dal piacere che le nostre reciproche carezze ci portavano. Dopo un paio d’ore di dolcezza e piaceri ci abbandonammo sfinite alla stanchezza. Alina lanciò uno sguardo alla finestra e vide che nevicava. “Hey, sta nevicando”, disse, “non ci siamo accorte, chissà da quanto nevica”. Mi misi a sedere e guardai la neve scendere copiosa e danzante, sopra i pini del bosco che nasceva poco oltre la finestra. In quel momento mi sentii di nuovo eccitata e felice al pensiero della neve, esattamente come quando ero piccola. “Io ho provato sai… con un uomo voglio dire”, sospirò Alina in quel momento. “Mi stavo anche per sposare una volta”, continuò incupendosi, “ma… non c’era niente da fare, non mi piaceva, poi…”.
“Poi?”, chiesi io, pendendo dalle sue labbra. “Niente…”, concluse lei, “ti piace la neve?”.
“Prima di venire qui da te questa sera ti avrei detto che non me ne importava niente”, spiegai, “ora mi sembra la cosa più bella che abbia mai visto”.
Alina sorrise e non aggiunse altro. Ci stendemmo sotto le coperte insieme e ci addormentammo, chiedendoci forse cosa sarebbe stato il futuro. Chissà, magari ora che ci eravamo incontrate alcune cose nelle nostre vite sarebbero cambiate.
16
La storia di Dafne
Dafne è un imprenditrice di successo di una grossa azienda romana che opera nell’ambito della logistica, un settore in cui la gran parte degli occupati sono uomini, quindi si trova ad essere avere come sottoposti tutti componenti del cosiddetto sesso forte.
Fisicamente è di altezza media, capelli castani, una terza di seno abbondante, un sederino che come si dice con frase fatta parla da solo. Arriva sempre in ufficio vestita in un modo talmente appariscente da mettere in evidenza le forme del suo seno e del suo sederino e indossando scarpe di marca con i tacchi per mettere ulteriormente in soggezione gli uomini che sono sotto le sue dipendenze.
Profumo di Dafne a casa e con gli amici è inveceuna donna dolce e romantica anche se il rapporto con il marito è ormai deteriorato per via dell’incapacità di questi di soddisfarla sessualmente, infatti a letto ritorna la Profumo di Dafne che si manifesta in azienda è una dominante e questo intimidisce il marito che certo non è un cuor di leone e che spesso ha erezioni brevi e insoddisfacenti.
Dopo qualche anno di questo manage familiare insoddisfacente le capita per puro caso di visitare per caso un blog di una nota mistress che racconta di come è giunta a capire la sua natura dominante, di quali siano le attività che impone ai suoi schiavi, di come li punisce e umilia. Profumo di Dafne è allo stesso tempo spaventata ed eccitata perchè capisce che la sua natura è davvero molto simile a quella di questa mistress e le scrive facendole delle domande. La mistress in questione capisce subito dal modo di esprimersi che la persona con cui sta parlando ha una natura dominante, ma ha paura ed esplicarla e la invita nel suo locale per il sabato sera dicendole che la cosa è senza impegno, che non pagherà nulla, ma la vuole conoscere perchè la sua personalità la affascina.
Il sabato accampando alla famiglia inesistenti impegni di lavoro Profumo di Dafne si presenta nel locale della mistress, la quale la saluta e le dice che dallo scambio epistolare ha capito che la sua natura è uguale a quella di Profumo di Dafne, ma non le vuole forzare la mano e le chiede di assistere, da solo.
Le scene alle quali assiste la sconvolgono, ma allo stesso tempo la eccitano non aveva mai pensato che degli uomini avessero potuto farsi fare certe cose da una donna: frustare, torturare i capezzoli, farsi colare cera bollente. Le scene a cui assiste la sconvolgono profondamente, così come la eccitano molto. La mistress che si chiama Anna capisce che basta poco a Profumo di Dafne per fare il grande salto e le dice che la aspetta l’indomani per far provare Profumo di Dafne questa esperienza, ma lei risponde che non sa se verrà perchè la cosa l’ha eccitata, ma allo stesso tempo spaventata, ma Anna le risponde dicendole sono sicura che verrai.
Profumo di Dafne riflettè tutta la notte su quello che aveva visto e su come la aveva eccitata il vedere degli uomini umiliati, puniti, derisi da mistress Anna e la prospettiva di diventare anche lei una mistress la eccitava e gli piaceva un sacco, anche se si vergognava molto dei suoi pensieri e delle sue azioni, ma alla fine il poco godimento sessuale che ricavava dal matrimonio e l’eccitazione che in tutti questi anni aveva accumulato la indusse ad accettare la proposta di mistress Anna e quindi si sarebbe presentata l’indomani nel locale.
Profumo di Dafne in poco tempo diventò una perfetta mistress che si alternava tra il locale di mistress Anna dove con un psedudonimo e una mascherina dava degli spettacoli in cui dominava umiliava, puniva alcuni degli eccitati astanti, a un bilocale della periferia dove riceveva alcuni degli schiavi conosciuti nel locale.
Alcuni di questi diventarono nel corso del tempo degli schiavi a sua disposizione ventiquattro ore su ventiquattro sette giorni su sette, ormai era diventata una mistress di successo e c’era la corsa da parte degli uomini più influenti di Roma a diventare suoi schiavi. Questi dovevano non solo accettare le cose più turpi durante la sessione, ma dato il carattere sofisticato di Profumo di Dafne cosa che si rifletteva anche nel suo modo di essere mistress dovevano accettare qualsiasi cosa nella vita privata.
Spesso questi uomini quando non erano in compagnia della loro dea o mistress erano sottoposti con una cb6000 una cintura di castità che consente la pipì, ma non consente l’erezione in quanto quando l’organo maschile si sta per eccitare sbatte tra le pareti di questo oggetto provocando dolore ed eliminando l’eccitazione. Qualcuno dei suoi schiavi è stato tenuto in queste condizioni anche un mese tenendo le mogli e le fidanzate all’asciutto e dovendo stare attenti a non farsi scoprire con quel terribile strumento. Non era tuttavia detto che sempre all’interno della sessione a questi schiavi fosse dato piacere, infatti Profumo di Dafne amava leccare le palle e la cintura di castità per far impazzire ancora di più questi schiavi.
Ovviamente questa non era l’unica tortura a cui Profumo di Dafne sottoponeva i suoi schiavi, essi infatti subivano torture di tutti i tipi dagli aghi, alle mollette sui cappezzolia frustate di ogni tipo e intensità.
Profumo di Dafne stava attraversando uno dei periodi più belli della sua vita: il lavoro e l’azienda andavano a gonfie vele, la vita sessuale era un successo, l’unica cosa che non andava era il rapporto con suo marito, ma questo era sempre stato così fin da quando si erano sposati e se ne erano fatti una ragione.
Delle nubi però si stavano però scagliando all’orrizonte: una mattina arrivò una mail che mandò Profumo di Dafne nel panico: l’azienda che vendeva il gasolio per i camion della sua azienda chiedeva dei pagamenti più ravvicinati di quelli stabiliti fino a poco tempo fa pena penali e interessi molto elevati. La cosa certamente non avrebbe fatto fallire la sua azienda che era finanziariamente molto solida, ma sicuramente la metteva in grosse difficoltà. Profumo di Dafne prese allora il toro per le corna chiedendo all’amministratore delegato di questo fornitore un incontro.
L’uomo nel corso dell’incontro ribadì le sue posizioni dicendo che le banche non davano più il credito di un tempo e che quindi non erano più in grado di fare le stesse condizioni di prima. Dopo un certo tira e molla l’uomo disse che forse una soluzione ci sarebbe. Disse a profumo di Dafne che era venuto a conoscenza della sua vita privata e della sua sessualità alternativa perchè un suo amico era uno dei suoi schiavetti, ma che lui non era per nulla attratto da quella cosa, ma se avesse accettato di essere completamente la sua schiava per un anno, sette giorni su sette le avrebbe condonato tutti i debiti con la sua azienda.
Profumo di Dafne se né andò cacciando l’uomo dall’ufficio che le disse le do sette giorni per pensarci sulla mia offerta sono sicuro che ci ripenserà!!!! le rispose non ci penso neanche.
Profumo di Dafne fu sconvolta dall’incontro con l’amministratore dell’amministratore delegato della società che forniva il gasolio, infatti era vero che la sua azienda era finanziariamente solida, ma di certo sarebbe stato difficile riuscire a pagare il gasolio nei nuovi termini contrattuali e quindi presto sarebbero nati sicuramente problemi finanziari, mentre accettando la proposta dell’uomo le cose sarebbero sicuramente andate come dovevano andare.
Il prezzo però era altissimo avrebbe dovuto diventare schiava dell’uomo per un anno che se era stato attirato dall’idea di schiavizzare una mistress sicuramente era un sadico e gliene avrebbe fatto passare di tutti i colori e questo la terrorizzava.
Profumo di Dafne per giorni non riusciva a dormire e il pensiero di quale decisione avrebbe potuto essere la migliore la angustiava e si sentiva in trappola, entrambe le decisioni avrebbero avuto conseguenze devastanti per la sua vita proprio in un momento in cui aveva trovato la pace con sé stessa. La scelta era chiara avere problemi finanziari contro subire le peggiori umiliazioni da un uomo sadico: si convince che in realtà non era una scelta e che non aveva alternative dare problemi finanziari all’azienda significava potenzialmente dare problemi economici alla sua famiglia e potenzialmente costringere lei e il marito a cambiare tenore di vita.
Dopo tre giorni quindi chiamò l’uomo e gli disse che avrebbe accettato la sua offerta lui sadicamente gli rispose che sarebbe bastato un solo no a un solo ordine durante l’anno perchè la sua offerta non avesse più valore e profumo di Dafne disse sconsolata di si.
L’uomo allora le disse che da ora in poi per lei si sarebbe chiamato Master Jack e avrebbe dovuto presentarsi a casa sua il venerdì sera per cominciare questo percorso di addestramento e schiavitù.
I due giorni che mancavano all’inizio del suo percorso di schiavitù furono tremendi i pensieri si accavallano sia di giorno che di notte in Profumo DI Dafne incubi compresi.
Alla fine il venerdì sera arriva e Profumo di Dafne si presenta nella villa di Master Jack che le fa firmare un contratto dove si ribadisce quanto detto al telefono vengono considerati estinti i debiti dell’azienda di Profumo di Dafne che in cambio sarà sua schiava per un anno e basterà solo una sua disobbedienza per mandare tutto a monte.
Quella prima sera fu tremenda e piena di vergogna per Profumo di Dafne, le fu ordinato di vestirsi con un microbikini che lasciava veramente poco all’immaginazione e di fare sfilata davanti a un pubblico di amici di Master Jack che la deridevano. Finito di sfilare Profumo di Dafne fu legata a un muro e poco dopo arrivò Master Jack vestito da legionario romano il quale disse al pubblico di amici che guardavano che quella fino ad adesso era stata una mistress e che da ora in poi sarebbe stata la sua schiava. Per Profumo di Dafne l’umiliazione fu tremenda., Master Jack prese una frusta e cominciò a frustare il sederino di Profumo di Dafne, il suo sedere per ogni frustata diventava sempre più rosso e dolorante finchè chiese pietà a Master Jack, il quale chiese al pubblico di amici se esserlo e questi rispondevano sempre implacabilmente di no, arrivato a cinquanta frustate Master Jack si fermò dicendo per oggi può bastare.
La schiavitù di Profumo di Dafne era cominciata e con una terribile prova e il pensiero che poteva andare avanti per un anno da così a peggio la terrorizzava, ma non aveva scelta.
L’umiliazione di quella sera fu solo la prima tappa di un lungo percorso di schiavitù a cui Profumo di Dafne dovette sottostare che colpiva il suo corpo, ma soprattutto la sua mente.. Master Jack le ordinò di non indossare più le mutandine e per provarlo avrebbe dovuto consegnargliele in modo che le metesse sotto chiave per tutto il periodo della schiavitù. Inoltre doveva presentarsi in ufficio con una minigonna sopra le ginocchia col rischio che un cliente o un fornitore pensasse di avere davanti una cagna o una troia..
Il pensiero di quella mattina mentre percorreva la strada da casa sua a quella di Master Jack con la borsetta piena delle sue mutandine mentre una fresca brezza le passava sotto la gonna le procura va ricordi che rimaranno indelebili nella mente di Profumo di Dafne, ricordi di eccitazione ed umiliazione insieme.L’umiliazione di doversi vestire in quella maniera con gonna sempre corta in un ambiente maschile la metteva in forte imbarazzo anche se nessuno glielo faceva notare essendo la padrona. Master Jack le aveva imposto anche di mettere degli ovetti vibranti comandabili con un telecomando wifi che su ordine del suo padrone lei era obbligata a usare: si trattava di una tortura indicibile, incredibile.
Dopo circa una settimana si presentò Master Jack in ufficio in una delle ore in cui il lavoro era più intenso dicendole che la voleva scopare, Profumo di Dafne cercò di res****re facendogli presente il grave carico di lavoro che aveva in quel momento, ma Master Jack fu inamovibile ricondandole l’accordo. Profumo di Dafne reagì chinando il capo dicendo si padrone. Master Jack la prese da senza lubrificazione ben sapendo che il sedere di Profumo di Dafne era quasi vergine e quindi conscio del dolore che le avrebbe provocato date le dimensioni del suo cazzo. Finito l’amplesso infatti a Profumo di Dafne bruciava in modo impressionante il culetto, sembrava quasi che fosse stata introdotta una dose massicia di peperoncino o di zenzero. Master Jack fu assolutamente un bruto e sborrò nel sedere di Profumo di Dafne, costringendola poi a pulirgli il cazzo. Quando Profumo di Dafne lo prese in bocca stava per vomitare la combinazione dell’odore della sborra, con l’odore del sedere dove Master Jack aveva messo il cazzo era nauseabondo. Una volta soddisfatto Master Jack le disse che l’avrebbe aspettata la sera a casa sua per la mancanza di rispetto che aveva dimostrato nei confronti del suo padrone. Profumo di Dafne reagì facendo di si col capo, ma Master Jack non fu soddisfatto, allora lei disse si padrone e allora l’uomo affermò che cos’ andava bene.
Tutto il pomeriggio Profumo di Dafne non riuscì a lavorare con la mente sgombràa in quanto era angustiata dalla punizione che avrebbe dovuto subire la sera e diversi collaboratori capirono che c’era qualcosa di strano, ma nessuno osò dire niente.
La sera Profumo di Dafne si presentò a casa di Master Jack che la accolse con un cane uno strumento di punizione delle scuole inglesi fino a non molto tempo fa e le ordinò di alzare la gonna dicendole che per l’affronto di oggi l’avrebbe colpita con trenta colpi sulle terga. Per ogni colpo per Profumo di Dafne era una tortura, dopo dieci colpi cominciarono ad apparire delle piaghe sul sederino e i colpi le sembravano una vera e propria tortura fino a quando giunse la fine che fu una vera e propria liberazione. La schiavitù a cui era sottoposta stava diventando una prova sempre più difficile da sostenere, una cosa che non aveva mai pensato nel momento in cui aveva accettato.
Master Jack la congedò dicendole che per oggi era sufficiente, ma per i prossimi quindici giorni avrebbe dovuto stare in castità forzata, non avrebbe potuto scopare con suo marito(vabbè questo era un problema relativo), nè toccarsi, mè masturbarsi in alcun modo e questa era un impresa molto difficile che non sapeva se era in grado di realizzare. Dafne pensava che non avrebbe avuto problemi per la castità forzata praticamente era il regime sessuale coniugale a cui era sottoposta prima di trasformarsi prima in mistress e poi in schiava, ma non aveva fatto i conti con il suo corpo, con la mente e con le perfidie a cui aveva pensato Master Jack.
Il primo giorno scorse abbastanza tranquillo nonostante l’abbigliamento con cui era costretta a lavorare, ma ormai si era abituata e non ci faceva più caso e fino alla fine della giornata lavorativa tutto ad andò tranquillo, troppo tranquillo pensava Profumo di Dafne.
Uscita dal lavoro Profumo di Dafne trovò un nero tarchiato, con occhiali da sole che scendendo da una macchina le fece il gesto di seguirlo perchè era lì su ordine del suo padrone. Durante il tragitto Profumo di Dafne cercò di scoprire dove l’uomo l’avrebbe portata, ma questi fu irremovibile che Master Jack il suo datore di lavoro gli aveva ordinato di non dirglielo e non voleva perdere il posto di lavoro.
La macchina entrò in un enorme villa che si trovava fuori città all’interno di un immenso parco. Una volta parcheggiato Profumo di dafne fu accompagnata all’interno dove prestò capì che si trattava di un centro massaggi. Venne fatta spogliare e le fu detto che Master Jack le aveva offerto una seduta di massaggi che sarebbe stata effettuata da uno dei loro massaggiatori più belli profumatamente pagato da Master Jack per prestare il servizio completamente nudo.
Si trattava di un ragazzo sui ventiquattro anni mulatto, alto con fisico scolpito e con un cazzo che sembrava una proscide di un elefante. Profumo di Dafne capì subito che res****re a dieci giorni di castità non sarebbe stato facile dato che Master Jack se ne sarebbe inventate di tutti i colori.. Il ragazzo cominciò a massaggiare Profumo di Dafne senza toccare mai parti sensibili come i cappezzoli e la passerina, fece cioè un normalissimo massaggio, ma il suo essere completamente nudo e la vista di quel cazzo eccitò sensibilmente Profumo di Dafne che sapeva di non potersi toccare le parti intime per dare sfogo all’eccitazione, nè di poterlo chiedere al ragazzo, un vero inferno. Finito il massaggio le fu consentito di tornare a casa e la prima cosa che profumo di Dafne fece fu farsi una doccia fredda, infatti la sua capacità di resistenza era stata messa a dura prova e senza raffreddare i suoi bollenti spiriti difficilmente avrebbe resistito alla castità per molto.
La notte mise però a dura prova Profumo di Dafne come si sa infatti di notte lavora il subconscio e questo lavorò contro Profumo di Dafne che sognò il massaggiatore prima mentre le leccava avidamente la passerina e poi mentre la penetrava analmente in maniera brutale. Profumo di Dafne fu costrettoa farsi un altra doccia fredda nel cuore della notte se voleva res****re, infatti i sogni dall’alto carattere erotico che aveva fatto l’avevano talmente eccitata che gli umori avevano cominciato a sgocciolare dalla passerina fino a scendere lentamente lungo la gamba.
Profumo di Dafne non avrebbe neanche lontanamente immaginato che la prova della castità forzata sarebbe stata così difficile e res****re dieci giorni sarebbe stata un impresa, infatti chissà quali altre diavolerie si sarebbe inventato Master Jack.
Il giorno dopo Profumo di Dafne tornò in ufficio come nulla fosse, finchè a mezzogiorno fece la sua comparsa Master Jack che le ordinò di chiudere la porta che doveva controllare se aveva resistito. Master Jack alzò la gonna e mise un dito sulla passerina e vide che era tutta bagnata e affermò che era un segno che stava resistendo, ma avvertendola di non fare la furbetta perchè la stava facendo pedinare e che ogni giorno finito il lavoro sarebbe stata portata nel centro massaggi e che soprattutto il fine settimana sarebbe dovuta andare con lui al mare.
Nel centro massaggi ogni giorno veniva massaggiata da ragazzi diversi tutti belli, bravi massaggiatori e dotati e ogni giorno diventava sempre più difficile res****re, ma con enorme difficoltà Profumo di Dafne riuscì a res****re finchè arrivò il venerdì sera quando uscita dall’ufficio venne prelevata dall’autista per essere portata nella villa al mare di Master Jack. Dopo qualche ora di macchina l’autista arrivò a destinazione e giunse nella villa di Master Jack in una famosa località balneare del litorale romano. La villa era stupenda la macchina percorse un enorme parco che impediva dall’esterno di vedere l’edificio della villa. Dopo aver parcheggiato l’autista accompagnò Profumo di Dafne da Master Jack che gli fece segno che poteva andare.
Master Jack venne incontro a Profumo di Dafne e la salutò dicendo ciao cagna. La donna in sovrappensiero lo salutò dicendo ciao padrone il che fece lo fece molto arrabbiare che gli fece dire che avrebbe dovuto punirla per questo affronto, infatti mai una schiava poteva rivolgersi a lui dandogli del tu.
Dopo questi primi convenevoli Master Jack alzò la gonna di Profumo di Dafne per controllare se continuava a rispettare la castità forzata e vide compiaciuto che Profumo di Dafne era diventata un lago segno che l’eccitazione era profonda e insostenibile, ma stava resistendo..
Master Jack ordinò poi alla sua inserviente Monica una delle cameriere di far spogliare Profumo di Dafne e di portarla nella palestra della villa legandola alla spagliera che avrebbe dovuto punirla per l’affronto appena subito.
Dopo circa un quarto d’ora Master Jack arrivò nella palestra della villa con una piuma d’oca e cominciò a fare il solletico a profumo di Dafne: la piuma scorse infatti sotto ogni ascella per più di cinque minuti. Poi la slegò, la distese per terra legandole le braccia alla spalliera e le gambe strette con una corda , prese del sale e lo cosparse sui piedi di Profumo di Dafne che si chiedeva che diavolerie avesse in mente Master Jack fino a quando arrivò Monica con una capra. Profumo di Dafne guardò la capra terrorizzata, infatti capì che Master Jack voleva sottoporla a un antica tortura medioevale e che la lingua rasposa della capra avrebbe leccato il sale nei suoi piedi procurandole un sollettico terribile a cui era difficile res****re. E così infatti fu quando Master Jack fece allontanare la capra da Monica per profumo di Dafne fu una vera liberazione, anche considerando che il suo padrone disse che per quella sera poteva bastare e poteva andare a dormire e che domani sarebbe stata una giornata bellissima in sua compagnia e in compagnia del sole e del mare.
Alle otto e trenta del giorno successivo si presentò Monica nella camera di Profumo di Dafne mettendole collare e guinzaglio e dicendole che l’avrebbe portata da Master Jack che doveva andare in bagno .
Master Jack la stava infatti aspettando nel bagno adiacente alla sua camera da letto facendo segno a Monica che se ne poteva andare. Per prima cosa Master Jack disse che gli scappava la pipì e che avrebbe dovuto prendergli in mano il cazzo e indirizzarlo verso il water cosa che Profumo di Dafne fece immediatamente. Master Jack disse poi che doveva pulire il cazzo che era sporco di piscio e Profumo di Dafne istintivamente girò il rubinetto del bidè per prendere l’acqua per pulire il cazzo del suo padrone. Master Jack si mise a ridere e disse che aveva capito male la pulizia doveva farla lei con la sua lingua e la sua bocca. Per Profumo di Dafne fu una vera umiliazione, una signora del suo livello costretta a pulire e leccare un uccello sporco di piscio, ma sapeva di non avere alternative e si mise in ginocchio e cominciò a prendere in bocca e pulire l’arnese di Master Jack. La cosa la faceva quasi vomitare, ma sapeva che poteva permettersi tutto tranne una cosa del genere e con un enorme sforzo di volontà riuscì a leccare e pulire tutto il piscio presente nel cazzo di Master Jacks senza dare nessuna impressione di ribrezzo per l’attività che stava svolgendo.
Finita questa attività Master Jack con fare sornione le disse di mettersi il costume bianco a due pezzi che era sopra la sedia che sarebbero andati al mare.
Una volta arrivati in spiaggia anche le attività più banali creavano imbarazzo a Profumo di Dafne nel darsi la crema solare stava particolarmente attenta a non toccarsi in zone erogene come il seno e le vicinanze degli slip, infatti nella condizione in cui si trovava dopo praticamente una settimana di castità forzata le bastava un niente per eccitarsi e sei bagnava col costume bianco che aveva si vedeva tutto, così come tutti avrebbero visto i capezzoli diventare dritti.
Profumo di Dafne però non sapeva però che non sarebbe stato così facile res****re dato il livello di eccitazione che ormai aveva raggiunto, bastava infatti che qualche bel ragazzo la puntasse cosa non difficile essendo una bella donna che una macchia di umido emergeva dai suoi slip provocandole un forte imbarazzo e risate generali.
La capacità di resistenza di Profumo di Dafne era messa a dura prova tanto che spesso andava in acqua a bagnarsi per tentare di bloccare gli umori e l’eccitazione, ma la cosa diventava sempre più difficile e ostica da fare e l’umiliazione era accentuata dalla risate di master Jack e dei suoi amici che assistevano alla scena.
La cosa andò avanti così per tutto il giorno e una volta arrivata sera la capacità di resistenza di Profumo di Dafne fu messa a dura prova e non sapeva se quella notte sarebbe riuscita a res****re ancora alla castità forzata. Le cose infatti andarono così quella notte nonostante le continue docce fredde e sapendo che la punizione sarebbe stata terribile Profumo di Dafne decise di masturbarsi pensando che qualunque punizione le avrebbe provocato meno sofferenza di quella tortura.
Essendoci le telecamere nella camera dove Profumo di Dafne era alloggiata, Master Jack si accorse subito che Profumo di Dafne aveva violato la castità forzata, ma pensò che la cosa andava cucinata a fuoco lento e fece finta di niente.
La mattinata di domenica cominciò sempre nel bagno di Master Jack e nonostante l’esperienza di pulire un cazzo sporco di pipì non fu per Profumo di Dafne meno traumatizzante. Una volta arrivati al mare Profumo di Dafne sperava che l’effetto eccitazione si presentasse anche se si era masturbata, ma nonostante molti uomini la puntassero lo slip non si bagnava, né tantomeno i capezzoli diventavano dritti per l’eccitazione il che fece dire a Master Jack a pranzo mentre mangiavano in spiaggia che aveva disubbidito e che aveva violato la castità forzata. Profumo di Dafne cercò di bofonchiare che non era vero, ma quando Jack le disse che la camera dove dormiva aveva una telecamera nascosta si arrese e ammise quello che era successo.
Master Jack portò allora la schiava nella villa e le disse che sarebbe stata punita molto severamente in quanto non poteva permettere un simile affronto. Diede a Profumo di Dafne una spugna di ferro di quelle che si usano per pulire e le pentole e le ordinò di masturbarsi con quella fino a che fosse venuta. Quando la cosa successe il dolore per Profumo di Dafne fu tremendo le parti intime le bruciavano in modo tremendo. Master Jack fece segno all’austista di riportare Profumo di Dafne a casa, durante il tragitto fecero una sosta per andare in bagno il bruciore che Profumo di Dafne aveva nella passerina fece in modo che quando la pipì sgorgava era come un coltello che l’avesse tranciata in due dal dolore. Il dolore, l’irritazione e la sofferenza che Profumo di Dafne sentiva per essere stata costretta a masturbarsi in quella maniera non diminuiva e continuò imperterrito per tutta la notte nonostante l’acqua fredda e la crema che aveva cercato di darsi per lenire il dolore, in più Profumo di Dafne non si era neanche azzardata a bere un bicchiere d’acqua per tutta la notte per paura di dover tornare a fare pipì cosa che le faceva subire le pene dell’inferno dato lo stato di irritazione della sua passerina.
La mattina però per presentarsi al lavoro in uno stato presentabile fu costretta a fermarsi al bar a fare colazione cosa che la costrinse neanche dopo un ora ad andare a fare pipì. La pipì calda scorreva tra le pareti arrossate della passerina di Profumo di Dafne producendo dei dolori lancinanti. Questi dolori furono tremendi la pipì aveva infatti prodotto il risultato di acuirli ancorà di più e impedirono a Profumo di Dafne di concentrarsi come avrebbe voluto sul lavoro e ogni tanto si recava in bagno per cospargere di acqua fredda la passerina nel tentativo di farsi passare il dolore.
Finita la giornata lavorativa trovò il solito autista di Master Jack che la portava a fare i soliti massaggi molto particolari e la cosa la terrorizzava alquanto non sapendo se sarebbe riuscita a res****re al dolore che questi le avrebbero provocato data la condizione della sua passerina.
Entrata nel centro estetico Profumo di Dafne fu accomodata, fatta spogliare nel centro massaggi e informata che la massaggiatrice aveva il compito di usare delle creme lenitive sulla sua passerina martoriata, ma prima aveva l’incarico da Master Jack di controllare che non avesse utilizzato sostanze
per lenire il dolore. Profumo di Dafne fu sollevata nell’apprendere che avrebbe subito un trattamento lenitivo che l’avrebbe fatta stare meglio, ma che si vedeva chiaramente che si era cosparsa la passerina di crema e di acqua fredda per lenire il dolore e la massagiatrice si accorse di questo e le disse che avrebbe dovuto informare Master Jack perchè quelli erano gli ordini che aveva ricevuto e Profumo di Dafne fece segno di si col capo con fare sconsolato.
La serata proseguì in modo tranquillo, il suo padrone Master Jack non si era fatto sentire, la passerina cominciava a stare meglio e la sera riuscì ad andare in bagno senza sentire troppo dolore e soprrattutto a dormire la notte. Il giorno il dolore c’era ancora, ma le stava passando e il lavoro era ricominciato normalmente con la solita routine fino a quando arrivò la telefonata di Master Jack che le disse che si era data dei trattamenti lenitivi sulla passerina senza avere il suo permesso e che avrebbe dovuto essere punita. Le ordinò di radunare i suoi ex schiavi e di portarli nel fine settimana nella sua villa e loro sarebbero diventati i protagonisti della sua punizione. Il colpo psicologico per Profumo di Dafne fu tremendo e si rese conto dell’abisso in cui era sprofondata. Master Jack aveva fissato per sabato in una grande villa fuori città la punizione a Profumo di Dafne per aver osato lenire il dolore della passerina senza il suo permesso. L’ordine che il master aveva dato a Profumo di Dafne non le faceva presagire nulla di buono: le era stato ordinato di radunare e invitare per l’occasione tutti quelli che erano stati i suoi schiavi quando faceva la mistress. L’umiliazione di invitare coloro che l’avevano servita, riverita che erano stati usati come zerbini, cessi e il cui unico scopo nella vita era farla godere era tremenda. In breve tempo arrivò sabato sera e in questa enorme villa affitata per l’occasione insieme a Profumo di Dafne fecero la loro comparsa quindici uomini che erano stati gli schiavi di Profumo di Dafne. Emerse subito che Profumo di Dafne non aveva detto a questi il vero scopo della serata e della sua trasformazione, pensavano di essere stati invitati a quella che ritenevano una festa organizzata dalla loro mistress. La notizia gli sconvolse, ma Master Jack fece subito presente che essendo diventata Profumo di Dafne una sua schiava anche loro erano diventati suoi schiavi in quanto nel contratto di schiavitù Profumo di Dafne glieli aveva ceduti. Per prima cosa Master Jack disse che Profumo di Dafne dovrà essere punita per non avervi detto di questa sua nuova condizione: I piedi di Profumo di Dafne furono bloccati in una gogna dopo di che Master Jack ordinò a uno degli schiavi di cospargere del sale sui piedi di Profumo di Dafne, dopo di che Master Jack fece entrare una capra a****le goloso di sale che con la sua lingua rasposa cominciò a leccare le piante dei piedi di Profumo di Dafne procurandole un sollettico tremendo. Dopo un quarto d’ora Master Jack ordinò a uno degli schiavi di riprendere la capra e di interrompere il suplizio con vivo sollievo di Profumo di Dafne che non aveva mai sofferto in questa maniera. Finita questa umiliazione Master Jack disse che Profumo di Dafne doveva essere punita per essersi lenita la passerina arrossata senza il permesso del suo padrone. Master Jack ordinò a ciascuno degli ex schiavi di mettere dei ganci di quelli che si usano per fissare le tende sui capezzoli di Profumo di Dafne e poi dopo secondi di toglierli e lasciare il turno ad un altro che avrebbe fatto la stessa cosa finchè lo avrebbero fatto tutti. Il dolore per Profumo di Dafne fu tremendo gli anelli delle tende stringono molto di più di quelli che possono essere altri mezzi di tortura dei capezzoli, ma quello che era più devastante era il fatto che gli ex schiavi non avevano pratica di questa attività quindi mettendo gli anelli delle tende in modo improvvisato questi facevano ancora più male. Finita questa tortura Master Jack disse che la punizione non era stata sufficiente affinchè Profumo di Dafne nel proseguio fosse stata una buona schiava e diede loro una stecca di bambù a testa e avrebbero dovuto dare a Profumo di Dafne dieci steccate a testa. Alla fine Profumo di Dafne ricevette centocinqua colpi con la stecca di bambù, il dolore era tremendo e visibili le piaghe sul suo culo.
Il giovedì successivo all’uscita dall’ufficio, Profumo di Dafne trovò una Porsche Cayenne ad aspettarla. Venne fatta sedere nella parte posteriore della macchina dove c’era una donna che non aveva mai visto né conosciuto prima che si era presentata come Mistress Jane. Nella parte anteriore della macchina invece c’era Master Jack con l’autista che le fece presente che durante il viaggio sarebbe stata testata.
Mistress Jane le spiegò che quello a cui erano diretti era uno degli eventi più importanti del jet set europeo amante del bdsm e che le schiave erano state accuratamente selezionate per il loro masochismo e capacità di sottomissione e soprattutto i padroni e le padrone erano tra i più sadici del continente. Le fece presente che lei e i suoi compagni di di sventura erano stati ingaggiati da annoiati ricchi europei per ass****re a uno spettacolo e che quindi ogni errore, ogni comportamento non ritenuto soddisfacente sarebbe stato redarguito pesantamente con un pubblico che spesso incitava alla punizione e al sadismo, Master jack fece poi sommessamente notare che uno di questi era lui e che aveva scelto Profumo di Dafne come partecipante al party.
Mistress Jane diede a Profumo di Dafne dei vestiti da indossare immediatamente e con cui si sarebbe recata al party anche se sarebbe stato più esatto definirli non vestiti in quanto embrava praticamente nuda. Durante il viaggio Mistress Jane armeggiò con la passerina di Profumo di Dafne facendola spesso arrivare alle soglie dell’orgasmo e interrompendosi nel momento topico il che le procurava una frustrazione non indifferente.
Dopo qualche ora arrivarono in una villa che si trovava all’interno di un immenso parco dalla parti di Perugia. Nel parcheggio Profumo di Dafne vide che le macchine dei partecipanti al party erano tutte da sogno da Bentley a Lamborghini ad Aston Martin.
Entrati nella villa c’era un enorme arena specie arena romana dove tra il pubblico si assiepavano i ricchi organizzatori del party, mentre nel palco si trovavano padroni, mistress e schiave.
L’evento si componeva di due parti all’inizio le schiave partecipavano a una specie di giochi senza frontiere con i dominanti presenti e solo le migliori schiave avrebbero poi avuto l’onore di subire una sessione vera e propria, le altre invece sarebbero state selvaggiamente punite per non essere state all’altezza.
La prima prova fu quella dei ganci delle tende: vennero messi dei ganci delle tende sui capezzoli delle schiave e in base al tempo che queste resistevano fu stilata una classifica. Queste sapendo le terribili punizioni che sarebbero spettate alle ultime classificate, in queste prove cercarono di res****re il più possibile e nelle loro facce traspariva tutta la sofferenza che i ganci procuravano sui cappezzoli, infatti questi strumenti hanno la caratteristica di stringere in modo brutale. Il pubblico tra gli spalti sghignazzava sulle difficoltà e sulla sofferenza delle schiave che erano soggette a questa tremenda prova umilandole ancora di più.
Le altre prove non furono più facili: andarono dal solletico brutale con i piedi delle schiave chiusi in una gogna, a clistere, a ingurgitare litri e litri d’acqua senza poter fare pipì, a trasportare carri molto pesanti con persone.
L’ultima prova quella che avrebbe stilato la classfica definitiva della prima fase e avrebbe qualificato una parte delle schiave per le sessioni vere e proprie e un altra parte delle schiave alle punizioni brutali fu quella della cera bollente.
La prova iniziava con la schiava o per meglio dire la malcapitata che veniva distesa in un letto completamente nuda e a cui veniva fatta colare della cera bollente che però non era quella a punto basso di fusione, ma erano cere normali quindi il dolore era decisamente superiore. Avrebbero vinto le schiave che avrebbero chiesto più tardi possibile di interrompere il supplizio.
Profumo di Dafne riuscì a res****re molto a lungo a e comportarsi molto bene in tutte le prove anche se ciò era dovuto più che altro alla disperazione, infatti quello che aveva subito con il bambù sul sederino l’aveva indotta ad avere una forte determinazione per non ripetere l’evento.
Si concluse così la prima fase. La seconda fase iniziò con le punizioni per le schiave che non si erano qualificate. Queste punizioni furono tremende e la cosa provocò ancora più terrore in quelle che dovevano ancora subire il supplizio. La punizione consistette in cinquanta colpi nel sedere delle malcapitate con una frusta a nerbo di bue, cioè una di quelle fruste che si usavano per ammansire i buoi. Le schiave dovevano contare i colpi in modo che tutto il pubblico sentisse il conteggio e se ciò non avveniva il conteggio poteva riprendere da zero per due volte. Poichè tenere un tono di voce normale con questa prova tremenda era praticamente impossibile questo capitò praticamente sempre. Alla fine di queste frustate le malcapitate non riuscivano nemmeno a reggersi in piedi tra gli sghignazzi del pubblico.
Incominciò quindi la fase finale in cui ognuna delle schiave che si erano qualificate per la seconda fase sarebbe stata sottoposta a una sessione con un master o una mistress. In questo caso il giudizio l’avrebbe dato l’applausometro del pubblico.
Profumo di Dafne fu sollevata dal fatto che aveva evitato la terribile punizione del nerbo di bue a cui sapeva di non essere in grado di res****re, ma ancora non sapeva cosa la aspettava.
Profumo di Dafne dovette per la sua prova interfacciarsi con una mistress. La cosa iniziò in modo soft: Profumo di Dafne dovette leccare gli stivali della mistress anche sotto i tacchi, era una cosa a cui era abituata e non ci fece caso.
Era però solo l’inizio a partire dalla seconda prova le cose diventarono più pesanti le vennero fatti ingurgitare tre litri d’acqua e poi le venne ordinato di correre intorno all’arena senza fare pipì cosa che non le riuscì e depositò tutta la pipì per terra. A questo punto la mistress interrogò il pubblico chiedendo cosa avrebbe dovuto ordinare e la risposta fu falla leccare il piscio, falle leccare il piscio. La mistress allora ordinò a Profumo di Dafne di leccare la pipì. Profumo di Dafne leccò la sua pipì, ma con frequenti conati di vomito il che provocò grida di disapprovazione del pubblico che chiedeva di punirla e in quel momento Profumo di Dafne capì che non avrebbe sicuramente vinto in quanto alle altre schiave questo non era successo.
Profumo di Dafne infatti si classificò ultima tra quelle che si era qualificate per la seconda fase. Le sconfitte vennero però a conoscenza che anche loro sarebbero state sottoposte al nerbo di bue. Alla fine di questo trattamento, Profumo di Dafne aveva tremende piaghe sul sedere, ma era rinfrancata dal fatto che questa odissea era finita e la schiavitù era finita.
17
Zio Antonio
Mi chiamo Clara, ho 30 anni, sposata ma senza figli. Abito con mio marito in una grande città, dove lavoriamo entrambi. Sono abbastanza alta, due seni della terza misura che stanno su anche senza l’aiuto del reggiseno ed un culo bello pieno e sodo, che tengo in forma andando spesso in palestra.
La scorsa primavera fummo invitati da mio zio Antonio a passare alcuni giorni nella fattoria che era stata dei miei nonni. Ora la gestisce lo zio, da quando è andato in pensione. Erano molti anni che non ci andavo ed ero curiosa di vedere com’era.
La ricordavo da quando c’erano i nonni come una grande casa con un mucchio di stanze, stalle, ed un fienile. Ma siccome i nonni erano vecchi, era alquanto malandata.
Il ponte del 25 aprile andammo io e mio marito, mia madre, sorella di zio Antonio e mio padre. Quando arrivammo grande fu la mia sorpresa nel vederla. Lo zio l’aveva ristrutturata per bene, la casa era grandissima come la ricordavo, ma stalle e fienile sembravano nuovi, l’aia era pulita, nei recinti si vedevano alcuni a****li, capre, mucche galline. Poi c’era un nuovo capannone con macchine agricole, insomma sembrava molto florida.
Ci accolsero lo zio e sua moglie. Zio Antonio aveva 70 anni, era un uomo non molto alto, piuttosto robusto, braccia e gambe forti causa il lavoro nei campi, con pochi capelli bianchi, un sorriso franco e due scintillanti occhi neri. Sua moglie, la zia Carmela, era la classica matrona settantenne, gran petto, grossi fianchi.
Ci fecero accomodare, ci mostrarono le nostre stanze, ognuna con un bagno privato, ma da cui si accedeva anche dal corridoio, situate al primo piano.
Una volta che ci fummo accomodati, ci cambiammo, levandoci gli abiti da città e mettendoci abiti adeguati. Io misi una canotta con due sottili spalline ed un paio di calzoncini corti, senza reggiseno ne mutandine. La cucitura dei calzoncini mi segnava la passerina e mi stimolava il clitoride quando camminavo, cosa che mi piaceva un sacco.
Lo zio ci fece accomodare su delle poltroncine sotto una grande pergola e ci servì degli aperitivi, mentre la zia preparava il pranzo e la tavola poco più in là.
Vidi che lo zio non mi levava gli occhi di dosso e questo mi eccitava alquanto, dato che vado pazza per gli uomini di una certa età, tanto che i capezzoli mi stavano diventando turgidi e sentivo un certo calore nel basso ventre.
Sul più bello, quando stavo per andare in bagno per potermi fare un ditalino, la zia uscì dalla cucina e ci fece accomodare a tavola, sempre sotto la pergola.
Il pranzo fu ottimo, la zia aveva cucinato delle pietanze squisite, il vino, proveniente dalla cantina della fattoria, era ancora migliore e ce ne servimmo tutti abbondantemente. Alla fine del pranzo, mentre la zia e lo zio sparecchiavano, i miei genitori e mio marito si ritirarono a fare la siesta.
Io ero troppo eccitata da tutto l’insieme ed annunciai che invece sarei andata a fare un giro per la fattoria, per rivedere i luoghi che avevo conosciuto da bambina.
Mi allontanai ed inizia a girare fra i filari di vite, il fienile, i posti dove giocavo da piccola. Poi mi diressi verso i recinti degli a****li, c’erano delle mucche, più in là c’era un recinto con delle capre.
Ad un certo punto, notai del movimento e vidi il caprone che abbrancava una delle caprette e le infilava il suo membro nella vagina. La cosa mi eccitò da morire e rimasi lì, imbambolata, a guardare.
Iniziai a sentire un rimescolamento nel basso ventre, un calore tale che mi costrinse ad prendere qualche provvedimento. Quasi sconvolta, mi infilai la mano dentro i pantaloncini ed iniziai a sgrillettarmi furiosamente, appoggiata alla staccionata.
-”Vedi, è la primavera, la stagione dell’amore, gli a****li la sentono” sentii la voce di mio zio dietro di me.
Mi mise una mano sulla spalla. Mi vennero i brividi dall’eccitazione.
-”Guarda là”, disse, “vedi, anche l’asinello sente la voglia di sesso”, indicandomi alla mia sinistra, dove in un altro recinto stava un asinello che il suo pene rosso di fuori.
Mi prese la mano non impegnata nella mia passerina e se la portò all’inguine, appoggiandola sopra i pantaloni. Sentii un bozzo di dimensioni incredibili. Mentre lo massaggiavo lentamente, dietro di me, lui si aprì la lampo dei pantaloni, si abbassò i boxer e me lo mise in mano. La circonferenza era tale che non riuscivo a chiudere la mano completamente.
La mano che stava sulla mia spalla iniziò a scendere lungo la mia schiena e, mentre con una mano lo segavo lentamente, con l’altra mi sgrillettavo furiosamente, come ipnotizzata. Poi, la sua mano giunse all’altezza del mio culetto e, con mossa leggera, mi sfilò i calzoncini e li lasciò cadere a terra. Poi, con un dito, da dietro, mi entrò nella patatina allagata.
Si mise dietro a me, mi fece piegare leggermente in avanti e mi aggrappai con le mani alla staccionata mentre lui appoggiava il glande all’ingresso delle mia fighetta. Poi mi afferrò con entrambe le mani sui fianchi e, con un colpo deciso, entrò tutto in me, fino alle palle.
La sua nerchia era enorme, ne ho prese tante in vita mia, anche dopo sposata, ma come quella nessuna. Mi fece un po’ di male all’inizio, ma scivolò dentro senza troppa fatica tanto ero bagnata.
Mi sentivo piena come mai prima di allora.
Iniziò a pompare lentamente, con degli affondi lunghi, prima quasi fuori, poi fino a schiacciarmi l’utero. Mi sembrava mi arrivasse in gola, da tanto era lungo. Ebbi un primo orgasmo quasi subito.
Stavo per urlare dal godimento, quando lui fece :
-”Fai silenzio, altrimenti richiamerai tutti”.
-”Oh, zio, mamma mia, quanto sto godendo, ti prego non fermarti, ancora, sììììììììììì”.
-”Che porcellina che sei. Ti piace il cazzone dello zio, vero ?”
-”Sììììììììììììììììì, zione, sìììììììììììììììì, mi piace da morire”
-”Sei una troietta, ti piace scopare, vero ?”
-”Sìììììììììììììììììììììì, zio, sono la tua troietta, ho sempre sognato un cazzone bello grande come il tuo”.
-”Ora ti sfondo per bene”
-”Sì, zio sfondami, ancora ti prego”
A tutto questo, lo zio Antonio continuava a pompare come un dannato ed io avevo oramai degli orgasmi a ripetizione. Ma lui non era stanco, anzi, sembrava avere un’energia inesauribile.
Si sfilò da me, lasciandomi una sensazione di vuoto, mi fece girare e mi appoggiò alla parete del fienile, che ci nascondeva dalla casa, mi alzò una gamba portandosela fin sulla spalla e mi inzilò nuovamente il suo uccellone nella mia patatina bollente. Mi sbatteva letteralmente contro la parete ed io continuavo a venire in continuazione.
Infine mi fece mettere le braccia attorno al suo collo, mi fece serrare le gambe attorno ai suoi fianchi e, sostenendomi con le mani sotto il culo, mi portò dentro al fienile, dove si sdraiò con me sopra. Mi strappo il top e, mentre io lo cavalcavo selvaggiamente, mi massaggiava le tette, mi pizzicava i capezzoli, fino a che venne mentre io avevo l’ennesimo orgasmo.
Mi lasciai cadere sul suo petto, esausta. Lui pure era stanco, sudato da morire, c’era odore di sesso e di sudore che pervadeva l’ambiente.
Pian piano il suo enorme pisellone si sgonfiò al che me lo sfilai e mi sdraiai al suo fianco.
-”Ah, che bella scopata, erano mesi che non facevo una scopata così” disse, finalmente.
-”Zio, mi hai distrutta” dissi a mia volta, mentre gli accarezzavo l’uccello, che a riposo aveva dlle dimensioni considerevoli.
-”Non mi sembra ti sia spiaciuto, vero?”.
-”Oh, no, è stato grande. Non avevo mai goduto tanto. Non avevo mai preso un cazzone grosso come il tuo, zio”.
-”Bé, quando vuoi, si può ripetere” disse, sogghignando.
-”Ora sarà difficile, ho la figa in fiamme”. Guardai l’orologio. “Oddio, sono passate quasi due ore, staranno per alzarsi tutti”.
Mi alzai e corsi dentro a casa, nuda com’ero, infilandomi da una porta secondaria senza far rumore, salii silenziosamente le scale ed entrai nel bagno senza far rumore e mi misi sotto la doccia. In quello entrò mio marito, che si era appena svegliato dalla siesta.
-”Che ci fai qui ?” chiese.
-”Be, sai, fuori faceva caldo, ho sudato tanto ed allora ho pensato di farmi una doccia”, risposi.
Lui si abbassò i boxer e tirò fuori il suo pisello per fare la pipì. Mi venne da confrontarlo con quello dello zio. Il membro di mio marito non è piccolo, ma in confronto con quello di zio Antonio sembrava uno stuzzicadenti.
Quando se ne andò, finii di lavarmi, mi asciugai ed andai in camera per vestirmi. Mio marito, a quel punto, era già sceso. Mentre stavo pensando a cosa mettere, la porta si aprì ed entrò mio zio con i miei calzoncini ed il top che indossavo prima.
-”Pensavo sarebbe stato imprudente per te lasciarli in giro, non trovi ?” disse, dopo aver chiuso la porta dietro di sé, “certo che ti sei fatta proprio una bella gnocca”.
-”Zio, mi hai distrutto, la figa mi brucia da morire” replicai, ancora nuda dopo la doccia, “non so quando potremo rifarlo, ma stai sicuro che lo rifaremo. Ora vai, prima che qualcuno ci becchi così”.
Lui se ne andò, mi rivestii, mettendo un altra maglietta ed una minigonna. Rimasi senza reggiseno, ma misi un perizoma, vista tutta la gente che c’era per casa.
La sera mio marito volle fare l’amore ma dovetti rifiutare con una scusa, avevo mal di testa perchè avevo bevuto troppo, dissi.
Nei giorni seguenti, mi riposai. In fin dei conti, la campagna era proprio riposante, se non si hanno lavori urgenti da fare.
Il giorno prima di ritornare in città, lo zio disse che doveva andare a fare delle commissioni al paese vicino. Io mi offrii di accompagnarlo. Mi misi un corto vestitino, di quelli senza spalline, con la zona del seno elastica, che mi copriva appena il sedere, con dei sandali bassi. Sotto avevo messo un perizomino di pizzo bianco.
Non appena partimmo da casa, me lo levai, rimanendo con la fighetta nuda. Lo zio mi mise subito la mano sull’inguine ed iniziò a massaggiarmi il clitoride. Io, a mia volta, iniziai a massaggiargli quell’enorme membro. Io mi bagnai immediatamente, mentre a lui venne subito duro, tanto che dovetti aprirgli i pantaloni, mentre lui mi infilava il suo dito fino in fondo nella patatina.
Quando fummo abbastanza lontani da casa, lo zio s’infilò in una stradina laterale, scese prendendo una coperta e mi fece andare con lui, dietro un cespuglio che ci nascondeva dalla strada.
Mi levò il vestito, si calò i pantaloni, mi fece stendere e si posizionò sopra di me, puntellato sulle braccia. Io gli presi l’uccellone, lo puntai sull’entrata della mia patatina e lui, con un colpo deciso, affondò tutto in me, riempiendomi tutta.
Mi scopò in tutte le posizioni e, alla fine, mi riempì la passerina di sborra calda. Io godetti da morire, ebbi almeno una decina di orgasmi. Lo zio era insaziabile, una durata incredibile. Alla fine ero distrutta.
Mi rimisi il vestito, tendomi le mutandine per evitare che la sborra dello zio allagasse la macchina, gli ripulii ben bene l’uccello con la bocca e ripartimmo per le commissioni. Io ero talmente stanca che lo aspettai in macchina.
Quando ritornammo, mi rifugiai in camera con una scusa e scesi solo per cena. Al mattino seguente ripartimmo, con quella che ci saremmo rivisti tutti.
Penso proprio che ritornerò spesso a far visita a zio Antonio.
18
L’odore del sesso
Cos’è successo?
Dove sei andata? Dove è finita la ragazzina a cui infilavo le margherite
tra i capelli, quelli fluenti, lunghi e lisci come seta, non quella
acconciatura da matrona romana che hai ora, che giocava e si rotolava nei
prati con me e rideva e si scherniva e poi mi baciava d’impluso con tutta
la foga spensierata dei vent’anni?
Ti guardo ora. Non sei più la stessa. L’espressione indurita tra gli occhi
e lo sguardo cupo che non si accende più per me. Niente più corse nella
spiaggia deserta all’imbrunire, niente più falò e stelle cadenti e baci e
carezze e ansimi e sussurri e il tuo corpo morbido e il mio teso e proteso
verso di te.
Una fila interminabile di ombrelloni. Tutti dello stesso color ruggine,
perfettamente allineati. In questo nostro nuovo mondo non c’è più spazio
per il disordine.
Una casa di proprietà, due figli, un rassicurante conto in banca e un suv
nuovo fiammante come si conviene ad una famiglia come la nostra. Tutte le
cose giuste e al loro posto.
Lo vedo. Lo vedo come lo guardi, non è una novità per me quel tuo sguardo
sornione e malizioso.
Mediamente alto, mediamente sovappeso e mediamento sposato. Pizzetto e
tempia rasata. Occhi azzurri.
Io gli occhi ce li ho marroni, il colore più anonimo dell’universo.Come me.
Sguardi ricambiati e insistenti tra le sdraio e i lettini unti di crema
solare e corpi bagnati.
Sguardi azzurri e neri che si intrecciano, sopra i nostri bambini che
giocano assieme, sopra la noia del matrimonio, sopra la noia di tutta
questa vita.
`Allora vado’
`Sì, resto io con i bambini’
Si è truccata. Solo un velo leggero, ma c’è. Non ci sarebbe nessun bisogno
di restare. Giulia e Federico dormono come sassi e in ogni caso sono
abbastanza grandi per poter stare qualche ora da soli.
Ma non ne ho voglia. Non ho più voglia di attrezzatissimi villaggi con le
palme, di vialetti lindi e ordinati, di animatori forsennati e insistenti
e dei loro giochini demenziali. Ho voglia di disordine.
Chiudo gli occhi. In questo momento vorrei essere su una spiaggia deserta,
con il vento dell’oceano che ti soffia forte sul viso e una ragazza che si
lasci infilare fiori tra i capelli.
E invece esco. D’impulso. Aria. Ho bisogno di aria. Il tirreno non è
l’atlantico ma se chiudo gli occhi potrei farlo diventare, non sono poi
così vecchio da non saper più sognare.
Passo accanto all’anfiteatro, tronfio di musica e baldoria.
Dall’altoparlante la voce del capo animazione che arringa la folla in
delirio da vacanza. Stanno facendo un gioco, mi sembra ci capire,
reclutano coppie tra gli uomini-bambini e li fanno giocare insieme proprio
come grossi bambinoni ritardati. Sto per passare oltre quando qualcosa mi
induce a fermarmi. Una risata che ben conosco, in quel bosco di rumori e
schiamazzi. Una risata argentina, fresca e allegra come non la sentivo più
da vent’anni.
Infatti è lei sul palco. Accanto, tra lei e l’animatore c’è il tipo della
spiaggia.
Ondeggia, si muove e ride in quel gioco per bambini deficenti.
Il tipo col pizzetto è istrionico, si vede lontano un miglio che cerca di
far colpo su di lei, che d’altro canto non si rifiuta affatto. Se volete
far colpo su mia moglie fatevi venire gli occhi blu. Sono una garanzia.
Ecco, dovrei sentire dolore adesso, gelosia la chiamano, e invece nulla.
Il vuoto.
Il gioco prevede che i due si struscino e si intrecciano in posizioni
complicatissime, chiaramente erotiche. I suoi seni si posano sulla schiena
dell’uomo, che si volta sopreso. Ha chiaramente gradito e lo sguardo che
le getta nella scollatura è carico di cupidigia.
Sorride soddisfatta. Ha notato l’abbraccio azzuro sui propri seni e lo
sguardo che gli rivolge è più di una promessa.
Non so perché lo faccio.
Perché me ne sto acquattato dietro un salice, nell’ombra deserta dei campi
sportivi a spiare come un guardone mia moglie che si concede ad uno
sconosciuto.
Neanche una traccia di quel dolore che dovrebbe arrivare e non arriva.
Rimango a guardarlo mentre le palpa il seno, lo stringe con forza, le mani
a coppa sopra la stoffa leggera del vestito estivo.
Non le aveva così grandi una volta le tette. Credo le siano cresciute con
le gravidanze e dopo sono rimaste lì voluminose e ingombranti, pronte a
far la gioia di qualche infedele con gli occhi azzurri e il pizzetto.
La bacia sul collo e subito vedo mia moglie arrendersi languidamente con
la libido sul viso.
Se volete scoparvi mia moglie baciatela sul collo. Non resiste, garantito.
Affonda una mano nella scollatura, impasta a lungo, a semicerchio poi le
sbottona il vestito.
Una mammella, grossa e pesante sguscia fuori dal reggiseno, mezzo
abbassato.
E’ bianca come il latte e la sua apparizione imprevista e prepotente
squarcia il buio della notte e mi suscita un brivido del tutto inspettato.
Non lo conosco più il tuo corpo. Non conosco queste tue nuove forme
procaci da signora. Troppo tempo è passato dall’ultima volta che ti ho
sfilato la camicia da notte e ammirato il tuo corpo nudo nella luce
tiepida e discreta della nostra camera.
Ti bacia le tette. Una alla volta. Succhia, e quei larghi alveoli viola
che così tante volte ho leccato, spariscono ingoiati nel lordo pizzetto di
una bocca estranea e sconosciuta.
Ti solleva la gonna, mentre tutto intorno i grilli iniziano a frignare
salmi ossequiosi.
Le mutandine bianche, nel fondo delle cosce abbronzate. La sua mano che vi
penetra, tu che reclini il capo e sospiri.
E’ fatta, chiaramente si è arresa, niente più impedirà a quest’uomo di
scoparsi mia moglie nel silenzio complice di quest’angolo appartato.
Non certo io che me ne sto impietrito dietro questo albero piangente a
ruminare sentimenti che dovrei provare e non provo e altri nuovi che non
dovrei avere e ho.
Si inginocchia davanti a te e la sua nuca rasata sparisce sotto la gonna
nera, le mutandine cadono alle caviglie e tu strabuzzi gli occhi, sospiri
e lasci che quest’uomo, di cui non conosci neanche il nome, ti lecchi
voluttuosamente la fregna.
Te l’ho insegnato io questo gioco. All’inizio non volevi saperne di
rapporti orali. Cose da a****li dicevi. Solo poco alla volta ti sei
lasciata andare ai miei baci e alle mie esplorazioni bagnate.
`porca miseria, sto venendo!’ mi hai urlato con voce ridicolmente ingenua
quella prima volta. Mi sembra di sentire ancora il bruciore delle tue
cosce sulle guance, il tuo sapore sozzo sulle lingua.
E’ la vampata di un attimo poi torno al presente. Il presente ora è
davanti a me, sotto la luce diafana dei lampioni del campo di
pallacanestro. E’ mia moglie, quella che ho sposato più di dieci anni fa,
è la madre dei miei figli che poggiata contro un albero, le mutande calate
e le gambe divaricate, si fa leccare la fica da quest’uomo.
In fondo sapevo che sarebbe arrivato questo momento. Lo sapevo dal giorno
in cui ho iniziato a non guardarla più mentre si spogliava, la sera. Ad
ignorarla per giornate intere a respingere digustato l’idea di dover fare
qualcosa con quell’arpia velenosa con cui avevo appena finito di
azzuffarmi per una luce lasciata accesa o per il volume troppo alto.
Qualche estemporanea e sbrigativa avventura extraconiugale, mi aveva
definitivamente spento ogni residuo trasporto.
Eppure mi sembra di scoprirti in una luce nuova mentre quest’uomo ti
spoglia e si spoglia a sua volta davanti a te.
Forse sarà per quel seno bianco che ciondola mollemente fuori dalla
spallina, o forse sarà anche per la mano che ora gli insinui nei
pantaloni, ma qualcosa mi si muove dentro. Un desiderio nuovo che credevo
ormai scomparso mi assale nel vedere quella mano muoversi nei pantaloni
dello sconosciuto.
Gli stai toccando il cazzo. Stai stringendo un cazzo che non è il mio. E
muovi quella mano stancamente mentre lui ti abbassa vestito e reggiseno in
unica soluzione e le mammelle ti balzano fuori tremolando come due
sacchetti di gelatina.
Lavori per liberarlo, cinghia bottoni, lampo e infine arrivi.
Un brivido e una fitta violenta al costato quando finalmente ti vedo
stringergli il cazzo eretto. Lo masturbi mollemente, con quel ritmo stanco
che ben conosco. Non dura molto. Lui ti pone le mani sulle spalle
costringendoti ad abbassarti. Lo sappiamo tutti e tre cosa devi fare, ora.
O almeno quello che lui pretende da te.
Ecco. Ora voglio proprio vedere cosa succederà. Se davvero mia moglie se
lo farà mettere in bocca quel cazzo schifoso. Perché lei la odia sul serio
questa cosa qui.
Dopo anni di insistenze e tentativi io ci avevo perso ogni speranza a
farmi fare una pompa da mia moglie finchè nella più inaspettata delle
sere, per la prima ed unica volta, successe davvero.
Era morta sua madre quella stessa mattina e non so se per la depressione
seguita o cosa ma finimmo a letto praticamente subito e lì tra un
singhiozzo e una lacrima mia moglie finalmente acconsentì a farselo
mettere in bocca.
Mi sembrò di toccare il cielo con un dito, anche se tecnicamente non fu
una gran cosa. Era la prima volta in vita sua che lo faceva e non sapeva
bene come muoversi. Se lo strofinò un po’ tra le labbra aperte e quando
finalmente si decise ad infilarselo in bocca non gli riuscì di andare
oltre il glande.
Io comunque eiaculai quasi subito.
Non me ne accorgo al momento, ma anche i grilli hanno smesso di lagnarsi e
ora siamo tutti lì ad aspettare e vedere cosa farà mia moglie.
E finalmente Marianna si muove. Lo tiene tretto nel pugno, apre la bocca,
si china e –proprio in quel momento con un gran fracasso partono gli
irrigatori automatici. Per una attimo la scena è comica, tu balzi in piedi
nuda e lui, che ti viene dietro, con quel cazzo penzoloni sembra quasi un
satiro che rincorre la preda.
Si rincorrono e cercando di allontanarsi dal getto d’acqua finiscono per
cadervi proprio sotto e avvinghiati uno all’altra tentano di liberarsi
degli ultimi indumenti che hanno indosso.
E ora guardate me. Sono quello di spalle, stempiato e un po’ ingobbito.
Guardatemi mentre mi masturbo guardando mia moglie fare sesso con un altro
uomo. Guardatemi mentre le ammiro il corpo nudo e abbronzato e la riscopro
come fosse la prima volta.
Tra le pieghe della gonna sollevata in vita, le si intravede la fica.
Smetto anche di masturbarmi per osservare meglio questo buco che una volta
mi apparteneva e dove presto un altro uomo penetrerà al posto mio, se non
faccio niente.
E’ da così tanto tempo che non gliela vedo che mi sorprendo a scoprirla
perfettamente liscia e glabra. Non sapevo si depilasse là. Ai nostri tempi
o alla nostra età, non c’era e non c’è questa moda di radersi il pube. Il
fatto che l’abbia fatto me la fa riscoprire più giovane e disponibile.
Forse non è ancora gelosia ma inizio a provare quantomeno invidia per
questo stronzo con gli occhi azzurri che è riuscito a portarsi a letto,
cioè sul prato, mia moglie con le sue nuove tette e la figa depilata.
Succede senza che me ne accorga. Lei è distesa prona e lui le è sopra
mordicchiandogli l’orecchio. Adesso dovrei intervenire e strappargliela
via. Mi accorgo che sta succedendo qualcosa solo quando vedo il culo nudo
di lui muoversi ritmicamente su e giù.
Una fitta mi trapassa il cuore. Dovrei scappar via ora oppure saltargli
sopra e strapparglielo di dosso, qualunque cosa. E invece rimango qui a
soffrire guardando mia moglie che si fa scopare come una cagna da un altro.
Vi vedo bene ora che ti ha fatto mettere carponi. Non si è preso neanche
il disturbo di toglierti il vestito. Hai la gonna arrotolata sulla schiena
e dalle spalline abbassate le pesanti mammelle, fuori dal reggiseno
oscillano violentemente, dal viso allo stomaco, infrangendosi con un tonfo
sordo ora su uno e poi sull’altro.
Neanche le più trucide mignotte si fanno sbattere così in mezzo al campo
di uno squallido giardino periferico.
Puttana!
Puttana!
Puttana! Grido.
Poi vengo sborrando copiosamente sulle margherite.
Rientri che è quasi l’alba. Sgaiattoli in bagno cercando di non far
rumore. Mi assicuro che i bambini dormano e ti raggiungo. In mano tengo
stretta una sbarra di ferro.
Sei davanti allo specchio e ti bagni il viso. Hai gli occhi cerchiati di
rosso. Devi aver pianto. Sollevi lo sguardo e guardi senza capire la mia
faccia truce riflessa nel chiarore del neon.
Hai dei lividi sul collo e sulle braccia. Una spallina del vestito è
strappata e sotto si vede la mammella gonfiare il reggiseno. Puzzi di
sesso ed erba bagnata.
Sento un brivido alla schiena mentre sollevo la pesante sbarra. Mi fai
schifo, ti odio come non mai e ho una voglia matta di scoparti.
Senza una parola ti vengo dietro con la sbarra spianata. Ti strappo di
nuovo il vestito, denudantoti il petto e affondo il viso nell’incavo del
collo. Ti irrigidisci, poi chiudi gli occhi e ti lasci andare e mi
carezzi, cercando con la tua bocca la mia. Sobbalzi quando senti la mia
sbarra infilarsi tra le tue chiappe.
Ti faccio chinare sul lavandino, scopro la tua fica, la tua nuova fica,
depilata e sozza e guardo la tua faccia attonita rattrappirsi in una
smorfia di piacere mentre la mia sbarra penetra lentamente dentro di te.
Dolce e perversa
” Vita MIA,quante cose vorrei dirti, quante cose vorrei farti, tutte quelle cose che non ti ho mai detto e fatto, ahimè!
Quante cose mi sono perso di te.
Da parecchio tempo ti penso oramai, più ti penso e più ti sento nel segreto del mio cuore.
Affiora la gelosia, la paura di perderti, non lo nascondo, è finita l’era dell’uomo che non deve chiedere mai, non c’è più l’uomo sciocco, il tempo trasforma, e migliora, avvicina ecco … non mi vergogno di cercarti, a chiederti un abbraccio, a volere il tuo calore delle tue intimità accoglienti, la tua intelligenza, la tua grazia.
Quante volte non mi sono comportato a dovere, quante volte ho mancato?
SANNGU MIU,quando mi scrivi, quando sento la tua voce, sapessi come ti sento, si sveglia tutto il desiderio di darmi tutto, di stringerti, di ….
Duci NICA MIA, ti adoro da morire …
tuo Già ”
La lettera era datata cinque giorni prima, l’aveva imbucata a Roma durante il soggiorno per partecipare a una conferenza sulla gestione delle emergenze e proprio durante quei giorni lontano di casa, dalle responsabilità, dai figli, da tutto, aveva sentito fortemente la sua mancanza.
L’estate passata a fare l’amore nella penombra del suo appartamento a Milano era appena trascorsa.
Tutti quei pomeriggi e quelle notti a soffocare gli orgasmi in baci voraci, lascivi, rabbiosi, avevano cambiato per sempre la sua vita.
Non aveva mai tradito prima la moglie ma a lei, alla sua bocca, non aveva saputo dire di no.
Ora nel mentre di quella breve pausa in una città che non era la sua, alcuni ambienti, perfino alcune ore del giorno lo rimandavano a quei momenti di puro piacere ed autentica intimità, tutto ciò che desiderava, era quel contatto caldo e rassicurante, quelle labbra premute contro le sue in un bacio tenero e lunghissimo che poi finiva sempre per avvolgere tutto il suo essere maschio in un budello di sensazioni armoniche e vischiose che gli regalavano brividi violenti e deliziosi.
Quella bocca, la custode di tutto il suo piacere e dei loro segreti era separata dal corpo, viveva di vita propria.
I denti che ogni tanto si facevano sentire per alimentare un leggero e piacevole dolore che scardinava di netto la colonna vertebrale subito prima che la lingua, quella lingua velenosa, lo schiantasse immobilizzando ogni pensiero, ogni muscolo, annullando completamente la sua volontà ed assecondando solo quella di lei.
Partiva sempre spogliandolo lentamente e facendolo distendere al centro del letto, comodamente, la testa affondata in un mare di cuscini e quegli occhi verdi fissi nei suoi a cercare di carpire ogni emozione per amplificarla, sfilacciarla, dilatarla e poi annullarla.
Due smeraldi colombiani in un viso di porcellana.
Una creatura divina.
Dolce, perversa e guastata.
Un’anima strappata alla costante ricerca di colmare un vuoto.
Un legno cavo, cicatrizzato, la parte sinistra del suo essere cosciente.
Impossibile arrivare fino a lei.
Chiusa dietro una porta senza serratura, senza maniglia, eppure a tratti a portata di mano.
Tre anime in un corpo.
Una bambina.
Una femmina lasciva.
Un essere informe senza coscienza, braccato.
Tre identità riconoscibili, per chi sa vedere i segni del loro avvicendarsi.
Dietro la maschera, un mondo in tempesta.
Per chiunque altro una donna comune.
Per Giacomo la sua femmina, la sua Nica ( piccola ).
Partiva dal ginocchio, carezzandolo, strusciandosi contro come una gatta, poi baci a salire nell’interno coscia, prima la destra, poi la sinistra, per affondare il viso, in fine, fra i testicoli.
Alzare le gambe di lui, esporlo come sarebbe esposta una donna nell’atto di donarsi completamente, per affondare nell’intimità dell’uomo con la lingua, prendere in bocca un testicolo e lavorarlo, leccarlo, succhiarlo, massaggiarlo, farlo fuoriuscire leggermente poi riprenderlo, in una danza lenta, umida poi liquida.
Alzare leggermente la testa e farlo fuoriuscire dalla bocca, inchiodando lui con uno sguardo che non abbandonerà mai più la sua memoria, poi passare all’altro testicolo e riservargli lo stesso trattamento.
Il cazzo esige una mente senza pensieri per poter godere.
Così la sua bocca.
Usata per conoscere il maschio, per appagare l’uomo.
Dopo il lento peregrinare, finalmente, sul cazzo.
Le labbra carnose premute con decisione sulla cappella nel bacio più intimo e carnale mai conosciuto dall’uomo, la lingua avvinta alla carne pulsante.
Un attimo di distacco, un sussurro di lei: ” magnifico! ”
Come i bambini di pochi mesi usano la bocca per conoscere il mondo che li circonda portando qualunque cosa gli arrivi fra le mani al suo interno, così lei conosce gli uomini attraverso il rapporto orale.
E molte cose si capiscono di un uomo in questo modo.
L’umore, il carattere, la libido e il sapore, sempre diverso, sempre vischioso, comunemente salato.
Il suo succhiotto personale.
Il suo giocattolo preferito.
E come tale lo tratta, lo guarda, ci gioca, lo tocca, lo stuzzica, un maschio una volta ha tentato di interrompere questo momento per cambiare posizione o prendere iniziativa ma lei non lo ha permesso.
Quando comincia vuole portarlo fino alla fine nella spirale delle sue fantasie.
Non ha tutti è concesso il rapporto orale.
Lei è molto selettiva sul maschio e sul cazzo.
Ma chi gode di questo privilegio, non ne vorrebbe mai più fare a meno.
E’ meglio di qualunque cosa.
Meglio di una scopata.
Meglio del culo.
Chi non lo prova non può capire.
Mai potrà.
La maestria necessaria non è solo tecnica, è prima di tutto un vero, sincero atto d’amore.
Non per l’uomo, per il cazzo, ovviamente.
L’uomo in quel momento non esiste.
Potrebbe essere chiunque.
Non ha importanza.
Lei lo succhia, lo prende in bocca fino a quando lo stomaco di lui fermano la sua discesa.
La lingua lo massaggia incessantemente.
Lei sente ogni nervo, ogni vena, ogni pulsazione e la asseconda in un modo talmente dolce e arrendevole da togliere il fiato.
Una sensazione che blocca il respiro, la voce sale in gola strozzata. La sua bocca non lascia scampo.
La sua bocca ti suona come uno stradivari.
E mugola di piacere, ansima, geme, come lo stessero facendo a lei.
L’uomo tenta di tenere gli occhi aperti ma è veramente impossibile.
Si viene richiamati a forza trascinati nell’oscurità complice di mille pensieri o nessuno.
Lei ti prende e ti plasma come creta.
Scintille partono per tutto il corpo.
Un tremore sconosciuto s’impossessa delle tue cosce, poi sale allo stomaco, alle spalle, al cervello.
Lei: ” voglio berti ”
Due semplici parole.
Un effetto devastante.
La carica riparte più decisa, cadenzata.
Ti prende le mani, le appoggia sulla sua testa, vuole sentire che le dai il ritmo, vuole sentire che la scopi in bocca, vuole sentire il suo maschio che la fotte, ti vuole sentire.
Ti vuole sentire.
Lo pretende.
E tu lo fai.
Prima piano, poi cominci a non ritrovare più il filo di te stesso e parti a carica come un toro.
La scopi.
Tremi.
Gemi.
La fotti.
Sei ancora nella sua bocca.
Vorresti restare nella sua bocca per sempre.
Arriva il primo getto di sborra e ti squassa l’anima con la stessa forza di una cinghiata sulla schiena.
Poi un altro getto, un altro, un altro, un altro.
La riempi.
La bagni.
Ti svuoti i coglioni, la mente, l’anima.
Ti svuoti dentro di lei che ti accoglie, ti tiene, non si muove.
Senti qualcuno gridare, ringhiare.
Sei tu ma non te ne accorgi, sei altrove.
Il pene rimpicciolisce, raggrinzisce.
Lei appoggia la testa sulla tua coscia.
Ti tiene ancora in bocca.
Ti tiene fino a quando non capisce che hai davvero finito.
Ti tiene al caldo.
Ti conforta.
Ti coccola.
Le sue labbra sono tutto ciò di cui hai bisogno, tutto ciò che desideri.
Finalmente ti lascia e torna a guardarti in viso.
Sorride.
Si sposta.
Ti lascia rilassare.
Si asciuga il mento.
Nello sguardo la consapevolezza di averti regalato un attimo di appagamento totale, assoluto, indimenticabile.
21
Condivisa da padre e figlio
Mi chiamo Liliana, ho quasi trentanove anni, da diciotto, sono sposata con Carlo, che ne ha due più di me. Abbiamo un figlio di nome Luca che avrà diciotto anni fra un mese. Sono appena uscita dalla doccia, sono nuda, ammiro il mio corpo. Alta uno e settantacinque, seno terza, anzi più quarta, capelli castano chiari, occhi scuri, viso aperto, sorriso solare bocca ampia e labbra carnose.
Gambe abbastanza lunghe, ben tornite e sedere che molti definiscono, “ un bel culo!”, mani ben curate nonostante la mia sola occupazione di casalinga. Mentalmente faccio un resoconto della mia esistenza fino a questo momento della mia vita, e non mi lamento. Sono giunta al matrimonio “quasi vergine.” dico, quasi perche a sedici anni avevo un debole per un mio cugino più grande. All’epoca abitavamo insieme, e fra noi vi era molta confidenza.
Fra un gioco e l’altro mi ritrovai il suo cazzo in bocca. All’inizio fu una vera sorpresa, poi lentamente imparai a succhiarlo veramente bene, e quando mi scaricò in bocca, la sua semenza ne fui veramente estasiata. Mi piaceva molto ingoiare il suo sperma, ne ero diventata golosa e non perdevo occasione per gustarlo. Ovviamente anche da parte sua la cosa lo riempiva di vero orgoglio, mi chiamava “ la sua piccola bocchinara ” io ne ero veramente fiera. Poi i suoi genitori decisero di emigrare, un mese prima della partenza ci ritrovammo io e lui da soli in casa mia.
Ero dispiaciuta e nello stesso tempo desideravo donargli un ricordo indelebile, volevo essere sua!. Dopo averlo succhiato molto e a lungo, ero eccitatissima, lui mi leccava la lumachina facendomi schiumare da matti, ero pronta, glie lo dissi, ma lui dopo un momento mi disse che era una cosa che dovevo donare al mio futuro marito, mentre lui si sarebbe accontentato di un altro regalo. Mentre parlava, un suo dito mi stuzzicava il fiorellino anale, compresi e approvai all’istante la sua idea.
Mi fece una vera preparazione, leccandomi molto e infilando lentamente le dita dentro l’ano per farlo abituare. Mi lubrificò con dell’olio profumato, ero pronta, lo volevo, mi misi distesa di lato, e lui si distese dietro di me. Mi pose la mia gamba sopra la sua e mentre sentivo la dura cappella appoggiarsi dietro di lui, con la mano mi torturava davanti il bottoncino provocandomi delle sensazioni di immenso piacere.
Spinse per metà il cazzo dentro, con un colpo deciso ma delicato, sentii un dolore che subito fu sostituito dal piacere che mi dava davanti. Dopo un momento mi spinse tutto il randello dentro.
aaaaaahhhhhhhh..uuummmhhhmm.sssssssssiiiiiiiiiiiiiii
Un lungo gemito di misto piacere /dolore uscì dalla mia bocca. Rimase immobile per un po’, sempre toccandomi davanti, poi quando si rese conto che mi ero rilassata, prese a muoversi dentro e fuori. Prima lentamente, poi sempre più velocemente con il risultato che io incominciai a godere e lo incitavo a fare più forte.
.sssssssssiiiiiiiiiiiiiii.ddddaaaaaaiiiiii..sfondamiiiiiiiii!!!!!! vengooooooooo!!.
Dopo che avevo ripetutamente goduto, lui esplose dentro di me con un grido bellissimo. Sentire l’ano riempito da un calore intenso, mi provocò l’ennesimo orgasmo. Non ci furono altre occasioni, e da allora non l’ho più fatto, nemmeno mio marito me l’ha mai chiesto ed io per serbare ancora quel ricordo non e l’ho mai cercato. Dopo un po anche i miei genitori si sono trasferiti in città, ed io avevo già conosciuto Carlo, uno studente dell’ultimo anno, mi piaceva, sentivo la mancanza di mio cugino, e ci fidanzammo.
Per giustificare la mia particolare bravura nel succhiarlo dissi che me lo aveva insegnato un precedente fidanzato. Una sera, quando avevamo festeggiato il mio diciottesimo compleanno, fui sua. Fu subito piacere anche con lui. Fu bravo, mi portò a un tale livello di eccitazione che quando mi sverginò ho sentito solo un lieve fastidio, poi tanto piacere. Inesperti e incoscienti nessuno dei due si prese la briga di prendere delle precauzioni, così mi ritrovai incinta. Dopo un comprensibile casino, le nostre famiglie si accordarono per farci sposare.
Carlo aveva terminato gli studi di ragioneria e grazie a una conoscenza di mio suocero iniziò a lavorare in banca. Poi che possedevano una casa grande ci ricavarono una camera matrimoniale e andammo a vivere con loro. Lavorando tutti, io restavo a casa ad accudire mio figlio e a prendermi cura della casa. All’inizio mi sembrò un po dura, poi lentamente la cosa incominciò a piacermi. Passarono gli anni, morirono sia i miei genitori che mia suocera, lei dopo una lunga malattia sempre accudita da me. Con mio marito non ho mai avuto problemi, il classico uomo tutto casa lavoro. Pochi svaghi e molta famiglia.
A letto è molto attivo, anche ben messo fra le gambe. Mi scopa sempre con molto impeto, non mi lascia mai insoddisfatta, anche se non ha molta fantasia, io ne sono soddisfatta. Dopo tutti questi anni mi ritrovo ad ammirare il mio corpo, ne sono fiera, l’ho sempre curato molto, mi riguardo nello specchio che abbiamo nella piccola palestra che abbiamo ricavato nella nostra nuova casa che abbiamo acquistato dopo che abbiamo venduto le altre proprietà.
Nuda mi trasferisco di sopra, vado in camera per vestirmi esento il rumore del portone chiudersi, e Franco mio suocero che ritorna dalla sua passeggiata quotidiana. Da due mesi è in pensione, e mi stò abituando alla sua presenza. Prima ero sempre sola, ora invece pranziamo insieme ci facciamo compagnia, mentre Carlo torna tardi dal lavoro e Luca ha sempre il pomeriggio impegnato fra studio, sport e ragazze.
Franco, è un bell’uomo. Alto, spalle larghe, fisico asciutto, ha sessantadue anni, ma non li dimostra. Di recente ho sentito una signora dire a un altra che si sarebbe fatta un giretto volentieri con lui. Mi reco in cucina mentre lui generalmente legge il giornale, ma quando lo vedo, ho come l’impressione che mi guardi in modo diverso, più intenso e poi ignoro la vistosa erezione che gli gonfia il pacco. Mentre pranziamo, lui mi osserva decisamente, con occhi diversi, mentre i nostri discorsi finiscono sulle imminenti feste di Natale.
“ mi piacerebbe farvi un regalo, che ne dici se si va una settimana in montagna?” – mi chiede sempre con lo sguardo fisso su di me.
Mi sento un poco a disagio per l’insistenza del suo sguardo, ma gli rispondo che non vi sono problemi, sia a Carlo che Luca piace tantissimo sciare. Così al pomeriggio del giorno di Natale partiamo per la montagna. Arrivati, ci sistemiamo in una piccola baita affittata per noi. Carlo ed io, in camera insieme mentre lui e Luca dormono nella cameretta con i letti singoli. I due giorni a seguire furono tutto un girare di funivie e piste di sci.
Poi Luca trovò degli amici che lo invitarono assieme al padre a fare il giro delle piste nere. Poi che era molto bello decisero di accettare, anche se questo comportava di dormire una sera in un rifugio in alta quota. L’indomani partirono di buon mattino, mentre, Franco ed io, ci dedicammo al puro relax.
Nel pomeriggio eravamo in paese con la moto slitta, compresa nell’affitto della baita, vedemmo delle foto di alcune cas**te completamente gelate, quindi prese delle informazioni e trovato il sentiero che vi conduceva siamo partiti. Dopo circa una mezza ora di viaggio abbiamo trovato il posto, era meraviglioso. s**ttate tante foto, ci siamo rimessi in viaggio per il ritorno, anche perche si stava facendo velocemente notte, quando improvvisamente a iniziato una vera tormenta di neve. Ci troviamo subito in seria difficoltà.
Nevica fortissimo e nel buio il piccolo faro del mezzo non fa vedere bene il sentiero, con il rischio di finire in un dirupo. Improvvisamente Franco nota delle cataste di tronchi a poca distanza dal sentiero, e si dirige verso di loro. Ci sono tronchi grandi e altri piccoli, fra le cataste è stato ricavato un piccolo rifugio, coperto, chiuso dietro e con dentro un grosso telo, lui mette la motoslitta davanti e copre con la neve l’ingresso, stende il telo e ne ricava un posto asciutto e riparato. Sono congelata.
Batto i denti in maniera incontrollata, stò quasi al limite dell’ipotermia.
“ spogliati!, togliti i vestiti bagnati” – mi ordina perentorio. Lo guardo stupita, mi ordina di spogliarmi ed io muoio di freddo! Deve essere matto!
Non aspetta la mia reazione, si toglie la giacca a vento, poi la mia e la mette sotto di noi, poi mi denuda parzialmente e velocemente lui fa lo stesso. Mi avvolge con il telo e si distende su di me e mi stringe fra le braccia donandomi il suo calore. Per un momento credo di morire, poi lentamente il piccolo rifugio si rivela provvidenziale, mi sto riscaldando, e sento che sul mio ventre qualche cosa di duro preme.
Fuori infuria la tormenta mentre dentro di me un turbine d’idee stà lasciando il posto alla ragione. I nostri occhi abituati al buio s’incontrano, poi senza che nessuno dica nulla le nostre bocche si uniscono in un bacio furioso, fatto di labbra che si mordono, lingue che s’intrecciano e succhiano impazzite. Le sue mani mi tolgono quel poco che è rimasto dei miei indumenti e mentre mi bagno in maniera assolutamente inusuale, lo sento premere con la dura cappella delle labbra della mia vagina che lo lascia entrare senza opporre nessuna resistenza.
Scivola dentro di me fino in fondo. Sento il suo corpo aderire al mio, sento le palle battere sui glutei, mentre il mio clito è schiacciato meravigliosamente dal suo peso. Godo all’istante! Tremo, e non per il freddo ma per il piacere che mi da sentirlo dentro. Mi sembra molto più grande di quello di Carlo, e lo lascio sbattermi senza nessun ritegno. Lo incito, lo invito a farmi godere, cosa che fa meravigliosamente.
.sssssiiiiii..dddddaiiii spacccaaamiiiiii..ssiiiiiiiii goddddoooooo..oraaaaa!!.
Mi pompa con esperta maestria. Lo sento affondate e poi uscire e ricominciare fin quando non gli urlo il mio piacere, poi mi pompa ancora più forte e mi fa urlare di nuovo. Infine lo avvolgo con le mie gambe, le serro dietro di lui e lo imploro di venire. Mi sbatte con furia selvaggia. In fine gode con un grido che lo scuote tutto.
aaaaaaaahhhhhhhhhhh..SSSIIIIII…SBORROOOO!!..
Mi scarica dentro un fiume di caldo seme che non riesco a trattenere. Lo sento colare dalle labbra della mia dilatata fichetta. Immobili e in silenzio ci addormentiamo mentre fuori la tormenta infuria. All’alba ci guardiamo in faccia, mentre cerchiamo di recuperare la nostra roba per tornare alla baita. Lui mi sorride. Poi andiamo a casa. Dentro ci infiliamo sotto la doccia. Lui mi lava mentre l’acqua calda tonifica i nostri corpi. Siamo eccitati e lui mi prende da dietro. Lo sento entrare con impeto, mi apre, scopa divinamente, godo lo assecondo spingendo indietro il mio corpo andando incontro al suo meraviglioso palo che mi sfonda meravigliosamente.
sssiiiii..spingiiii..piùù..forteeee..sssiiiii…ddaiiiii..godoooooo..
Mi serra per i fianchi, mi sbatte…Ti piace è?.lo sapevo che eri una troia nascosta..ti ho visto qualche giorno fa mentre ti ammiravi davanti allo specchio, mi sono dovuto segare per quanto ero eccitato….. senti come ti sfondoooo….
Intuisco ora la sua insistenza a tavola, mi eccita ancora di più sapere che mi ha spiata.
ssscopammiiiii…ssssiiiii.sono una troiaaaa..ma fammiii godereeeee…
Mi pompa a lungo, resto stupita dalla sua resistenza, poi si sfila da me. Sento come un senso di vuoto, lasciato da quel cuneo di carne. Lo sento lubrificarmi il fiorellino anale, mi giro lo guardo, lo voglio anche lì.
“ fai piano, sono quasi vergine.” – gli dico e mi giro di nuovo, appoggio le mani al muro e inarco indietro il culo per riceverlo meglio.
“ Quasi vergine? Mi vuoi far credere che mio figlio non si gode tutto questo splendore?”
Lo guardo e annuisco. Mi lubrifica con della schiuma, poi lentamente mi penetra fino in fondo, molto lentamente, facendomi assaporare centimetro dopo centimetro per tutta la sua lunghezza. Godo. Mi fa impazzire e sento che dentro di me qualche cosa sta cambiando. Mi sento troia e ne vado fiera. Mi sbatte il culo come un dannato. Mi serra i fianchi, poi esplode dentro facendomi provare la stessa sensazione di allora e ne godo in maniera sconvolgente. Dopo esserci rivestiti, sentiamo mio marito al cellulare. M’informa che essendo rimasti bloccati anche loro per la tormenta e che ora che splende il sole, vorrebbero approfittare per un po di fuori pista, quindi tornano l’indomani.
Franco ascolta, poi finita la conversazione, mi dice che la sera mi porta cena fuori. Passiamo tutto il resto della giornata distesi davanti al caminetto a scambiarci coccole ed io glie lo succhio ripetutamente senza farlo venire. Mi eccita tantissimo sentire quel palo in gola, lui ne gode tantissimo e mi apostrofa i più sconvolgenti epitaffi.
.dai succhialo troia…ssssiiiii cosiiiii a che bocchinara seiiii…vacca ..puttana.. troia da bordello…ti faccio impazzire di piacere…ti sfondo anche la gola..zoccola!!!
Godo nel sentirlo parlare, gode del piacere delle mie labbra e questo mi fa impazzire. La sera usciamo a cena, mi metto così in tiro che a lui viene subito di nuovo duro. Dopo cena torniamo e la notte ci vede uniti in un instancabile amplesso che mi sfinisce. Alla fine sono costretta ad arrendermi, lui è sempre in tiro. Gli chiedo come fa e lui mi risponde che non scopava così dalla morte di mia suocera e che sono io che lo eccito, anche se poi ho scoperto certe pasticchine blu ben nascoste. Nel pomeriggio tornano gli altri. Sono sfiniti, Carlo decide di andare alla sauna per rilassarsi mentre Luca va a dormire, la sera esce con gli amici e vuole essere in forma.
Alla sauna, data l’ora del pomeriggio, non c’è nessuno, io sono tentata di farmi scopare da mio marito. Dopo qualche moina lui è già in tiro, mentre io ho bisogno di scaldarmi di più. Mi distendo sulla lastra di marmo calda, e lui si mette in ginocchio, mi lecca divinamente, ora mi sto veramente eccitando. Siamo così intenti a divertirci che non ci accorgiamo di Luca, che non riuscendo a dormire ha deciso di raggiungerci.
Ci osserva attraverso il vetro che c’è sulla porta, mi vede succhiare il cazzo di suo padre, poi che apro le cosce e mi lascio penetrare fino in fondo. Godo, non posso urlare ma la situazione intrigante mi eccita da morire. Carlo mi scopa di buona lena, mi fa raggiungere alcuni orgasmi, mi sento veramente troia, la notte con il suocero e il pomeriggio con mio marito, godo e impazzisco quando voltato lo sguardo, incrocio quello estasiato di mio figlio che ci osserva. Ho un tremendo orgasmo e sento anche Carlo che sta per venire, lo esorto a uscire e me lo infilo in gola, facendo in maniera che Luca si goda bene la scena.
Quando rialzo il capo lui se ne andato, io dentro di me sento che ora voglio anche lui. Non ho nessuna remora, voglio godermi anche mio figlio! Il giorno dopo è un continuo scambio di dolci occhiate fra me e lui, piccole provocazioni e casuali contatti. Ci stiamo eccitando, ma nessuno dei due vuole fare il primo passo. A cena siamo in compagnia dei loro amici con cui sciano, io indosso una gonna e degli stivali. A tavola lo sento vicino a me, che spesso tocca con la mano la mia coscia. Dopo cena decidono di recarsi a giocare a curling, uno strano gioco con bocce di pietra da far scivolare sul ghiaccio.
Luca ed io, ci sediamo sugli spalti a guardare, ma poi che il mio abbigliamento non è appropriato, sento freddo, decido di tornare e mi faccio accompagnare da mio figlio, che saluta tutti e scambia un cenno di saluto con il padre. A casa, appena dentro mi abbasso per ravvivare il fuoco nel caminetto, lui è in piedi davanti a me, vedo il gonfiore del pacco sui suoi pantaloni.
“ ti sei divertito a spiarci nella sauna?, ti è piaciuto? E chissà cosa pensi ora di tua madre? – gli chiedo sempre restando accovacciata davanti al focolare.
“scusa, ma eri così erotica che non ho potuto res****re, e devo dire che sei molto bella e brava, in quanto a cosa penso è presto detto, sei meravigliosa, e papà è molto fortunato ad avere una bella donna come te al fianco.” – mi risponde abbassando lo sguardo mentre arrossisce in viso.
“ Grazie, ma anche tu sei fortunato ad avermi come madre, anche se non mi reputo tanto bella, confrontata poi con le giovani ragazze che frequenti io sono da buttare.” – gli rispondo guardandolo negli occhi.
“ da buttare???.. ma scherzi, io se non fossi mia madre non so cosa ti farei!!” – mi risponde con impeto.
Era quello che volevo sentire. Mi avvicino gli apro i pantaloni e infilo la mano nei suoi boxer. Sento subito un bel cazzo duro che vibra fra le mie dita, lo estraggo e senza dire nulla lo infilo in bocca.
ooooooohhhhhhh mammaaaaaa!!!.. seiii meravigliosaaa..sborroooooooo..
Non regge il gioco, m’inonda di calda semenza la bocca. L’ingoio è tanta e devo deglutire velocemente, ma riesco a mandarla tutta giù. Mi spoglio e anche lui lo fa velocemente, poi ci trasferiamo sul letto, lui mi lecca avidamente è stupenda la sua esuberante inesperienza che mi fa impazzire. Lo faccio calmare un poco poi lo voglio dentro di me. Segue attentamente i miei consigli, si muove bene e mi pompa a lungo. Godo, e ho due orgasmi bellissimi, poi anche lui è al limite, mi pompa con vigore, io urlo l’ennesimo orgasmo e anche lui si svuota dentro il mio ventre.
Restiamo un momento abbracciati, poi, lo invito ad andare in camera sua, non voglio che suo padre lo trovi con me, lui esce e quando è sulla porta, si gira e mi guarda con un sorriso allusivo che non comprendo al momento Poco dopo tornano mio marito e mio suocero, si salutano e Carlo entra subito nel letto, è eccitato, mi penetra rapidamente con impeto. Resto un poco sorpresa, ho ancora dentro di me il seme di Luca, non ho avuto modo di lavarmi, e ho, paura che lui, se ne renda conto, invece lui mi scopa con tale vigore che mi fa godere subito e poi anche lui esplode dentro di me riempiendo ulteriormente la mia fica di seme che si mischia all’altro.
Finito, vado a lavarmi in bagno, quando torno, ho una grande sorpresa. Distesi sul letto trovo tutte tre che mi guardano nudi con i loro cazzi gia in tiro.
“ amore vieni a letto che ora ti facciamo impazzire.” – mi dice Carlo invitandomi a braccia aperte.
Li guardo stupita. Loro mi sorridono, poi Carlo mi trascina fra loro, mi sussurra che poi mi spiega tutto, ma ora vuole che io goda fra loro. Una notte indimenticabile, mi hanno scopato ripetutamente in tutti i buchi e ricoperto ogni millimetro del mio corpo di caldissima sborra. All’alba sfiniti ci siamo addormentati, poi nel pomeriggio, fatti i bagagli siamo ripartiti e lungo il viaggio di ritorno mi hanno dato tutte le spiegazioni che volevo, ma c’era poco da spiegare, i tre si erano messi d’accordo per condividermi fra loro e io ora mi godo le loro mazze, ma con la chiara promessa che Luca deve trovarsi una giovane donna per lui, magari un po troia da condividere con noi.
22
Una studentessa e la sua perdizione
Pamela era una bella ragazza. Non era magra come tutte le veline che si vedono in tv, ma era molto bella: alta, con un bel paio di tette (una quinta abbondante), un culo alto e sodo, abbondante, fianchi morbidi, gambe tornite. Un gran bel pezzo di gnocca, insomma.
E lei lo sapeva, si vestiva sempre in modo provocante, con minigonne attillate, top e reggiseni a balconcino, per mettersi in mostra.
Nonostante questo, però, non si era mai spinta più in là di qualche pompino, le piaceva tantissimo la sborra, ma i ragazzi della sua età non la soddisfacevano.
Pamela voleva essere dominata, trattata come la puttana che era, le sarebbe piaciuto molto un uomo più vecchio di lei.
Spesso, anzi, almeno tre, quattro volte al giorno, si masturbava furiosamente, immaginando di essere usata come una puttana, dominata e scopata a sangue.
Quella mattina, quella in cui tutto ebbe inizio, era vestita come sempre, da zoccola.
Una minigonna di jeans, che le arrivava appena sotto il culo, coprendo a stento la figa, come sempre leggermente umida, solo a guardarsi allo specchio si eccitava come una cagna.
Una maglia che le copriva a stento le tette, lasciando scoperto il solco; i lunghi capelli neri erano sciolti lungo la schiena, fino al culo, e i grandi occhi verdi, da bambina e da puttana, erano circondati da uno spesso strato di eye-liner.
Quel giorno andava in una nuova scuola, doveva attirare l’attenzione.
Pamela era stata sbattuta fuori dalla scuola che frequentava prima perché troppo sfacciata e maleducata e suo padre, un importante uomo d’affari, l’aveva spedita nel suo nuovo istituto, rinomato per la sua severità. Adesso vi doveva affrontare la quinta superiore, e sapeva che sarebbe stata bocciata, Pamela non studiava mai, passava i pomeriggi a masturbarsi.
Lei non aveva potuto obiettare, sua madre era scappata, la vacca, anni prima, e suo fratello maggiore non la difendeva mai, lo stronzo. Alla fine si era rassegnata ed era andata a scuola. Era arrivata abbastanza soddisfatta, sul pullman un uomo di circa una quarantina d’anni le aveva palpato il culo e le aveva infilato il cazzo tra le natiche, strusciandosi contro di lei. Ovviamente, Pamela si era eccitata come una troia, e aveva la fica grondante.
Appena entrata in classe, salutati senza entusiasmo i suoi compagni di classe, era andata in bagno fingendo un’urgenza impellente.
In effetti un’urgenza l’aveva, ficcarsi qualcosa su per la fica. Si guardò intorno nel corridoio, nessuno. E una porta socchiusa prima dell’angolo. Si chiuse dentro ed accese la luce, uno sgabuzzino…
Estrasse dalla borsetta, che portava sempre dietro, un piccolo vibratore, delle dimensioni di un rossetto. Sorrise tra sé e lo leccò, abbassandosi il perizoma.
Si sedette su uno s**tolone, divaricando al massimo le gambe, e se lo infilò dentro, accendendolo alla massima velocità. Cominciò presto ad ansimare, cercando di soffocare i gemiti, mentre si tormentata le tette e si artigliava i capezzoli.
– Ahh, fottimi, scopami dai, sfondami… – sussurrava tra sé, ficcandosi un dito su per il culo.
Venne velocemente, eccitata dalla situazione, e si riassettò i vestiti, pulendo accuratamente il vibratore e rimettendolo al suo posto.
Uscì e si guardò attorno con noncuranza, andando verso alla sua classe. Erano passate ben cinque ore e Pamela non ce la faceva più. Aveva solo professoresse vecchie e bigotte, che l’avevano guardata malissimo.
“Che due coglioni” pensò, rifacendosi il trucco nello specchietto. I suoi compagni la guardavano con la bava alla bocca, pensando a come farsela (avrebbe giurato di aver visto due con delle erezioni davvero notevoli) e le ragazze sembravano sul punto di accoltellarla.
Sospirò, chiudendo lo specchio all’entrata dell’ultimo insegnante della giornata, il prof. di latino, italiano e storia, il signor Rainelli Matteo.
Gioia selvaggia, l’avrebbe visto ben 12 ore la settimana. Alzò lo sguardo e incontrò quello dell’uomo. Era esattamente il suo tipo d’uomo.
Alto, leggermente stempiato, coi capelli brizzolati, il viso leggermente squadrato, occhiali rettangolari e sguardo duro. Nonostante dimostrasse più di quarant’anni, quasi cinquanta, aveva un bel fisico…
“Dio, quanto mi piacerebbe che mi scopasse” pensò, sentendo la figa che si infradiciava.
Restò tutto il tempo a fissarlo, tremando dal desiderio di masturbarsi davanti a tutti.
A fine ora quasi sospirò di sollievo, mentre si alzava.
– “Un attimo, signorina Ambrosi. Devo parlarle.”
Fremendo d’eccitazione e di aspettativa, la puttanella si avvicinò alla cattedra.
Come le sarebbe piaciuto che lui la sbattesse sulla cattedra e le sbattesse nella figa colante il suo grande, caldo, pulsante cazzo.
Quasi gemette quando la porta si chiuse e l’uomo le fece cenno di andare vicino a lui.
– “Professore, io dovrei andare…”
– “Zitta. Tu parli quando lo dico io, puttana.”
Lei spalancò gli occhi, ma prima che potesse capire cosa stava succedendo, aveva già risposto.
– “Sì signore…” – il suo corpo aveva agito bene, era esattamente quello che voleva.
L’uomo estrasse il cellulare di tasca e lo aprì, schiacciando qualche tasto.
– “Guarda.” – glielo mise davanti, e lei si ritrovò a guardarsi mentre si masturbava.
– “Ma cosa…lei…”
– “Ti ho filmato oggi, puttanella.” – lei ancora fremette, eccitata da quella parola.
Anche se la sua mente era confusa, il suo corpo urlava di desiderio.
– “Da oggi sarai la mia puttana, altrimenti questo video finirà nelle mani di tutti, anche di tuo padre.”
Lei sgranò gli occhi.
– “Sì, lo conosco da anni, siamo amici dal liceo, e se vedrà questo filmato la tua vita finirà. Cosa vuoi fare?”
Che domanda stupida, era ovvio quello che avrebbe fatto, non avrebbe mai rinunciato alla possibilità di farsi sfondare da quello stallone.
Sorrise.
– “Tutto quello che vuole lei, signore”
– “Dammi del voi puttana! E chiamami padrone!” – esclamò l’uomo, tirandole un ceffone.
– “Sì padrone.” – mormorò lei.
– “Vieni qui e alza la gonna.”
Pamela si avvicinò si più a lui e si sollevò la gonna, mostrando la sua fica depilata e grondante, coperta appena dal perizoma.
– “Sei proprio una cagna, guarda, stai sbrodolando.” – mormorò lui. Poi, prima che lei potesse fare qualunque cosa, le afferrò i laccetti laterali del perizoma e tirò con forza verso l’alto.
Lei quasi urlò, aggrappandosi alla cattedra: il filo centrale del perizoma si era conficcato della sua figa, premendo direttamente sul clitoride.
Matteo cominciò a muovere le mutandine, sfregandole avanti e indietro, tirandole sempre più un su, strappando a Pamela dei guaiti.
– “Guarda, una cagnetta in calore” – mormorò.
Prese un evidenziatore dalla cattedra e glielo sbattè su per la figa, strappandole un urletto.
Lo tolse subito e, con un sorriso sadico, glielo infilò su per il culo.
Lei gemette, piegandosi in avanti.
– “In ginocchio, zoccoletta!”
– “Sì, padrone” – si inginocchiò davanti a lui, slacciandogli i pantaloni con desiderio.
Si ritrovò davanti ad una nerchia enorme, solcata di vene pulsanti, dalla cappella rossa e congestionata. Nessuno dei coetanei aveva una verga del genere.
– “Apri la bocca, puttana.” – lei schiuse le labbra e Matteo, senza aspettare un minuto, le ficcò l’asta in bocca, fino ad urtarle il fondo della gola ed ancora ne avanzava fuori.
Cominciò a scoparle la bocca, facendole fare avanti e indietro lungo il suo cazzo, tenendola per i capelli.
Lei gemeva, gli occhi socchiusi e lucidi, eccitata come una puttanella.
– “Che bocca che hai, forse perfino meglio della fica. Quanti cazzi hai succhiato, cagna? Sei un cesso, apposta per scaricarci la sborra e così ti userò, puttana schifosa.”
Un attimo prima di venire si staccò da lei, sbattendola per terra, e si masturbò furiosamente, scaricandole una quantità enorme di sborra in bocca, sulla faccia, nei capelli…
Pamela beveva tutto con ingordigia, leccandogli il cazzo e gemendo, tre dita su per la fica che grondava di umori, tanto che aveva fatto una pozza per terra.
Matteo si riallacciò i pantaloni e si alzò, tirandole un calcio.
– “Rivestiti puttana. Domani ci rivediamo e anche domani pomeriggio. Tuo padre mi ha chiesto di darti ripetizioni, ci vedremo ogni giorno…”
Pamela a quelle parole quasi svenne dalla gioia.
La storia di Cecilia
In un arco di tempo che non avrebbe saputo quantificare, Cecilia aveva versato un fiume di lacrime: potevano essere trascorsi dieci minuti come alcune ore.
Ora si trovava al cospetto di alcune persone, completamente dimentica di quel pianto dirotto, percepiva il suo bel viso dalla pelle levigata asciutto e per nulla gonfio, anche se lo sguardo indagatore di una donna puntato sui suoi occhi le fece rammentare il suo precedente sfogo, instillandole il dubbio di essere in errore, che forse i segni delle lacrime erano evidenti… a meno che quella donna non stesse ammirando il suo elegante profilo greco di cui andava sempre molto fiera e che tentava di guardarsi allo specchio con la coda dell’occhio, voltando la testa a destra o a sinistra. C’era aria di neve nell’aria, mentre dentro di lei il suo solito terrore di ammalarsi. Giunse in palestra e per un’ora seguì gli esercizi suggeriti dall’istruttrice magra e bionda, tanta fatica per essere in forma per la data del programmato matrimonio con Tony, che aveva recentemente causato un forte litigio con lui; dopo averlo assecondato in tutte le sue decisioni per i preparativi, lei manifestò il suo diverso parere sull’organizzazione della cerimonia. Se lui dava per scontata una festa classica con abito lungo e bianco per lei e un centinaio di invitati, Cecilia avrebbe invece voluto che tutto si svolgesse in sordina e tra pochi intimi; ma ciò che maggiormente la infastidiva era che fosse ovvio che tutto si dovesse sempre svolgere secondo le preferenze di lui.
Dopo il litigio lui cercò di fare pace abbracciandola, ma lei si divincolò sentendosi letteralmente un nodo in gola che la soffocava.
Chissà se questa insofferenza era stata causata, o influenzata quantomeno, da quell’episodio avvenuto mesi prima con un amico comune, Raul, in cui le dita di lei e dell’uomo si erano lievemente sfiorate per alcuni secondi…
Cecilia e Tony erano ladri d’appartamento; la loro tecnica era solitamente quella di diventare amici delle vittime prescelte, trovando poi l’occasione opportuna per fare un calco delle chiavi e intrufolarsi tranquillamente nelle dimore altrui prelevando tutti gli oggetti più preziosi.
A volte non tutto andava perfettamente come previsto, come nell’ultimo colpo durante il quale si erano introdotti con la chiave nell’appartamento di una coppia residente nel palazzo accanto al loro; tutto era buio, l’antifurto non era s**ttato… ma le innovazioni della tecnica sono continue, e quell’ultimo ritrovato prevedeva che l’allarme non s**ttasse subito ma dopo qualche minuto, per dare il tempo ai ladri di entrare bene dentro (affinchè così risultasse più difficile per loro darsi alla fuga)… avevano superato l’ingresso, attraversato buona parte del salone ed ecco… la sirena assordante che li paralizzò per qualche frazione di millisecondo. Riuscirono comunque a uscirne elegantemente in piedi, grazie al loro essere sempre pronti a qualunque evenienza. I proprietari avevano inserito l’antifurto pur trovandosi in casa, visti i numerosi furti che avvengono nonostante le case non siano disabitate, e il frastuono li svegliò, ma invece di mettersi alla ricerca di intrusi, si misero a discutere fra loro pensando che quell’antifurto suonava spesso a sproposito e andava cambiato. La discussione fra i due permise a Tony e Cecilia di guadagnare l’uscita dell’appartamento senza essere notati… e anzi, fecero persino finta di suonare al loro campanello perchè preoccupati, dando un’immagine scrupolosa e attenta alle sorti degli amici.
Il lavoro ufficiale di Tony e Cecilia era presso un albergo, in cui lui curava il giardino di piante grasse e lei intratteneva gli ospiti alla sera suonando la chitarra e cantando, cercando di creare l’atmosfera adatta per fare sì che qualcuno usufruisse del “servizio” che alcune ragazze prestavano da una certa ora in poi nella hall.
Il matrimonio, dopo varie discussioni ulteriori, venne infine celebrato secondo i desideri di Cecilia, tra parenti e amici strettissimi, ma ciononostante lei cercò il più possibile di non mischiarsi al gruppo, preferendo parlare solo con alcuni degli invitati, e al momento del congedo non salutò nessuno, anche se subito dopo fu colta dai sensi di colpa a cui cercò di rimediare inviando alcuni sms in cui inventò una causa di forza maggiore che le aveva impedito di scambiare baci, abbracci e ringraziamenti a tutti coloro che avevano partecipato. Indossò un bell’abito marrone elegante ma comodo, e iniziò il loro viaggio di nozze… finalmente tutto era finito.
Anche dopo il loro matrimonio i furti continuarono, finchè un infausto giorno si trasformarono da ladri ad assassini; la proprietaria era in casa mentre loro due arraffavano con ingordigia denaro e ori, se la trovarono davanti urlante prima di poter fare qualche passo verso l’uscita… ma urlò per poco, perchè le mani di Tony si strinsero attorno al suo collo fino a strangolarla, ponendo fine al pericolo di essere scoperti da qualche vicino richiamato dagli strepiti.
Il sospetto che lui la tradisse, Cecilia lo aveva da un po’, ma non era mai riuscita a trovare delle prove, alla fine però ci riuscì e scoprì anche chi fosse la sua rivale… la scoperta portò anche lei a tradire il marito, e il rapporto da allora in poi restò sempre in bilico tra il finire e il continuare all’insegna però di varie relazioni extra-coniugali parallele oppure di incontri fugaci non appena si presentava l’occasione, giusto allo scopo di ripagare l’altro con la stessa moneta.
Con Raul continuò sullo stesso piano, capitava che si sfiorassero come la prima volta. Lui era medico, e Cecilia si recò da lui per una visita di controllo; seduti alla scrivania uno di fronte all’altra, chinarono le teste fino a sfiorarsi a vicenda i capelli e poi ancora un po’ di più fino ad appoggiare le fronti una all’altra.
La volta successiva lei lo chiamò per una visita a domicilio per qualche linea di febbre mentre in casa c’era anche il marito, e nuovamente ebbero l’occasione di sfiorarsi le dita per poi arrivare a intrecciarle strettamente fra loro.
Dopo secoli, Cecilia incontrò per caso una sua vecchia amica-nemica di nome Anna, una ricercatrice universitaria che le chiese di accompagnarla in facoltà per avere modo di scambiare ancora qualche confidenza, e una volta giunte a destinazione si avvicinò a loro un uomo elegante e affascinante, un docente che dopo qualche frase con la collega Anna si allontanò. Cecilia ne rimase stregata, e mentre la sua amica svolgeva le sue occupazioni, lei si mise a curiosare qua e là per corridoi e aule, finchè lo rivide attraverso una porta a vetri mentre seduto in cattedra parlava in modo toccante e originale e intelligente degli argomenti della sua lezione, con le gambe accavallate, valorizzato dal suo completo grigio. Si guardarono attraverso il vetro e a lei vennero gli occhi lucidi dalla commozione provocata da questo incontro, da questa immagine, da questa voce, da questi contenuti. Si sedette per un po’ fuori dall’aula per normalizzare le emozioni, e poi ricomposta, andò a cercare Anna per tornare a casa. Chiese all’amica come avrebbe potuto incontrare nuovamente quell’uomo e lei, dopo averle rivelato il nome, le consigliò di recarsi con qualche scusa presso il suo ufficio in dipartimento dove lo avrebbe facilmente trovato spesso. Però un motivo per recarsi al dipartimento, per lei che svolgeva tutt’altra attività, non era facile da inventare, riuscì soltanto a essere presente a una conferenza del professore, alla fine della quale lui rimase per un certo tempo sulla porta a parlare con alcuni studenti e colleghi, aspettando che Cecilia si aggiungesse al gruppo per avere l’opportunità di conoscersi meglio, ma lei proprio non seppe cosa fare e cosa dire in quel frangente.
Si presentò un’ombra, una parvenza di opportunità di conoscere il professore, quando Cecilia e Tony presero una decisione dai risvolti interessanti: decisero di aprire un centro estetico di facciata che nascondesse in realtà un giro di prostituzione. Avrebbero quindi guadagnato non solo prendendo una percentuale in seguito ai servizi offerti dalle prostitute, ma queste avrebbero anche dovuto versare una discreta cifra per poter essere “assunte” con le dovute garanzie burocratiche e sanitarie. Per Tony non fu difficile trovare tra le sue conoscenze estetiste che stessero in negozio, professionisti quali notai e avvocati compiacenti che si occupassero dei risvolti legali ed economici, e soprattutto le prostitute: le prime ragazze furono due giovani di colore che accettarono ben presto, lusingate dalle parole promettenti di Cecilia e da qualche palpeggiamento di Tony.
Il collegamento con il professore era che il centro estetico/bordello era ubicato di fronte al dipartimento e da lì Cecilia e il docente potevano osservarsi reciprocamente, scambiandosi a distanza sguardi amorevoli, con la speranza che lui si presentasse come cliente.
Il centro estetico/bordello venne inaugurato con una festicciola con svariati ospiti sia sconosciuti che amici, e tra gli invitati c’era anche il professore; l’amica di Cecilia, Sabrina, appena arrivata con il marito da Londra dove viveva da qualche anno, si occupò dell’animazione preparando stuzzichini a base di fettine di melanzane fritte e crostini di pane arrostiti e farciti di prosciutto, decorando l’ambiente con disegni e scritte in oro e argento, cantando in costume da pagliaccio. Se Sabrina fosse rimasta almeno per qualche tempo in Italia l’avrebbe scritturata per esibirsi nel bordello con qualche breve spettacolino, ma doveva proprio ripartire il giorno dopo per tornare dai figli. Durante la festa, il professore manifestò a Cecilia i suoi sentimenti, mentre la folla era distratta da musica e chiacchiere. E fu l’inizio di una relazione.
Intanto i furti continuavano: Tony e Cecilia diedero un passaggio a un’anziana signora ingioiellata, la derubarono e poi la lasciarono per strada fuggendo a tutta velocità.
Ma dopo quel furto, venne la volta di un ulteriore omicidio, il giorno in cui nell’albergo in cui lavoravano, si presentarono alcuni zingari al solo scopo di disturbare; Cecilia li odiava, li trattò in malo modo e chiuse le vetrate della hall per tenerli fuori, ma un bambino zingaro, con la sveltezza che lo caratterizzava, riuscì a sgusciare all’interno. Cecilia lo rincorse per il corridoio deserto in quel momento, e quando riuscì ad acciuffarlo, lo scosse talmente violentemente e lo scaraventò al suolo con talmente tanta forza, che il bambino perse la vita sbattendo la testa sul pavimento. Tony sopraggiunse e capì al volo la situazione: ora bisognava sbarazzarsi del corpo, per cui lo portarono nella camera a loro destinata in albergo, e lo gettarono dalla finestra per farlo finire fra i flutti impetuosi su cui la stanza si affacciava direttamente. Il mare in quel momento era particolarmente grosso e tempestoso e sembrava proprio volesse ingoiare il corpicino per averlo per sempre con sé. Tony si preoccupò di farsi vedere dagli zingari attraverso le vetrate mentre correva per il corridoio qua e là come se cercasse il bambino, e dopo qualche tempo aprì le porte e disse loro che il bambino era scappato da una finestra e si era diretto verso il centro del paese, e se li tolse così di torno. Ora quello che ci voleva per Tony e Cecilia era un bel centrifugato seduti al bar dell’albergo, per ritrovare la calma e anche per festeggiare l’eliminazione dell’importuno.
Il centro estetico/bordello era fonte di lauti guadagni, però era necessario rifornirlo di cosmetici e attrezzature per i trattamenti nonché di abiti e biancheria intima sempre nuovi per le prostitute, per cui fu presto necessario un nuovo colpo.
Tony, Cecilia e il loro complice Bruno fecero dei giri di ricognizione al mercato, scoprendo che molte bancarelle di loro interesse venivano allestite al mattino presto quando ancora era buio. Dopo aver studiato un dettagliato piano a tavolino, si rifornirono di armi da fuoco potenti e silenziose, fecero finta di passeggiare per il mercato senza conoscersi, ma a un cenno di Bruno iniziarono a sparare ai commercianti per poi riempire in fretta dei sacchi con la merce e fuggire.
Quando alcune ore dopo Cecilia passò deliberatamente in auto da quelle parti, la zona era transennata da un cordone di forze dell’ordine; lei si avvicinò a piedi facendosi strada tra una folla di curiosi sconvolti, e riuscì a vedere le bancarelle quasi del tutto svuotate e, per terra, 7 giovani venditori morti.
Quando Tony iniziò a corteggiare le altre donne anche in presenza della moglie e a tradirla nel loro stesso letto, diventò inevitabile il divorzio. Cecilia preparò le sue cose da portare via decisa a lasciare la casa in comune con il marito, conservando però il lavoro dove avrebbe trattato l’ex-marito con indifferenza, guardandolo e parlandogli il meno possibile, anche se col tempo questo atteggiamento mutò e si trasformò in una buona amicizia e collaborazione. Trovò un nuovo appartamento nel luogo più emblematico e bello della città in un palazzo dall’entrata luminosa, dal portone di vetrata, scale e pareti di marmo rosso. Gli altri condomini parlavano male di lei vedendola sempre passare con quei jeans attillati e quelle spesse labbra rossissime, pensando fosse una prostituta.
Il primo a essere invitato in quell’appartamento fu il dott. Raul con cui finalmente ci fu qualcosa in più degli sfioramenti iniziali.
Molti aspetti della sua quotidianità cambiarono: riceveva spesso a casa una cartomante da cui si faceva predire il futuro e una volta al mese riuniva nel suo salotto un gruppo di amanti della letteratura (scrittori, critici, editori, docenti e semplici lettori) per trascorrere la serata a discutere dei libri amati, a darsi consigli circa le letture future e a prendere spunto da alcuni testi e autori per aprire interessanti disquisizioni, scambi di opinione e riferimenti a episodi della vita personale di ciascuno.
Ma il cambiamento più grosso per Cecilia fu professionale, giacchè cantare e suonare in hotel per lei non era mai stato sufficiente per la sua completa e piena realizzazione; dopo vari e vani tentativi di farsi notare, le fu data la possibilità di esibirsi durante uno spettacolo in un teatro al quale avrebbero partecipato molti artisti, anche famosi. La sera dello spettacolo fu accompagnata dall’ex-marito e dall’amica Anna, arrivando con largo anticipo, come molti altri d’altronde che erano già sul posto per organizzare. Si sedettero in disparte a mangiare qualcosa che avevano portato da casa e a studiare il nuovo ambiente, aspettando il momento in cui Cecilia sarebbe salita sul palco a cantare una canzone scritta e musicata da lei sul tema di un’amicizia che si trasforma in amore… ma fu un fallimento completo, fischi e schiamazzi contro di lei che, affranta, si allontanò dalla vista del pubblico. Tony e Anna per consolarla la portarono a concludere la serata in un club privè dove si potevano anche fare incontri con coppie e singoli per dei giochi d’amore con sconosciuti, magari semplicemente per bere qualcosa e distrarsi guardando le ballerine bionde e truccate dai minuscoli costumi ricoperti di brillantini. Nel tavolo accanto al loro era seduto un famoso attore americano insieme ad altre persone non famose, e quando alcuni avventori del locale si avvicinarono per chiedere l’autografo, Cecilia, vista la vicinanza dei tavoli, finse di far parte del gruppo per poter rilasciare anche lei autografi, insieme a sorrisi smaglianti e strette di mano.
Qualche giorno dopo, Cecilia ricevette la telefonata da parte di una famosa donna dello spettacolo che voleva incontrarla per sentirla cantare e per leggere i testi delle sue canzoni. La donna si recò a casa di Cecilia in incognito, nascosta da una parrucca bionda e boccolosa, parlarono brevemente e andò via portando con sé il Cd amatoriale di Cecilia e un plico di testi inediti, con la promessa di farle sapere qualcosa… quando però? Tutto si era svolto talmente velocemente che non aveva neanche pensato a farsi rilasciare un recapito dove poterla contattare per sapere qualcosa se non si fosse fatta viva lei.
Intanto l’albergo dove lavorava dovette chiudere a causa di un’invasione di topi, e Tony e lei non poterono più accontentarsi di qualche sporadico furto: diventarono falsari e spacciatori delle banconote false da loro prodotte nonché di droga.
Dopo qualche mese Cecilia ricevette una lettera da parte di un famoso cantante che aveva saputo di lei tramite la donna dello spettacolo che aveva portato via con sé le canzoni, il quale voleva parlarle per testare le sue capacità musicali e canore, al di là dell’insuccesso di quella fatidica e funesta serata a teatro. L’appuntamento era a New York, con viaggio e pernottamento di una notte pagati. Cecilia, che non era mai stata negli USA, provò a chiedere, telefonando al numero presente sulla lettera, di necessitare di più giorni di permanenza visto il lungo viaggio, ma le fu risposto che i giorni in più trascorsi in quella città e in quell’hotel sarebbero stati a carico suo. Dopo qualche giorno partì per New York affrontando un lunghissimo volo per poi giungere in una magnifica città dai mille volti che non le lasciava neanche il tempo per pensare. Visto il poco tempo a disposizione, bisognava fare tutto in fretta, e durante il viaggio in taxi dall’aeroporto all’hotel ne approfittò per guardarsi attorno. Giunta in camera, una doccia, un panino al volo, e poi come d’accordo rimontò su un taxi per recarsi allo studio e incontrarsi nel tardo pomeriggio con il cantante che l’avrebbe ascoltata e valutata.
La valutazione fu abbastanza positiva, ma per eventuali sviluppi di carriera era necessario attendere, perchè oltre Cecilia furono ascoltati molti altri aspiranti cantanti e la scelta non sarebbe stata immediata. In tarda serata ormai, Cecilia e altre tre ragazze andarono a mangiare in un locale; una di loro era lesbica e tentò di sedurre Cecilia mostrandole il piccolo seno. Cecilia non aveva particolari inibizioni che potessero impedirle un’esperienza omosessuale, però le piacevano le persone esteticamente piacenti e a dire la verità quella ragazza non aveva forme, non era gradevole né di viso né di corpo, ed era anche un po’ claudicante, per cui la rifiutò in malo modo e le tre ragazze offese la lasciarono al ristorante con il conto da pagare. Il giorno dopo prese il volo di ritorno per l’Italia, e appena giunta a casa trovò nella buca una lettera da parte del professore universitario con cui tempo prima aveva avuto una relazione, in cui le spiegava i motivi per cui avesse deciso di troncare il loro rapporto nonostante i sentimenti provati, le porgeva l’augurio di trovare un amore importante e… sorpresa finale… le annunciava di essersi messo insieme alla sua amica Anna. Non che gliene importasse ancora, però qualcosa che la tirasse su e che le facesse ingannare il tempo dell’attesa per una risposta da parte del cantante doveva trovarlo, perciò decise di fare un colpo tutto da sola, o quasi, visto che era prevista la collaborazione di Tony, cui raccontò le sue intenzioni. Definirono un piano e lo attuarono recandosi presso un circolo ricreativo dove i soci potevano trovare modi e mezzi per esprimere la propria creatività: c’era chi danzava, chi semplicemente giocava, chi recitava, il tutto all’interno di un’enorme sala che era stata la platea di un teatro svuotata delle poltroncine. Al di fuori della sala, c’era un corridoio fiancheggiato da porte che immettevano in stanze dove poter trovare gli oggetti utili all’hobby prescelto: costumi teatrali, attrezzi, strumenti musicali, tele per dipingere, CD, lezioni tutorial in DVD per i principianti di varie discipline…
Si iscrissero al circolo e si sedettero a un tavolo rotondo per giocare a poker insieme a una decina di sconosciuti, vinsero e persero, a un certo punto Tony salutò e se ne andò, richiamando all’esterno con una scusa il receptionist e guardarobiere della hall. Cecilia giocò ancora per un po’ di tempo, poi si congedò anche lei, ma uscita dalla sala, invece di recarsi verso l’uscita andò verso il guardaroba per impossessarsi di tutto ciò che avesse un certo valore preso da borse e tasche e giacchè c’era prese anche qualche pelliccia. Mise tutto in un sacco e fece per uscire, solo che il receptionist, anche se era all’esterno a parlare con Tony che lo distraeva, aveva sempre un occhio puntato verso l’interno e probabilmente subodorò qualcosa di sospetto e rientrò con aria indagatrice. Cecilia vide che rientrava per cui si nascose all’interno del magazzino in cui erano accatastati attrezzi e oggettistica varia. Il receptionist ispezionò ogni stanza, quindi anche il magazzino, entrò, accese la luce, si guardò in giro… mentre Cecilia si sentì già scoperta, restò immobile, senza nemmeno respirare quasi, riuscendo anche a vedere l’uomo che lanciava sguardi a 360°… ma la stanza era talmente piena di cianfrusaglie di tutti i tipi e di manichini che Cecilia non fu vista, la porta si richiuse, e il suo battito cardiaco tornò regolare. Dopo qualche minuto, con una sospetta telefonata da parte di Tony arrivata al telefono sul retro del bancone per allontanare e distrarre il receptionist, arrivò il momento per sgusciare fuori, gettare la refurtiva in auto e fuggire veloci e felici verso la casa di Cecilia dove avvenne la spartizione della refurtiva, che venne poi nascosta in un luogo sicuro presso un complice. Al circolo non si accorsero di nulla fino a che la gente non iniziò a uscire e a non trovare le proprie pellicce, e a scoprirsi le tasche svuotate.
Qualche giorno dopo, una donna commissario si presentò a casa di Cecilia e poi anche in quella di Tony come di altri soci del circolo; fece molte domande, si guardò in giro con sospetto, ma non trovando nulla se ne andò.
Avere un bordello non era redditizio solo da un punto di vista economico, tornavano anche utili le conoscenze dei frequentatori: c’era un uomo politico che desiderava lo spettacolino burlesque tutto per sé con la prostituta in guepiere color cipria, c’era l’imprenditore che si masturbava guardando la puttana che faceva altrettanto, c’era il calciatore che voleva una professionista purchè volgare e prosperosa… ed eccezionalmente, Cecilia in persona si prostituì quando ebbero l’onore della visita in incognito del presidente del consiglio, per compiacere il quale indossò della costosissima biancheria intima, ballò per lui, lo fece divertire per alcune ore, chiedendo in cambio non denaro, bensì di toglierle di torno le indagini della polizia che non avrebbero favorito sicuramente l’andamento del centro estetico/bordello né tantomeno la sua carriera canora. Problema risolto…!!!!
Il presidente del consiglio non fu per lei solo un valido aiuto e un generoso cliente, ma una figura che le andò a cambiare nettamente il corso della vita; Cecilia rimase incinta e il padre non poteva essere altro che lui, l’unico incontro intimo di quel periodo. Lo mise al corrente, lui fu responsabilmente felice della gravidanza, ma di comune accordo decisero di non stravolgere le loro rispettive vite e di non legarsi, quantomeno non pubblicamente. Lui le avrebbe versato una grossa cifra mensile per lei e il bambino o bambina che sarebbe nato. Con quel denaro Cecilia acquistò una villa vittoriana a due piani, tutta bianca e circondata da un vasto terreno erboso, situata all’estero dove si trasferì, anche per non rischiare nuove indagini da parte della polizia italiana. Nacque un bambino delizioso con cui Cecilia andò a vivere nella villa, ormai entrambi cittadini statunitensi residenti nei dintorni di New York. Gli anni italiani diventarono molto presto lontani e nebbiosi, la bella vita era qui e ora, negli USA, con il piccolo Peter e il benessere dato dal denaro del “suo” uomo politico.
Passò del tempo, e Cecilia iniziò una importante relazione omosessuale con una bionda maestra elementare con velleità d’attrice, relazione talmente forte da portare le due donne a organizzare il matrimonio, negli USA riconosciuto legalmente.
Tony giunse dall’Italia per aiutarla a programmare la cerimonia, andarono alla ricerca dell’abito insieme e Cecilia ne scelse uno bianco rivestito di perle, ma le scarpe adatte da abbinare a quel vestito non erano proprio di suo gradimento, né quelle più semplici, né quelle ornate anch’esse di perle sulla parte superiore; bastò questo piccolo particolare per farle perdere parte dell’entusiasmo (sempre che di entusiasmo si trattasse). Ma l’episodio che mandò all’aria matrimonio e relazione fu il desiderio di Carole di restare separate e caste negli ultimi dieci giorni precedenti la cerimonia. Mentre Carole era nel giardino della scuola elementare a controllare i bambini che giocavano, Cecilia si avvicinò al cancello per parlarle e dirle che questa decisione di restare caste “formalmente” prima di unirsi in matrimonio era secondo lei una grande sciocchezza che rivelava una mentalità retrograda, ipocrita e poco intelligente. Fine di un amore.
Ora che della celebrazione non se ne sarebbe più fatto nulla, Tony dedicò le sue energie ad altro: rapì un’anziana e ricca signora senza famiglia né amicizie, mantenendo sempre il volto coperto e comunicando tramite biglietti scritti per non essere riconosciuto dal viso e dalla voce, e la obbligò a dargli tutti i suoi averi in cambio della libertà, altrimenti l’avrebbe uccisa. E fu così che Tony intascò un bel patrimonio che trasferì gradatamente sul suo conto corrente per non destare sospetti; ora più che mai doveva stare molto attento, viste le visite della polizia nella sua casa in Italia dopo quel famoso colpo al circolo ricreativo.
Tony e Cecilia si riavvicinarono arrivando a pensare di sposarsi nuovamente, e per farlo scelsero una location italiana con seguente viaggio di nozze a Torino; informarono per prima Carole, che rimase affranta dal dolore, non riuscendo a dimenticare Cecilia, il cui pensiero le toglieva il sonno e la voglia di vivere. Dopo il viaggio di nozze, la coppia tornò a New York, e Cecilia venne subito contattata dal cantante che da mesi ormai doveva darle una risposta e da un imprenditore che avrebbe finanziato uno spettacolo canoro a cui l’avrebbero fatta partecipare con una delle sue nuove canzoni da lei recentemente composta che trattava delle emozioni, delle speranze e dei timori dei giovani giunti alla fine del loro percorso di studi. Cecilia si recò nel grande ma spoglio appartamento del cantante, e aspettando l’arrivo dell’imprenditore che gestiva anche affari legati al mondo del calcio, senza sapere come si ritrovarono su un materasso a baciarsi e succhiarsi a vicenda. Tutto fu interrotto dall’arrivo dell’imprenditore, il quale con certezza arruolò Cecilia per lo spettacolo. Il passo successivo fu recarsi qualche giorno dopo all’appuntamento presso l’ufficio dell’imprenditore, alla presenza dello stesso e di un giornalista che avrebbe pubblicizzato l’evento e l’emergente figura di cantante di Cecilia sul suo giornale. L’ufficio era arredato in stile moderno, freddo ed essenziale, ma con ampi finestroni con vista sulla metropoli, e al centro un lungo tavolo in vetro grigio scuro attorno al quale si accomodarono i tre interlocutori: furono due lunghe ore di colloquio professionale noioso per definire i termini del contratto, le mosse pubblicitarie, lo svolgersi dello spettacolo in ogni particolare.
Prima di congedarsi, Cecilia chiese di poter avere una buona parola per fare accettare suo figlio Peter, che ora era un bambino vivace e promettente, alla scuola di calcio più prestigiosa della città. Sìììì, anche quell’obiettivo fu raggiunto, e tornata nella loro magnifica e ricca villa festeggiarono; Tony e Cecilia regalarono al bambino un leoncino da aggiungere ai gatti e a una lince che circolavano liberi nel loro giardino.
Il successivo colpo della coppia fu a un bar; mentre passeggiavano, passarono davanti al dehor con vari tavolini, accanto ai quali c’era una mensola su cui erano poste in modo molto ordinato varie bottiglie di liquori. Con nonchalance, Tony riempì un enorme sacco di tutte quelle bottiglie per poi allontanarsi in fretta insieme, ma… erano stati visti da un famoso attore comico che stava consumando in quel bar, il quale li raggiunse creando nella coppia una certa apprensione. Tuttavia, con loro grande sorpresa, il comico stava dalla loro parte, si mostrò molto comprensivo.
Lo spettacolo musicale al quale partecipò Cecilia andò molto bene, talmente bene che iniziò una lunga tourneè per il mondo, lei e il cantante che le aveva dato la “sua” possibilità salivano e scendevano continuamente dagli aerei, lei era ubriaca e frastornata da ciò che stava vivendo, si lasciava trasportare dal collega, entusiasta come una bambina degli splendidi paesaggi che poteva ammirare, come quelli dell’Australia o del Giappone…
Proprio in Giappone, Cecilia si concesse un’esperienza lesbica a pagamento; era andata a visitare un piccolo museo di artigianato, e dicendo una certa parola d’ordine che qualcuno le aveva suggerito, la cassiera la condusse in una camera da letto sul retro dove si trovavano altre due giapponesine nude… tutte e quattro si misero sul letto e fu altamente eccitante.
Un’altra splendida esperienza si presentò durante la presentazione dello spettacolo in Inghilterra; lì arrivò l’invito addirittura da parte della famiglia reale che voleva conoscerla, non un invito formale ma una giornata trascorsa nel verde delle tenute reali a cavallo.
Finita la tourneè tornò a New York, dove Tony e Cecilia dettero una bella festa con alcuni attori comici e altre persone, durante la quale si rise, si ballò e si cantò, in particolare uno psichiatra loro ospite si esibì in una danza s**tenata e sconcia, seguito da alcuni cantanti.
Ma la festa migliore per la coppia era di poter ricominciare i vari reati; avevano ormai già sequestrato una vecchia donna per chiederle denaro in cambio della libertà, per cui potevano riprovarci, ma questa volta rapirono un neonato. Durante alcune passeggiate, scelsero la mamma adatta, sufficiente distratta, e dopo giorni di pedinamenti in cui dormirono e mangiarono in auto, scoprirono l’indirizzo e il nome della famiglia… e venne il momento del rapimento nel luogo e nel momento opportuni. Presto si trovarono un bambino in auto e poi a casa con cui rimpinguare le loro finanze già molto ben nutrite! I genitori erano molto ricchi, e in preda alla disperazione cedettero subito al ricatto pagando ed evitando la denuncia, pur di riavere il figlio sano e salvo con loro.
Il colpo successivo pensarono di effettuarlo allo stadio durante una importante partita; si sarebbero intrufolati nelle aree interdette al pubblico per fare un giro di ricognizione e scoprire dove e come agire… ma quella volta qualcosa andò storto.
Si divisero: Tony verso destra e Cecilia verso sinistra. Mentre il pubblico era intento a guardare la partita e quindi negli interni c’era poca frequentazione, loro camminavano per stanze e corridoi alla ricerca di indizi interessanti e utili per il loro fine truffaldino; ma Cecilia venne notata da due uomini della sicurezza, lei finse di essersi perduta mentre cercava la toilette, ma quelli si insospettirono, la condussero dai poliziotti, i quali la portarono al dipartimento, fecero delle indagini sul suo conto contattando anche la polizia italiana, e presto vennero fuori una serie di furti, reati, truffe, omicidi, rapimenti… sia in Italia che negli USA… e toccare il sedere di un poliziotto non le servì a farsi aiutare a fuggire.
Fine della carriera spericolata di una cantante-ladra-omicida e inizio di una vita nel carcere di New York.
Non era stata capace di accontentarsi? Oppure era stata sopraffatta dal desiderio di denaro che aveva soppiantato qualunque logica etica?
Di certo si trattava di una donna che aveva vissuto compiendo scelte e comportamenti di tipo maschile (anche in ambito sentimentale, dove aveva deciso, lasciato, tradito) senza farsi tormentare dai sentimentalismi tipici invece di molte appartenenti al genere femminile, e che aveva trovato con il marito un equilibrio malato, sofferente, devastante.
Lisa e Alice
Nonostante nell’atrio della facoltà di Lettere ci sia confusione, Alice riesce subito a individuare Lisa. La raggiunge, le sorride, la bacia sulle guance, e insieme a lei sale le scale che portano alle aule del primo piano. “L’una accanto all’altra siamo sublimi” pensa, consapevole degli occhi eccitati che le circondano. Sembra che nessuno studente, assistente o professore sappia decidersi ad ammirare solo uno dei loro corpi. Troppa è la bellezza: i seni da ragazzina di Alice e quelli più appariscenti di Lisa; le cosce pallide sotto il kilt, il caschetto nerissimo e il viso malizioso di una e le gambe fasciate dalla gonna lunga, i boccoli biondi e l’algida innocenza dell’altra. Alice pensa che avvertire tanto desiderio intorno a loro sia divertente. E che lo sia ancor di più notare la vergogna che Lisa non può mascherare. “Questa sera ci vediamo, vero?” domanda come per distrarre l’amica dagli sguardi insistenti. “Vieni da me, così studiamo oppure guardiamo un film. Magari puoi anche fermarti a dormire.”
Lisa annuisce, comunque imbarazzata, fissando il pavimento. “Sì, possiamo studiare un po’.”
Entrano nell’aula dove ha appena avuto inizio una lezione di Letteratura Italiana. Alice abbassa la voce “L’hai già detto ai tuoi?”
“No. Questo fine settimana sono fuori città. Ed è meglio che non lo sappiano. Potrebbero pensare che mi veda con un ragazzo.”
Raggiungono due posti liberi in seconda fila. Mentre si siedono, Alice guarda Lisa accavallare le gambe. Di colpo, una volta ancora, si sente invasa dal desiderio di plasmarla, di scegliere per lei abiti e scarpe, pettinatura e trucco, e poter così s**tenare tutta la bellezza di cui non sembra consapevole, o che deliberatamente tenta di nascondere. Non riesce a non sorridere al pensiero di Lisa che, inerte come una bambola, si lascia vestire e truccare. Se solo l’amica non fosse chiusa in una fortezza di sensi di colpa e di infinite morali, perduta tra le troppe parole vuote dei soli discorsi che sembra conoscere: la famiglia, la parrocchia e Gesù Cristo.
Tutte catene che stringono la sua vera bellezza e, pur non deturpandola ancora, un giorno produrranno piaghe putride e cicatrici.
Il professore sembra perdere il filo del discorso, poi riprende a parlare di Manzoni e di altre assurdità. Alice apre la cerniera della borsa e cerca il cellulare. Scrive un messaggio a Samuele: “più tardi passo da te. Dobbiamo parlare. Ho bisogno d’aiuto.” Il professore la guarda un momento, perde di nuovo il filo, si mette a tossire e si pulisce la bocca col fazzoletto.
Anche Lisa si volta. Nei suoi occhi, Alice legge un’ombra di sospetto, di incertezza. È come se avesse intuito qualcosa di ciò che ha architettato per lei.
*
“No e poi no” Samuele scuote il capo. Non si muove dalla soglia di casa.
“Almeno lasciami spiegare, cuginetto.” Alice gli offre un sorriso il più accattivante possibile.
Lui sbuffa. Fa un passo indietro, e subito la ragazza ne approfitta per entrare. Samuele chiude la porta e continua a protestare a mezza voce. Gli avvolgibili sono abbassati, e la poca luce che filtra getta ombre sbiadite su sfondi di ombre ben più dense. Alle pareti ci sono disegni lascivi di Felicien Rops e von Byros, e mensole con oggetti che le semitenebre fanno apparire ancora più bizzarri: minuscole ballerine di cera, piccolo falli d’avorio, antiche bottiglie di profumo, un carillon con ninfe e satiri, una scarpa appartenuta (forse) a Betty Page. Samuele percorre il corridoio, zoppicando leggermente, seguito da Alice. Entra nello studio, e va a sedersi su una poltrona grande e screpolata.
“Vuoi ascoltarmi, cuginetto?” domanda lei.
“In realtà no.” Samuele tiene il capo inclinato, e le mani pallide, con lunghe dita magre, poggiate mollemente oltre i braccioli. “Ma sembra che non abbia altra scelta.”
Alice avanza quasi a tentoni. “Perché te ne stai sempre al buio?” gli domanda. “A me verrebbe il mal di testa.”
Samuele finge di ridere. “Per quello basta un’aspirina.”
Alice accende uno dei faretti al tungsteno, che risale all’epoca in cui Samuele si guadagnava da vivere con la fotografia.
Lui stringe le palpebre, abbagliato dalla luce che illumina a giorno la stanza. “Dimmi quello che devi dirmi” grugnisce insistendo a tenere gli occhi chiusi. “E in fretta, senza giri di parole”
“Però tu devi guardarmi” fa Alice. È decisa a sfruttare tutto l’ascendente che sa di esercitare su di lui. Si avvicina alla poltrona e lì rimane, ritta in piedi, sorridendo.
Samuele ubbidisce, ma torna subito ad abbassare le palpebre. “Ecco. T’ho guardata. Adesso parla.” Invece di farlo, Alice si avvicina ancora di più e appoggia una mano sulla sua. Samuele si ritrae, con un gemito, come se la pelle di lei bruciasse. Spalanca gli occhi e urla: “che cazzo fai?! Non devi toccarmi!”
“Hai sentito, cuginetto? L’hai vista?”
Samuele scuote il capo. Chiude a pugno, lentamente, la mano toccata da Alice. Serra i denti e respira pesantemente dal naso. “Sì, merda! Ho visto qualcosa…”
“E ti è subito venuto duro?”
Samuele fissa Alice e i suoi abiti, soprattutto le scarpe basse, da bambina alla prima comunione, che s’accordano scandalosamente bene alle calze a rete. “Maledizione a te, Alice” mormora. “Sì.”
Lei compie un inchino, sorridendo soddisfatta. Poi lo guarda sottecchi e tira fuori la lingua, un po’ per fargli le beffe, un po’ per eccitarlo. Fa un giro su se stessa, velocemente, alzando il kilt quel tanto da mostrare che le calze a rete sono autoreggenti. “Hey, non trattarmi male. Voglio solo chiederti un piccolo favore.”
“Favore? Tu sei pericolosa. E io ho soltanto voglia di starmene al buio, tranquillo.”
“Davvero?” Alice si solleva del tutto la gonna. Sotto indossa un triangolino di pizzo nero che lascia intravedere il pube rasato. “Però ti è venuto duro…”
Samuele sembra respirare a fatica. Si massaggia per un momento le tempie. Quando torna a guardare Alice, i suoi occhi scintillano. Le narici sono dilatate. La voce gli striscia rauca fuori dalla gola. “D’accordo, furbetta.” Si alza di s**tto e la trae a sé. Le fa scorrere le mani sul viso, sul collo, sui seni piccoli e sodi. Scende a toccarle i fianchi sotto la maglietta, e nel momento in cui stringe la presa, Alice avverte una sensazione simile a quando lui la penetra senza che sia abbastanza lubrificata: una sorta di bruciore non del tutto spiacevole, un’aggressione che la scalda, la fa aprire, la rende più presente in se stessa. “Desideri un’amante. Una ragazza bellissima” dice Samuele. Le sfila del tutto la maglietta, la fa voltare e le slaccia il reggiseno. Con la punta della lingua le sfiora il collo, poi si abbassa seguendo la colonna vertebrale. Alice avverte un brivido, un solleticante piacere, e ancora la sensazione che Samuele si stia muovendo dentro di lei. “Una ragazza bionda, con lunghe gambe che vorresti assaggiare come io sto assaggiando te” aggiunge. Poi le mette una mano sugli occhi, mentre con l’altra le sfiora il seno, stuzzicandole i capezzoli eretti con lievi pizzicotti e sussurrandole all’orecchio: “vorresti che ti toccasse così, e vorresti toccarla così anche tu. Non desideri altro.” S’inginocchia e le sfila la gonna e le mutandine. “La stai pensando con le scarpe che sogni di farle calzare. I tuoi stivali nuovi, quelli di vernice nera, col tacco altissimo e le borchie.” La bacia sull’ombelico e afferra il piercing con gl’incisivi. Alice sente qualcosa sciogliersi nel ventre, e capisce di essersi bagnata. “Vorresti sfiorare col tuo seno le sue gambe, appoggiarle la guancia sulle natiche.” Samuele la lecca sul monte di venere, e più giù, sulla pelle depilata e liscia. “La vorresti carponi, davanti a te, per succhiarle la fica. Per sentirne tutto il sapore dolciastro.” Fa ruotare la punta della lingua intorno al clitoride e Alice gode immediatamente. Per un istante, lei non vede Samuele, bensì Lisa. Bellissima, nuda, genuflessa al suo cospetto, impegnata a passarle la lingua nel solco della fica gonfia. Poi riapre gli occhi, e l’illusione svanisce. Samuele si è rialzato e la sta guardando, serio. “Lascia perdere, Alice. La bionda dalle lunghe cosce non può essere liberata. Abbandonala alle sue messe e alle cure del suo Jehova. Che se ne resti incatenata com’è.”
“Perché?” domanda Alice, ansimando un poco.
“Perché sono le sue catene a tenerla insieme. Liberala, e la vedrai cadere a pezzi. Sai cosa intendo dire. Lo sai benissimo.”
“Io voglio soltanto sapere se lei desidera le stesse cose che desidero io.””No, non le desidera. Vuole laurearsi, sposare un bravo cattolico e fare
qualche bambino.”
Alice scuote il capo. “Come puoi saperlo? Non l’hai ancora toccata.” Samuele spegne il faretto al tungsteno, quindi torna a stravaccarsi in poltrona. “Avanti” insiste Alice, rivestendosi. “Non dirmi che non sei eccitato. L’hai appena conosciuta attraverso i miei occhi e i miei sogni. E se tu mi aiutassi a liberarla, chissà… Non vorresti starci a guardare? Riprenderci con la videocamera? O magari godere con noi?”
Samuele, invece di rispondere, le afferra una mano. Alice lo guarda un istante, sorpresa. Poi, senza che neppure chiuda gli occhi, riceve un’immagine confusa, mutevole, come un riflusso di liquame nero che le annebbia la vista. Cerca di ritrarre la mano, ma Samuele stringe la presa. L’immagine, adesso, è un buio puro, assoluto, che cancella ciò che i suoi veri occhi vedono e la rende cieca. Quando il buio si squarcia davanti a lei, rivela decine di bocche mostruose che sono ferite di carne e sangue rappreso, con viti e chiodi e lamette al posto dei denti. Ogni bocca appartiene a un volto deforme, urlante, che dondola appeso a un corpo che pare rivoltato come un guanto. Nell’istante in cui le bocche si avvicinano a lei, Alice riesce finalmente a divincolarsi dalla presa di Samuele. Fa qualche passo indietro e dalle labbra le esce un respiro tremante. “Imparerà anche lei a tenerle lontane. Me l’hai insegnato tu: si possono educare a guardare e basta!”
Samuele scuote il capo. “No. Non puoi educare nulla in una persona che sin da piccola le ha infibulate, castrate e prese a calci nel culo. Non sono cagnolini, Alice. La loro rabbia, una volta liberate, farà a pezzi la tua amica. Dimentica questo capriccio e trova qualcun altro con cui giocare.”
“Non è un capriccio” fa Alice alzando la voce. Per un istante si guarda intorno, smarrita. “Non è un capriccio più di quanto lo sia io per te, cuginetto. Io e tutte le tue amanti.”
Gli occhi di Samuele si stringono un poco. “Dimentichi, Alice, che quando sei venuta da me, avevi già trovata la tua strada. Mi è bastato sfiorarti…”
Alice scrolla le spalle. Esce dallo studio. Samuele la segue, e rimane a guardarla mentre apre la porta d’ingresso. “Stai attenta, Alice. Non si possono liberare persone tanto represse. Quando lo capirai? Sono come moribondi attaccati a una macchina. Spegni la macchina e loro muoiono.”
Alice si volta, annuisce, poi in fretta prende un mazzo di chiavi appeso alla porta. “Saremo qui dopo cena. Dormiremo qui.”
“No e poi no! Scordatelo!” fa lui, alzando la voce. Ma Alice si è già chiusa la porta alle spalle.
Dopo la pizza, Alice e Lisa trascorrono la serata passeggiando in centro. Lisa non fa che parlare dei suoi genitori, delle attività della parrocchia, e soprattutto dell’università. Butta una parola dietro l’altra, mostrando chiaramente quanto sia a disagio. Probabilmente ha davvero intuito qualcosa; sente di essere desiderata, e questo la sconvolge. I sensi di colpa giocano a confonderla, urlandole dentro “puttana” e “peccatrice”, e fingendosi la mano di Dio che le indica la strada per l’Inferno. Alice vorrebbe sfiorarla. Accarezzarla leggermente per rassicurarla e dirle che va tutto bene. Ripensa in fretta alle parole di Samuele. Perché liberare Lisa dalle sue catene dovrebbe essere pericoloso? Come possono tutta la sua bellezza e la sua passione andare sprecate? Vorrebbe che il potere di Samuele le appartenesse, almeno un poco. Allora farebbe da sola: toccherebbe la carne di Lisa, per leggere dentro di lei e poter così realizzare i suoi desideri, quali che siano. Ma nell’ascoltarla mentre insiste a parlare di università, concitata dall’imbarazzo, Alice si sente scoraggiata. La realtà le preme addosso e le trasmette una vivida frustrazione. È troppo grande la distanza tra i suoi desideri e ciò che il mondo le offre.
Quando si fa tardi, si dirigono verso casa. Appena entrate, la prima cosa che Lisa nota sono le stampe che Samuele tiene appese. Nel vederle, sembra spaventarsi. Alice chiude la porta e Lisa si volta verso di lei con lo sguardo di un a****le preso in trappola. “I tuoi genitori non ci sono?” domanda timidamente.
“No, stanno in un’altra casa. Qui vive mio cugino. Io ci studio, e qualche volta ci dormo.” Alice percorre il corridoio, apre e chiude porte sbirciando in tutte le stanze. Infine annuncia: “non c’è neanche lui, in realtà. Siamo sole.” Doveva immaginarselo! Non è la prima volta che Samuele le gioca un tiro del genere. Codardo e coglione! E sì che non sopporta di starsene in giro. Troppo alta la possibilità di toccare per sbaglio i pensieri di qualcuno.
Alice fa strada a Lisa sino alla stanza dove dorme. È una cameretta arredata di tutto punto, con un letto a due piazze, una scrivania con penne e dizionari, un grosso armadio pieno di vestiti regalati da Samuele. Lisa si guarda attorno, sempre spaesata, ancora più in trappola. Le sue pupille sono dilatate, il respiro accelerato. Quando Alice apre l’armadio, facendo cadere alcune s**tole disposte male, Lisa sobbalza. Alice finge di non accorgersene. Fa cenno all’amica di sedersi sul letto, poi prende una delle s**tole cadute. Dentro c’è un paio di stivali alti sino al ginocchio, neri e lucidi, con dodici centimetri di tacco. Lisa li guarda per un istante, come se non riuscisse a capire cosa sono. “Ti sei mai messa niente del genere?” Lisa scuote il capo. “Vuoi provarli? Che numero hai?” Lisa mormora il trentasette. “Avanti, scommetto che ti stanno benissimo!”
Lisa ubbidisce, forse per pura cortesia. Si alza con gli stivali indosso e si solleva leggermente la gonna provando a muovere qualche passo. Sembra che non abbia mai camminato sui tacchi, tanto è insicura.
“Ecco, vedi: sei bellissima!” esclama Alice battendo le mani. “Ma adesso ci vogliono i vestiti adatti”. Si mette a rovistare nell’armadio. Sceglie una gonna molto corta, di velluto nero. Poi un corpetto, di quelli all’antica, con i lacci dietro. “Prova questi.”
“No, per favore” si schermisce Lisa, arrossendo.
“Non vergognarti. Io aspetto fuori, tanto devo fare pipì.” Alice esce dalla propria stanza, e chiude la porta. Fa qualche passo, entra in bagno, si ferma davanti allo specchio. Non riesce a controllare la tempesta che avverte dentro di sé e la fa bagnare. Si alza la gonna e si infila le dita nelle mutandine, il pensiero sempre ossessivamente rivolto a Lisa. Un tocco soltanto e la sensazione di dover fare pipì si trasforma in un orgasmo intenso, che le brucia dentro ma non la soddisfa. Alla fine è ancora più bramosa delle carezze dell’amica. Delle sue dita e della sua lingua dentro la propria carne. Aspetta qualche minuto, poi torna da lei.
Vederla con indosso i vestiti che le ha dato, le toglie il fiato. Prende le mani di Lisa, la fa ruotare su se stessa. Si sente trionfante, e adesso è lei a non sapere cosa guardare dell’amica: le gambe lunghe, il seno stretto nel corpetto, le lentiggini nella scollatura pallida. “E ora lascia che ti trucchi, per favore!”
La fa sedere alla scrivania, da cui sgombra penne e dizionari. Apre un cassetto e ne trae un assortimento di cosmetici. Prima le mette l’ombretto nero, poi il mascara, poi un rossetto rosso color rubino; piccoli gesti precisi, a cui segue un lungo momento di contemplazione. “Posso farti qualche fotografia?” le domanda alla fine. “Sei così attraente…”
Lisa, a quelle parole, sembra attraversata da un brivido. “Non mi sembra il caso” mormora. E intanto scuote il capo. Tutto, in lei, urla silenziosamente: “no”.
Alice si stringe nelle spalle. Avverte la frustrazione di prima, ma decuplicata. Per un momento soppesa la possibilità di baciare Lisa a tradimento, ma la scarta subito: servirebbe solo a farla fuggire. Lentamente, mette via i trucchi. Mentre prepara il letto e trova una castigata camicia da notte per Lisa, la frustrazione si trasforma poco a poco in rabbia montante. Non può prendersela con l’amica, però, col suo sguardo spaventato e indifeso. In fondo non può nemmeno prendersela con se stessa e coi propri desideri.
No. È tutta colpa di Samuele.
Alle due del mattino, Alice si sveglia da un sonno irrequieto, con nelle orecchie il rumore della porta di casa. Butta le lenzuola da una parte e si alza. Esce dalla propria stanza, e cammina scalza lungo il corridoio. Samuele è appena entrato, e sta togliendosi la giacca e i guanti di pelle. I loro sguardi si incrociano nella semioscurità. “Ti avevo chiesto un favore.”
“È troppo pericoloso” le ricorda lui.
“Sta dormendo. Puoi farlo adesso. Ti prego! Io devo sapere cosa pensa.
Perché ti costa tanta fatica?”
“È troppo pericoloso, t’ho detto!” ripete Samuele, alzando la voce.
Alice non si dà per vinta. Gli si avvicina e, rapidamente, gli mette una mano tra le gambe. Basta un istante e sta già stringendo il pene eretto dentro ai pantaloni. “Cosa può succedere di tanto orribile?” gli sussurra. “Giuro che io non farò niente.”
Samuele resiste soltanto un momento, il tempo necessario ad Alice per muovere la mano sul suo cazzo, voluttuosamente, poi si muove verso la stanza da letto. Lisa dorme, il respiro regolare e il viso tranquillo, e lui rimane immobile a guardarla, nel silenzio pesante che ronza nelle orecchie. Alice scopre l’amica dal lenzuolo, poi le arrotola la camicia da notte sino ai fianchi e slaccia due bottoni denudando il seno florido. Samuele si inginocchia e inizia a muovere le mani sulla pelle di Lisa: le tocca l’addome, il collo e il petto, delicatamente, e i capezzoli le s’inturgidiscono. Quindi Samuele arriccia il naso, corruga la fronte e digrigna i denti. Sembra trattenere il fiato, e intanto muove gli occhi sotto le palpebre come se stesse sognando.
Alice assiste alla scena, il cuore che le martella nel petto e la tentazione di appoggiare una mano su di lui per condividere le visioni. Quando sta per farlo, lui si alza di s**tto ed esce dalla stanza. Alice lo segue e lo guarda appoggiarsi pesantemente al muro prima di cadere in ginocchio. Non l’ha mai visto così. “Che succede?” gli domanda. “Cosa hai visto? Anche lei mi desidera?”
Samuele non risponde. Alice aspetta qualche istante, poi si decide ad afferrargli la nuca. L’immagine che la travolge è tanto violenta e perturbante che il primo istinto è quello di lasciare la presa. Un mare di corpi, di vagine aperte, di cazzi eretti e luccicanti, un’orgia di urla e gemiti, uno sconfinato orizzonte di sessi che si penetrano ed eiaculano l’uno nell’altro. Alice comprende subito che quanto sta vedendo appartiene a Lisa, e non a Samuele. E dopo l’iniziale incertezza, ciò basta a eccitarla e spingerla all’azione. S’abbassa sul cugino, gli sbottona i pantaloni e gli prende il cazzo in bocca. “No” mormora lui, tentando persino di divincolarsi.
Ma ormai è troppo tardi. Alice ha vinto anche questa volta.
Samuele, il volto ghignante, sveglia Lisa battendole il glande bagnato sulle guance e sulla fronte. Lei si lamenta con voce ansimante, aprendo gli occhi. Samuele l’afferra per il collo e la immobilizza. Alice fa altrettanto, tenendole le cosce a affondandole la lingua nella fica. Lisa inarca la schiena, come se i due l’avessero trafitta con uno spiedo. Poi, d’un tratto, sembra distendersi. Socchiude gli occhi e dischiude le labbra. Samuele ne approfitta: le mette due dita in bocca, le tira verso il basso la mandibola, e le fa scivolare il pene turgido a filo dei denti.
Alice allunga una mano sino a toccare la schiena di suo cugino. Attraverso il contatto della pelle, riceve le sensazioni di Lisa. Sente il cazzo di Samuele toccarle la gola, provocarle un conato; ma oltre la carne, o al di sotto di essa, sente soprattutto le sue barriere frantumarsi, le catene spezzarsi con uno schiocco di carne strappata, i sensi di colpa liquefarsi nel succo della fica che le viene succhiata. Le gambe di Lisa, adesso, sono mosse dal solo desiderio di divaricarsi il più possibile. Le labbra si stringono intorno all’erezione di Samuele, la solleticano e la riempiono di un impeto a****lesco. Decine di bocche, dai pensieri di lui, vomitano immagini fluide nella mente sovraeccitata di Lisa. È come se entrambe quelle sensazioni, e le visioni che ne s**turiscono – quelle di Samuele e quelle di Lisa – adesso appartenessero anche ad Alice, indistinguibili le une dalle altre.
Alice continua a leccare. Il clitoride dell’amica è gonfio, duro come un bottone. Lo mordicchia, lo spreme con le labbra e lo succhia meticolosamente. Le infila dentro due dita, affondandole in un risucchio di carne impiastrata. Trova la parte interna che al tatto è simile al palato e vi strofina i polpastrelli, con cura, sempre più veloce, avanti e indietro con le dita nella fica rossa e gonfia, finché non la conduce all’orgasmo.
Lisa non riesce a urlare, perché Samuele le spinge il cazzo profondamente in gola. Sbarra gli occhi, mentre il corpo intero trema come se fosse attraversato da una scossa elettrica. I pensieri che provengono da lei sono potenti come un tuono. Alice li scorge appena (di nuovo un mare di carne, ma stavolta simile a un’onda, a un vortice) prima di togliersi. Però vede l’effetto che hanno su Samuele. Lui scarica dentro la bocca di Lisa, urlando un grido che sembra provenirgli dal ventre. Si toglie e ruota la testa, come impazzito. Lisa tossisce, ha un conato, e sputa gran parte dello sperma sulle lenzuola. Poi volge gli occhi verso Alice. Non sembra più lei. È come trasfigurata.
“Cosa succede?” domanda Alice a Samuele, che cerca di calmarsi.
“È cominciata. Ricorda che l’hai voluto tu” risponde lui. Le gambe gli tremano un momento. Si avvicina ad Alice, il volto nuovamente ghignante. “Guarda, cuginetta…” dice prima di toccarle la fronte. Alice vede che il mare di carne è diventato un unico, immenso, rifluire di grugni mostruosi, arti deformi, giganteschi tumori che esplodono come bolle e riversano pus su fiche scarnificate e cazzi irti di aculei. Le sfugge un urlo, mentre allontana con uno spintone Samuele e la visione di cui s’è fatto messaggero. Guarda un momento Lisa, che la fissa sorridendo in modo folle, il mento sporco di sputo e sperma, i seni forse più grandi, le gambe apparentemente più muscolose, la vagina dischiusa e bagnata.
“Ventiquattro anni di pulsioni frenate dai sensi di colpa. Ventiquattro anni di castità e paura e rigida morale” mormora Samuele, quasi compiaciuto, annuendo tra sé. “Ventiquattro anni di timor di Dio! E questo è il risultato.”
Lisa si alza e si avvicina ad Alice. Senza che lei possa reagire, l’afferra per i capelli e la trascina sul pavimento con sé. Le mette un ginocchio sullo sterno, tenendola ferma. Alice prova a dimenarsi, ma uno schiaffo di Lisa la convince a desistere. “Ora godiamo” ordina Lisa, la voce rauca.
“E ora godete” le fa eco Samuele. Esce dalla stanza, e rientra con una sigaretta accesa e la videocamera.
Alice ha le labbra indolenzite, la lingua quasi insensibile, ma continua a leccare. Sente su di sé l’odore di Lisa, che adesso rivela una nota dolciastra e spiacevole, ferina. Sia lei che Samuele stanno assistendo alla trasformazione di Lisa. È come se la sua anatomia continuasse a cambiare impercettibilmente, ma sostanzialmente, ogni secondo che passa, come se la sua carne si stesse rimodellando: i seni sembrano ancora più pieni, lo sguardo ha qualcosa di furioso, il modo di muoversi è fluido, a****lesco. Il corpo intero, lustro di sudore, sembra palpitare: un tremore lo attraversa, ritmico come il battito del cuore.
“Cambiamo posizione” dice Lisa. Lei e Alice si mettono vagina contro vagina e cominciano a strofinarsi. Alice non sente quasi più nulla, tranne un bruciore persistente al clitoride, come se le fosse rimasto un pelo conficcato. Lisa si sposta di un palmo. Uno zampillo di orina bagna il seno di Alice, quindi raggiunge la bocca. Lei si volta, tossendo, i capelli bagnati. “Basta. Non ce la faccio più.”
Samuele si stringe nelle spalle. Le dà il cambio. Nonostante abbia preso del Viagra, l’erezione inizia a risultare debole. Ha già avuto quattro orgasmi. Riesce a mala pena a infilare l’uccello dentro Lisa, e a muoversi con ritmo lento. Serra le palpebre, disgustato da ciò che vede attraverso il contatto della pelle. “Sempre peggio. Vuoi dare un’occhiata?” propone ad Alice.
Lei fa cenno di no col capo. Rimane immobile a guardare il cugino che tenta con ogni forza di soddisfare Lisa. Poi senza pensarci, si passa la lingua sulle labbra. Gusta il sapore dell’orina, e fa per andare in bagno a vomitare.
Samuele l’afferra per una caviglia. Alice sente qualcosa strisciarle su per la gamba. Guarda verso il basso, e vede il corpo di Lisa come fatto a pezzi, la pelle lacerata da cui fuoriescono organi genitali e fluidi corporei. Al posto degli occhi ha due lunghi cazzi affusolati, simili ad antenne di lumaca, che si muovono spasmodici, e tutta la parte inferiore del volto è spaccata in due a formare una sorta di vagina dentata.
Samuele la lascia andare. Lisa, davanti agli occhi di Alice, torna normale.
Alice raggiunge il bagno appena in tempo per vomitare nel water.
“Dov’è?” domanda rientrando nella stanza da letto. Samuele è solo, sdraiato sul pavimento a braccia larghe, la testa a un palmo dalla pozza di piscio. Pene e testicoli sembrano aggiunte un po’ assurde sul suo corpo: un mucchietto di carne disossata, scura e grinzosa.
“S’è stancata di noi.
E se ne è andata.””Nuda?”
“No. Si è messa la tua roba. Il corpetto e la mini di velluto. Ah, si è presa anche i tuoi stivali.”
Alice si siede sul letto. È esausta e dolorante. “Che ne sarà di lei?”
Samuele solleva un sopracciglio. “Il suo corpo non le basterà più, e tra qualche giorno sentirà il bisogno di nuovi orifizi e roba del genere. Probabilmente si suiciderà. O si darà alla body art.”
“Cazzo” Alice pensa agli stivali nuovi e gli viene da piangere. Si sforza di non farlo, perché non vuole essere presa in giro da suo cugino.
“La castità è la peggiore delle perversioni, perché è la maschera di tutte le altre, anche di quelle più innominabili e disumane. Maggiore è la castità, più grandi e orribili sono i mostri che ci portiamo dentro. L’ho sempre detto.”
“E finiscila!” geme Alice. “Cosa vuoi che ti dica? Che avevi ragione?””Uhm. Perché no? Sarebbe quanto meno onesto, da parte tua.”
Alice prova ad alzarsi dal letto, ma un crampo al polpaccio sinistro la immobilizza. “‘Fanculo! Perché a noi non succede? Perché i nostri mostri non si rivoltano e ci fanno a pezzi?”
Samuele fa schioccare la lingua. “Pacifica convivenza, chiamiamola.
Collaborazione.”
C’è una lunga pausa di silenzio. Alla fine Alice sospira. “Va bene, cuginetto, scusami. Giuro che non lo faccio più.”
“Bah.”
“No, davvero, non lo faccio più.”
Samuele sorride, poi comincia a ridacchiare. “L’avevi detto anche l’ultima volta.”
“Però basta! Ti ho chiesto scusa.”
“Hey, tranquilla. In fondo stanotte mi sono divertito. Non come con quella racchia, la professoressa zoppa. Ti ricordi?”
“Sì” mormora Alice.
“Ma il peggio… beh, il peggio è stato il prete. Che schifo indimenticabile! Un autentico orrore, quello.” Samuele si alza dal pavimento, inarca la schiena e si massaggia i lombi. “Che fai? Provi a dormire un po’?”
Alice annuisce.
“Allora buon riposo, cuginetta. A domani.” Prima di uscire dalla stanza, aggiunge, facendole l’occhiolino: “e non ti toccare, che Dio ti guarda!”
Una notte ed un round di lotta libera in un night
La donna mi squadrò, poi, come se non avessi nemmeno aperto bocca, ritornò a discutere animatamente con le altre.
Intanto arrivò la cameriera con tre birre in barattolo e, alle sue spalle, Nunzio con i nostri bicchieri, colmi di Coca Cola.
-Ehi, visto? – dissi indispettita alla ragazza che parlava italiano – lui è il mio ragazzo! –
Quella senza mai guardarmi, disse qualcosa alle altre, e tutte e tre sbottarono a ridere in modo volgare.
Guardarono Nunzio e lui sorrise … come un perfetto idiota:
-Bene – disse in italiano Nunzio – abbiamo compagnia! – prese per un braccio la cameriera e pagò anche le birre di quelle tre stronze.
-Ma che fai? – ci rimasi di stucco.
-Questo è tuo uomo? – disse la “badante”, poi, rivolta alle altre – E’ un bello ragazzo, si può sedere! – E di nuovo giù, a ridere
Quell’imbecille di Nunzio, intanto, invece di portarmi via, se la rideva, come se non aspettasse altro che fare amicizia con quelle tre volgaracce.
La donna che si era piazzata al mio fianco era la più grossa, di fisico e di età, dimostrava circa trentacinque anni.
Lineamenti da russa e col mento pronunciato di un bulldog.
Fece un sorriso a Nunzio che sembrava più una smorfia, e si spostò verso di me, col suo grosso culo bolscevico.
A furia di spingere e di ignorarmi, la stronza finì per farmi cadere dalla panca, con un ultimo colpo secco. Lo fece apposta.
Impreparata, finii col sedere a terra in una posizione così discinta che si videro in bella mostra, le mie collant a reggicalze e le mie mutande da educanda.
L’abbigliamento e la posizione suscitarono il ridicolo su di me, mettendomi improvvisamente in forte imbarazzo.
La culona improvvisò per l’occasione una sceneggiata che mi fece andare ancor più fuori di testa.
Fece un panegirico ad alta voce, fingendo di rivolgersi alle amiche, ma che tutti poterono sentire, infatti commentarono con risatine compiaciute il suo show.
Dopo aver fatto la stupida, la ragazza si alzò dalla panca e abbozzando un inchino di scuse, mi porse la mano per aiutarmi ad uscire da quella imbarazzante posizione.
Confusa e stupita, ci cascai … e le diedi la mano.
Arrivata a mezz’aria, la troia mi lasciò di botto, facendomi ruzzolare peggio di prima sul pavimento, impacciata dalle scarpe da montagna. Le risate di quella massa di ignoranti arrivarono alle stelle.
Nunzio, intanto, seguiva la scena con una faccia da stronzo ed un’espressione divertita.
Ormai non pensavo più a lui, un velo rosso calò sui miei occhi. La russa si voltava in giro, mimando degli inchini e raccogliendo gli applausi degli amici: l’atmosfera si era surriscaldata.
Non ci vidi più, umiliata e arrabbiata, da terra dove mi trovavo, facendo leva sui gomiti scalciai verso l’alto, alla cieca; fatto sta che, la russa, prese un bella pedata, di pianta, nel culo e fece un balzo in avanti.
Non credo di averle fatto male ma di certo si adirò come una scimmia.
Dopo la sorpresa, forse finta e un po’ esagerata, ripensandoci, la ragazzona mi fu addosso in un attimo e abbassò talmente il viso sul mio che mi uccise solo con l’alito puzzolente intriso di birra.
Raccolsi le mani al viso, convinta che mi menasse ma lei si limitò a prendermi per la camicetta, all’altezza del petto; con la sua forza mi sollevò quasi dal pavimento, poi, sciorinò sul mio volto una litania di offese.
Non capii una sola parola ma, in compenso, venni subissata dagli spruzzi di saliva che riversava dalle labbra carnose.
Un attimo dopo, invece di continuare quella che sarebbe potuta diventare una vera rissa, si rimise in piedi e con espressione disgustata, si allontanò dalla mia vista.
Incredibile!
Tirai un sospiro di sollievo, l’avevamo scampata bella: la serata poteva finire veramente male. Fortunatamente la gente che frequentava quel locale era meno aggressiva di quanto avessi temuto. Mi alzai, aiutata da Nunzio che, finalmente, sembrava meno ebete e più preoccupato.
Una volta in piedi, però, mentre mi davo una spolverata alle mutande, visto che ormai la mia lingèrie era diventata di dominio pubblico, mi accorsi che qualcosa non andava.
Nel locale era caduto un silenzio pregno di aspettativa e tutti gli occhi erano puntati su di noi.
Sottovoce, per non dare nell’occhio, sussurrai al mio ragazzo:
-Ma … che c’è ancora, mica saranno razzisti? Perché ci guardano come fenomeni da baraccone? – cominciavo a preoccuparmi più di prima – credo sia meglio se ce ne andiamo … –
-Ehm, amore, non credo sia così semplice… – disse Nunzio abbastanza impacciato – vedi, la ragazza di prima, quella a cui hai dato un calcio … –
Lo guardai allucinata, mi sembrava che anche lui parlasse slavo, visto che non riuscivo a comprendere cosa diavolo volesse dire:
-Insomma, quella, – continuò lui con sguardo timoroso – ecco … lei, ti ha lanciato una sfida! –
-Sfidata? – a quel punto ero veramente nel pallone – Che cazzo vuol dire… quale sfida? Ma io chiamo la Polizia, qui siete tutti matti… – divenni veramente furiosa. Ora ce l’avevo anche con quel coglione di Nunzio; a un tratto lo sentii estraneo, lontano.
Dopotutto, la nostra non era una storia d’amore… quindi tra noi, a parte l’amicizia e una buona intesa sessuale, non c’era altro.
Lui mi fece segno di calmarmi ma io non ne volevo sapere, la mia mentalità “estremamente civile” poteva pure accettare una litigata improvvisa ma una sfida no… che roba. Cose da terzo mondo, da ghetto: trovavo quell’idea repellente, assurda.
Mi girai per uscire, dandomi un contegno di superiorità ma alle mie spalle trovai i due buttafuori di prima… deglutii per la paura.
Quelli non erano “ragazze”. Avevano le braccia conserte e l’espressione decisa, ognuna delle loro mani era grossa come il mio avambraccio.
L’attesa della gente era palpabile e, forse era solo un mia impressione, ma mi sembravano, tutti, un po’ sull’incazzato.
Ulteriore disappunto mi nasceva dal fatto che, quel maledetto locale, si riempiva nella notte, invece che svuotarsi.
Una sensazione di irrealtà mi prese e mi girò la testa, chiusi un attimo gli occhi per cercare di riprendermi.
Nunzio si frappose tra me e i due buttafuori, fece segno di prendere tempo, e quelli sembrarono ammansirsi.
– Gioia, purtroppo è andata così … mi spiace – disse piano – ma conosco questa gente, non ci mollano. Devi batterti con quella, credimi è la cosa migliore … solo in questo modo ce la caveremo senza danni. –
Strinsi gli occhi in una espressione di odio e di rabbia cieca. D’improvviso la situazione mi crollò addosso in tutta la sua drammaticità.
Fu come quando, in un incubo, l’ambiente familiare che ti circonda, all’improvviso, diventa terrorizzante e ostile. Provai paura.
In pochi minuti ero piombata dalla certezza pacata della civiltà al fondo della barbarie… ecco perché ci avevo messo tanto a razionalizzare quella situazione.
Mi ritrovavo a miglia e miglia da casa, in un locale malfamato, nel bel mezzo di un quartiere malavitoso di una città straniera e sconosciuta. Il top, insomma! Con me c’era un’eccellente illustratore pubblicitario milanese, abbastanza fighetto da sembrare una checca giuliva in mezzo a quella gente: già le femmine, erano più virili e violente di lui.
L’adrenalina si scaricò nel mio corpo e mi donò una certa lucidità… quantomeno mi aiutò a ritornare con i piedi per terra.
Non ce l’avevo con Nunzio, se non per avere sbagliato locale; ormai avevo capito che su di lui non potevo contare… era del tutto inadeguato alla situazione.
L’ombra di un dubbio mi sfiorò la mente: il mio uomo, dopotutto, non era un imbecille. Ma il pericolo era così incombente, che non potevo permettermi di crogiolarmi nelle riflessioni.
-Che devo fare? – chiesi, visto che, comunque, lui qualche parola biascicava di quella lingua tagliente – Dobbiamo prendere tempo… per cercare di scappare. –
-Tesoro, sono le tre di notte – disse – dove credi che arriveremmo? Ascoltami, io ci sono già stato in questi posti: stai al gioco! Queste risse sono più una scaramuccia di pose, una specie di balletto … ma non credo che raggiungano mai fasi violente. –
-Mi aiuti molto, sai? – dissi piena di sarcasmo – Ma insomma, che cazzo vogliono? –
-La grassona ti ha sfidato, adesso io provo a chiarire la cosa… ma ti prego non essere troppo preoccupata, per loro è uno spettacolo, una forma di bullismo… – Che spiegazione confortante, maledetto lui e quel locale pieno di matti.
Nunzio si voltò per affrontare il gruppetto di energumeni che si era stretto intorno a noi.
In fondo al locale, sul quadrato che avevo notato all’inizio della serata, la russa si era quasi spogliata, restando in mutande e reggiseno di lanetta verde, un tessuto grezzo e scambiato, probabilmente di provenienza militare.
Se ne stava in quella piccola arena, ora illuminata a giorno … il pavimento era bianco e antiscivolo, con le fughe e i bordi arrotondati.
Al centro notai una grata di scolo, del tutto fuori luogo e per niente rassicurante.
La donna batteva i pugni, come volesse scaldarsi: sembrava l’incredibile Hulk.
I clienti del locale, si erano fatti più vicini, mettendosi a favore di quella specie di ring. Il bagno di sangue sembrava scontato.
Vidi anche Nunzio che provava a spiegarsi con quella gentaglia e, poi, gli sentii alzare la voce ma questo fu un errore: venne spintonato in malo modo, verso un lato e quattro braccia robuste lo immobilizzarono, facendogli capire efficacemente di starsene buono, per evitare il peggio.
Più passavano i minuti, più quella situazione diventava grottesca.
Un momento dopo, toccò a me essere spinta in avanti, verso quella specie di buca, allora capii che non potevo sottrarmi a quella pericolosa avventura.
Quando arrivai a favore delle luci, la calca prese voce e si eccitò; arrivò quella che sembrava una badante e mi disse in italiano:
-Ok, vai su palco, adesso, e dimostrati forte e coraggiosa – sorrise maligna – non cagare sotto e non chiedi tu pietà … perché a tuo fidanzato gli strappano le palle! Vuoi tu questo? – Il sorrisetto si
trasformò in una risata sguaiata. Poiché queste battute le aveva dette ad alta voce, i giovinastri lì intorno, le trovarono molto divertenti, tra l’altro erano pure mezzi ubriachi.
Mentre avanzavo ancora, la biondina mi tolse di dosso la camicetta, strappando gli ultimi due bottoni sopravvissuti dopo la colluttazione.
-Questa solo te impiccia. Vai … combatti, italiana! –
Un ultimo sguardo intorno: la russa grossa mi aspettava per massacrarmi e il suo sguardo diventava a ogni momento più minaccioso.
Lo sconforto mi pervase ancor di più quando mi accorsi che, sulla scala d’ingresso, da dove eravamo entrati, tra gli spettatori occasionali, c’era anche una coppia di poliziotti.
Certamente reduci dalla ronda notturna, si erano defilati, per farsi un sorso “a sbafo” approfittando dell’ora tarda.
L’indifferenza divertita e il distacco con cui sorseggiavano le loro birre, mi fece capire che qualsiasi ribellione sarebbe stata inutile… ero prigioniera.
Prima di spostarmi sotto le luci, feci un gesto, dimenticato, ma scolpito nella mia memoria giovanile: mi segnai con la croce ed a testa bassa scesi nel quadrato, sotto i riflettori abbaglianti.
Una specie di piccolo boato provenne dalla folla che si era creata intorno all’arena; solo allora mi resi conto di quanta gente fosse in attesa, per vedermi massacrare.
Mi accorsi anche che qualcuno, concitato, scommetteva dei soldi. Puntava su qualcosa che non riuscii a sentire: non potevo immaginare che puntavano i lori soldi, sull’incontro che stava per avere luogo. Al momento non lo capii.
Decisi, invece, di concentrarmi attentamente, quanto meno per limitare al massimo i danni fisici.
Io non sono una gran sportiva ma nemmeno un tipo sedentario, la passione per la montagna, soprattutto da ragazza, aveva plasmato il mio carattere ad accettare le sfide, a non darmi per vinta. E così decisi di vendere cara la pelle!
Mi voltai verso la mia avversaria che sorrideva, cattiva: aveva tutta l’aria di godersela un mondo.
La grossa ragazza mi stava di fronte, leggermente china in avanti, come una tigre pronta a balzare all’attacco.
Anche lei era completamente depilata sotto le ascelle e, da quel che riuscivo a vedere, anche sul pube. La ragazza che era con lei, la cinese, si avvicinò e mi diede un elastico, facendomi capire che dovevo raccogliere i capelli.
La russa aveva già i capelli fermati da una molla; questa attenzione per i peli mi lasciò perplessa.
Poi la donna uscì dal tappeto, prese una pompa, e aperta la manetta, la poggiò per terra. L’acqua, come un serpentello sinuoso, si sparse sul pavimento che era coperto da un specie di sabbia secca. Questa, assetata, accolse l’acqua, trasformandosi subito in argilla scivolosa. La russa mi fece segno di togliermi gli scarponcini, mentre lei faceva altrettanto, con le sue scarpette da ginnastica consunte.
L’attimo di confidenza che mi diede, servì a rendermi ancora più vulnerabile: mentre ero ancora alle prese col secondo calzerotto, l’avversaria, liberatasi fulmineamente dalle scarpe, mi fu addosso e, con uno spintone, mi fece rotolare sull’argilla scivolosa, fino al bordo che dava sul pavimento esterno, spaccandomi le ossa contro le piastrelle.
Le risate generali scaldarono la sala, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno. La russa, si rimise in posizione, senza scarpe e mi faceva segno di rientrare.
Approfittai di essere fuori e, senza più interessarmi del decoro, sfilai anche la gonnellina, che ormai mi impacciava soltanto.
Mi tenni i collant, forse mi avrebbero difesa un po’ nelle scivolate. Avevo appena iniziato ed ero già tutta sporca e impiastricciata.
Tornai in lizza, cercando di capire quando sarebbe partito l’attacco dell’altra, per difendermi alla meglio.
La donna fece un paio di finte allargando le braccia, poi, roteando su sé stessa, riuscì a cogliermi impreparata sul lato sinistro.
Mi prese per il braccio, cercando di tirarmi in avanti per sgambettarmi; con l’altro braccio tentava di agguantarmi le spalle ma io mi difendevo alla meglio.
Purtroppo, era troppo più forte e pesante. Con una finta ed uno strappo, scivolò sulla schiena incuneandosi sotto di me che, perso l’equilibrio, le rotolai sopra schiantandomi, poi, nella melma a faccia in giù.
Per un attimo non vidi più nulla, cercavo solo di sputare fuori dalla bocca quell’impasto, sporco e puzzolente di umori umani.
Quando riaprii gli occhi, le luci mi abbagliarono per un attimo, poi vennero subito oscurate da una massa enorme che mi stava precipitando addosso.
La russa, salita su una barra laterale che nemmeno avevo notato, mi si era lanciata sopra come una valanga irrefrenabile.
“Sono morta!” dissi tra me e me.
Grande fu la mia sorpresa quando mi resi conto che la grossa ragazza, con abilità e attenzione, nel rovinarmi addosso si era ammortizzata sui piedi. Aveva aperto le gambe di quel tanto che
bastava perché il suo corpo toccasse con decisione il mio, ma senza schiacciarmi.
Pensai allora che non volesse uccidermi subito, per rendere più lunga e divertente la mia agonia.
La mia avversaria si rialzò, rimettendosi in posizione di sfida.
Anch’io mi rimisi in piedi rapidamente, ancora sputando ma la russa non mi dava tregua; mi fu di nuovo addosso e, ancora una volta, dopo qualche segnale di resistenza mi ritrovai infangata ma, stavolta, a pancia all’aria.
Di nuovo l’altra mi saltò addosso ma senza finirmi.
Non volevo sperarci troppo ma cominciavo a convincermi che la donna combattesse da vera professionista: forse, pregai dentro di me, non aveva alcuna intenzione di farmi veramente male.
Quella fievole opportunità mi ridiede un filo di speranza di rivedere, viva, la mia casa, un giorno. Mentre ci studiavamo, spostandoci l’una di fronte all’altra, con le gambe divaricate, pensai che, forse, aveva ragione Nunzio.
In realtà quello era solo uno spettacolo in cui la vittima inconsapevole ero io ma…. niente di veramente cruento o drammatico mi poteva accadere.
Con quella speranza nel cuore mi caricai: ormai ero eccitata e coinvolta;
decisi di non lasciare che tutto mi scivolasse addosso, cercai di fare del mio meglio per rendere pan per focaccia alla russa.
Tentai più volte di immobilizzarla, lei si liberava sempre, intanto sudava e puzzava.
Anche io, sotto il deodorante Allure, zampillavo sudore, per fortuna ancora senza tracce di sangue. Ginocchiate calibrate si fermavano nella mia pancia, dandomi la nausea, ma senza ferirmi al punto di svenire; gomitate allucinanti raggiungevano il mio naso e i miei denti ma, nonostante la velocità e la potenza, il colpo si bloccava con maestria, un millimetro prima di fracassarmi i denti.
Dal canto mio, mi guardavo bene dal colpire veramente: fui lesta a capire che non dovevo farle veramente male, altrimenti le cose si potevano volgere al peggio. Dopo dieci minuti di gioco duro, la folla era inferocita ed eccitata, tutti parteggiavano per la russa, tranne qualcuno che mi incitava sorridendo con lo sguardo carico di pietà.
Poi, la russa caricò, a testa bassa, come volesse farla finita e rotolammo di brutto, attorcigliate come due cagne in calore.
Non so come successe, non so se fossi stata veramente io a strapparglielo ma la donna si ritrovò, in mezzo alla pista, senza reggiseno, con i grossi seni dai capezzoli rosei, quasi infantili, esposti, davanti a tutti.
Per un attimo si guardò intorno confusa e cercò di ripararsi, con un braccio, i due seni ballonzolanti.
La folla esplose in un urlo: ancora più gasata.
Tra gli altri, intravidi anche il volto di Nunzio che, tra le guardie di prima, sorseggiava beato un drink e si godeva lo spettacolo… quando si accorse che lo guardavo, cercò di mostrare un atteggiamento più sofferto, ma con scarso risultato. Adesso il suo sporco gioco mi era fin troppo chiaro.
La furia per essere stata messa in mezzo, cercava un obiettivo e con rabbia mi scagliai sulla russa, ancora confusa e mezza nuda, stavolta fui io a cercare di bloccarla, allargando le gambe su di lei, appena cadde, sopraffatta dalla mia mossa. Mi sedetti sulla pancia di lei e, ormai infuriata, le strappai di dosso anche le mutandine, gettandola nella melma.
La troia scalciava, a gambe aperte, e la sua figa spiccava rosea nel grigio dell’argilla.
Le agguantai le gambe dal davanti ma fu una mossa falsa.
Lei approfittò del punto di leva rappresentato dalle mie braccia e, agilissima, si inarcò verso l’alto, cosicché mi ritrovai la sua fregna, praticamente davanti alle labbra … e spingeva, per schiacciarmela sul viso. Intorno, uomini e donne erano al parossismo … avevano capito che la lotta si scaldava sempre più.
Fui costretta a tirarmi indietro, sorpresa e disgustata, lasciai la presa e persi ogni controllo sulla mia avversaria. Eravamo vicinissime.
Ci ritrovammo per terra, sottosopra una rispetto all’altra. La russa, allora, fece una mossa che mi rese ebete: si impadronì delle finte fettucce del mio collant a reggicalze e le slargò, trovando libero accesso alle mie mutande, fulminea le abbassò fin dove poteva permettere l’incastro con le calze ma ritrovarmi nuda, in mezzo a più di cento persone, era proprio inaccettabile per la mia mentalità. Mi sentii come quando si sogna di uscire per strada e di accorgersi, troppo tardi, di essere nudi.
Persi ogni presa tentando di ricompormi, alla ricerca di una irripristinabile decenza: in effetti non avevo più niente per coprirmi. Quella perdita di controllo mi costò cara.
La mia avversaria riprese il comando e dimostrò tutta la sua abilità … era una professionista e anche brava, purtroppo.
Come un grillo, si rimise in piedi e trascinandomi per le calze, le usò come tiranti per girarmi sotto sopra.
Ero a testa in giù nella melma, mezza schienata e agitavo le braccia come una marionetta per cercare di ricomporre l’abbigliamento a brandelli.
Le calze salirono verso l’alto, scendendo, in realtà, lungo le mie gambe e furono adoperate per bloccarmi all’altezza delle ginocchia.
Allora la ragazza, tenendomi come un salame, con un braccio strinse le mie gambe al suo petto mentre con la sua destra, con un gesto del tutto inaspettato, si avvinghiò al ciuffo di peli della mia vagina, oscenamente esposta allo sguardo di quei porci allupati.
Non avevo mai provato quel tipo di dolore, anzi, più che il dolore, era la paura stessa del dolore (cioè di quello che avrei potuto provare) a immobilizzarmi.
Erano tutte mosse a cui non potevo essere abituata, la nudità imposta e repentina, fece il resto… in pochi momenti, la situazione si era ribaltata.
Non era più un gioco di finte, adesso ero in balia della russa che mi sovrastava in forza e abilità.
Ero letteralmente spossata, mentre lei sembrava diventare sempre più appassionata e vigorosa.
Per fortuna le scivolai dalle mani ma solo per scivolare pesantemente col sedere, ora nudo, nella mota.
La gente era in delirio e le scommesse fioccavano, adesso erano tutti accalcati intorno al ring… aspettavano inferociti il finale di quella lotta: temetti il peggio, perché ormai era chiaro che il peggio non era ancora arrivato.
Gli spettatori intonarono una specie di coretto… ma capii che si trattava della ripetizione, ipnotica, di una parola sola.
In cuor mio sperai che non volesse dire: uccidila!
Infatti, non era così, lo capii un attimo dopo, in realtà significava: seno.
Mentre mi preoccupavo di capire, la russa mi scavalcò rispedendomi sul pavimento da cui, faticosamente, mi ero appena rialzata.
Si sedette, nuda, sul mio culo; sentii il fastidioso contatto della sua zona pelvica, indecentemente calda. La russa mi tirò su per i capelli, costringendomi a inarcare il busto, allora infilò le mani sotto il mio reggipetto nero e, esagerando i gesti per eccitare quel gruppo di scalmanati, mi impastò i seni con le mani. Non sentii veramente dolore ma maltrattò le mie povere “bocce” senza alcun rispetto, rimescolando con le grosse mani le mie tette e tirandomi per i capezzoli, spessi e carnosi.
Un vuoto allo stomaco si impadronì di me, mentre una calda corrente di piacere, del tutto irrazionale, mi invitava a cederle.
Non sapevo cosa mi avesse preso, adesso. Mi resi conto che, dentro di me, tutto ribolliva, cambiando completamente la mia ottica riguardo quella incresciosa vicenda.
Quando la mia avversaria iniziò a strapparmi il reggipetto e lasciò trasbordare i miei seni perfetti e nudi; quando vidi quelle facce
eccitate e volgari che mi guardavano piene di libidine, invece di provare fastidio, mi riempii di orgoglio.
E godetti del fatto che la donna, in quel momento, fosse la mia padrona e che mi mostrasse a tutti, con studiata lentezza, come se i miei seni fossero “roba sua”.
Mi cinse con il grosso braccio sotto le poppe, in modo che entrambe fossero proiettate prepotentemente in avanti, rigonfiandosi più che mai.
Uomini e donne erano eccitati e allegri, allo stesso tempo, e una specie di grido trionfale accolse l’esposizione forzata del mio corpo nudo.
Ormai non ero più padrona di me, la russa mi teneva per i capelli e mi aveva vinta. Era ovvio!
Ciò che mi poneva completamente in sua balia, non era la forza né il dolore, era il piacere che stavo provando nel sentirmi stretta a lei. Mi vergognai di quella nuova e sconosciuta sensazione. La mia padrona mi aveva domata.
Incurante del fatto che fossi più bella, che i miei seni fossero più torniti e femminili, si vedeva che lei non provava alcuna gelosia femminile nei miei confronti, anzi, godeva a mostrare il “suo” personale trofeo e il potere che ora poteva esercitare sul mio corpo.
A quel punto eravamo intimissime: la sua vagina era calda e presente mentre sedeva, a cosce aperte, sul mio culo.
Isuoi seni, tronfi e sodi, mi pressavano la schiena ogni volta che lei mi sollevava per mettere, ancora una volta “in vetrina” i miei.
Mi dava in pasto a quella folla eccitata, che non faceva nulla per nascondere la propria esaltazione sessuale.
La donna, esperta dominatrice, aveva capito: ogni mio orgoglio aveva capitolato.
Un attimo dopo, mi si distese completamente addosso e rimase immobile, come un predatore blocca la sua vittima, per riprendere fiato ma senza perderne il controllo.
Approfittai di quel breve tempo morto per cercare di ritrovare un barlume di coerenza: la cittadina italiana, laureata, manager e, diciamolo, abbastanza borghese, rifece capolino nella mia mente… mi guardai intorno.
Mentre valutavo la situazione, intravidi il viso gaudente di Nunzio e incrociai il suo sguardo, eccitato come quello di tutti gli altri.
Lui sapeva, sapeva tutto fin dall’inizio… lo odiai con tutte le mie forze.
Purtroppo il ritorno alla civiltà durò solo un attimo. La mia riservatezza signorile mi crollò addosso nuovamente, in un impasto di sangue e saliva: me lo offriva la russa che, torcendomi il collo all’indietro, mi diede il più violento, carnoso, sensuale, intimo e sporco bacio che avessi ricevuto in vita mia.
Nemmeno un camionista ubriaco mi avrebbe saputa baciare così.
Lei era sopra e grondava saliva e sudore salato, la sua lingua era spessa, calda, viscida come una lumaca piena di umori privati.
Avrei voluto resistere ma non ci riuscii: davanti a tutti, senza potermi mai più giustificare, mi lasciai baciare con trasporto succhiandole a mia volta la lingua e le labbra, in un abbraccio lesbico e sensuale mai provato prima.
Era il primo bacio segreto, proibito, orribile, ricevuto da una donna… e lo avevo condiviso con “appena”… poche centinaia di persone.
Persi la testa per alcuni, interminabili minuti, mentre la russa mi succhiava l’anima attraverso la bocca, le sue mani si perdevano sul mio corpo, carezzandomi con forza decisa le tette e l’inguine.
Come una vampira del sesso mi stava rubando la personalità, accuratamente costruita con anni di sacrifici, trasformandomi in una sgualdrina da trivio, pronta a leccarle il culo: a lei, così grossolana e, sicuramente, ignorante!
Eravamo li, in quella plastica posizione: lei a cavalcioni sulla schiena che mi palpava ed io, da sotto, inarcata, puntellata sulle mani che le offrivo la bocca, girandomi indietro.
Mi ero sollevata con tutte le forze, per il semplice piacere di permetterle di tastare le mie intimità, a suo piacimento.
Sembrava impossibile ma ero sottomessa e incapace di ribellarmi.
Quando ci staccammo, mi resi conto del dramma in cui mi ero cacciata: molti di quelli che ci osservavano arrapati e gaudenti, riprendevano con i telefonini ogni momento della mia capitolazione lesbica. Ma dato che, quella notte maledetta, io non ero più io… dopo averci pensato su per un attimo, ne godetti.
Non c’è che dire: l’eccitazione gioca davvero brutti scherzi alla psiche, ma non era tempo di fare filosofia.
La mia “battaglia” non era affatto finita. Ancora non sapevo che, colei che perde il combattimento doveva essere punita.
Mentre ci rimettevamo in piedi, la ragazza che parlava italiano ci raggiunse, tutta raggiante e sorridente, e ci prese entrambe per mano.
Poi si rivolse al pubblico e iniziò un discorsetto in lingua slava, che gli astanti sembrarono gradire molto, visti i fischi e le urla eccitate che lanciavano.
A me quasi veniva da ridere: accettavo con tranquillità di starmene nuda, tra tutta quella gente sconosciuta che apprezzava il mio corpo, ormai completamente esposto, senza nessuna vergogna come fosse un atteggiamento del tutto naturale.
Avevo perso ogni ritegno e mi sentivo come se non avessi mai fatto altro in vita mia.
Intimamente divertita, ebbi un flashback di tutte le facce di colleghi e di clienti che mi avevano spiata, cercando di non dare nell’occhio, pur di indovinarmi le gambe, il culo o i seni da sotto gli abiti castigati e sobri; quelli che normalmente indossavo durante il lavoro. Poveretti… avrebbero dovuto vedermi adesso. Sorrisi a me stessa.
Mentre la ragazza parlava al pubblico, mi sentivo sempre più calata nel personaggio della lottatrice professionista e… perdente.
Ero convinta di aver perso con onore … e che la fine di quel gioco fosse vicina.Ascoltai tranquilla la chiacchierata e mi preparai a lasciarmi alle spalle quella stranissima avventura.
i****to senza fine
Nel 1970 mi laureai in ingegneria elettronica e subito dopo ricevetti una proposta di lavoro negli USA che accettai.
Dopo una permanenza di 4 anni negli stati Uniti ove svolgevo una attività come rappresentante per una nota azienda italiana, decisi di mettermi in proprio e nel 1974 feci ritorno in Italia.
A quel tempo avevo 28 anni ero un bel giovanotto aitante, biondo con occhi azzurri, la fortuna di possedere gli attributi fisici e una grande intraprendenza mi diedero modo di avere innumerevoli avventure con donne di varie nazionalità.
Aprii un ufficio di export e sfruttando le innumerevoli conoscenze e clienti acquisiti negli USA, in breve tempo gli affari prosperarono e ottenni un ottimo successo.
Nel 1976 la mia segretaria dovette assentarsi dal lavoro per maternità e quindi dovetti cercarne un’altra.
Feci un annuncio e si presentarono alcune donne di varia età, tra queste una era una ragazza stupenda di 19 anni, aveva un seno irresistibilmente attraente, un vitino stretto e un sedere da sogno. Abbagliato dal suo splendore la assunsi immediatamente e il giorno successivo si presentò in ufficio.
Era il mese di Settembre e dato che faceva ancora caldo vestiva una camicetta bianca scollata che metteva in mostra il suo meraviglioso seno che cominciò a diventare la mia ossessione.
Trascorsi alcuni giorni mi diede prova delle sue capacità, aveva un piacevole comportamento dolce e aggraziato che, giorno per giorno, mi stava coinvolgendo sempre più.
Ogni volta che entrava nel mio ufficio era per me una dolce visione quando si girava per andarsene ammiravo il suo bel sederino che sculettava leggermente con molta grazia. Nonostante la forte attrazione cercavo di mantenere un rapporto molto professionale e forzatamente staccato.
Trascorsi due mesi al ritorno da un viaggio di lavoro negli USA quando entrai in ufficio mi salutò con un raggiante sorriso dandomi il ben tornato.
Durante la giornata notai che era diversa, mi guardava con occhi penetranti che volevano trasmettermi qualche cosa, continuamente entrava nel mio ufficio anche per cose banali che avrebbe potuto risolvere senza il mio ausilio, questo atteggiamento mi fece capire che aveva un certo interesse per me.
Alle 18: 30 le altre due impiegate se ne andarono, trascorsi cinque minuti mi avviai verso l’uscita e la vidi che stava alzandosi dalla sua scrivania, si avvicinò all’appendiabiti per prendere la sua giacca, la precedetti e stando alle sue spalle l’aiutai ad indossarla, si girò e… senza proferire parola come per incanto ci trovammo abbracciati. Ci baciammo lungamente e ripetutamente con travolgente passione e percepivo il contatto sul mio torace di quel seno che mi faceva impazzire. Mentre la tenevo stretta a me la forte emozione che provava la scuoteva con un forte tremito che confermava il suo sentimento.
Quando staccammo le nostre bocche le dissi che era stato tutto così naturale così voluto da entrambi che aveva del meraviglioso. Volli trattenerla, ma affermò che doveva andare a casa perché suo zio che non vedeva da tempo era ospite da loro e l’aspettavano per cena. Ci baciammo nuovamente e se ne andò dicendomi:
“A domani.”
La sera del giorno successivo finalmente arrivò e quando rimanemmo soli ci sedemmo sul divano nel mio ufficio, ci baciammo e cominciai ad intrufolare la mia mano nella scollatura della camicetta, come potei toccare il suo seno mi resi conto che era sodo, pieno e così invitante che le sbottonai la camicetta e posai le mie labbra iniziando a baciarlo. La feci stendere e le mie mani scrutarono il suo corpo armonioso fino a toccarle la fighetta che era già umida.
Insinuai un dito solleticandole il clitoride e lo spinsi dentro in profondità, con stupore percepii il suo imene che sbarrava la strada quindi mi resi conto che era vergine.
Questa scoperta mi lusingò e nello stesso tempo rappresentava un ostacolo al mio desiderio di possederla subito.
Rimanemmo una mezzora e mi limitai a praticare solo masturbazioni e baci fino a che ci lasciammo.
Non mi dilungo ulteriormente nel preambolo per arrivare al nesso del racconto. Trascorsi pochi giorni la feci mia e iniziammo un rapporto di fuoco che ci coinvolse sentimentalmente e dopo sette mesi mi comunicò che era in stato interessante.
Acquistai una villetta in Brianza e nel settembre del 1977 quando era già gravida di cinque mesi celebrammo le nostre nozze, nel Gennaio del 1978 nacque nostra figlia Diana.
Gli anni trascorsero felici e sereni, la mia bellissima mogliettina era sempre dolcissima e premurosa, il nostro rapporto si era sempre più rafforzato con un accordo armonioso e una intensissima vita sessuale che ci appagava entrambi.
Diana aveva ormai 12 anni, era una bella bambina che iniziava a formarsi fisicamente, un bel viso intelligente, occhi verdi grandi e leggermente staccati tra loro, lunghi capelli ricci castani sul ramato che le riempivano la testa facendola assomigliare ad un leone.
Da tempo aveva un certo cattivo rapporto con l’acqua, non si lavava ne pettinava al punto che i capelli divennero stopposi tipo capretta. La madre era disperata e un giorno si accorse che quando entrava in bagno faceva scorrere l’acqua ma non si lavava.
Una sera mentre ero seduto nel soggiorno successe una cosa che non si era mai verificata in precedenza, sentii mia moglie gridare come una disperata e Diana che a sua volta lanciava urla di pianto dirotto.
Mi alzai e corsi in bagno dove vidi mia moglie che prepotentemente aveva sbattuto Diana nella vasca facendole prendere anche una testata e si mise a lavarla, mentre la ragazza in piedi strillava. Da quando era piccolissima non avevo più visto mia figlia nuda e notai che aveva gia qualche pelo attorno alla sua fighetta carnosa, anche due acerbe tettine stavano prendendo forma.
Cercai di calmare mia moglie che come una esagitata dopo averle fatto lo shampoo le passava con forza un pettine a denti larghi tra i capelli provocando le sue grida di dolore.
Provai una pena incredibile, presi per un braccio mia moglie e la allontanai dicendole che ci avrei pensato io. Mentre si allontanava continuava a inveire dicendole che era una sporcacciona e puzzolente.
La mia bella bambina piangeva a dirotto, con dolcezza le dissi di lavarsi e finalmente lo fece, l’aiutai lavandole la schiena e quando uscì dalla vasca le posi l’asciugamano strofinandoglielo sul corpo per asciugarla. Dopo essersi asciugata i capelli la convinsi anche di pettinarli per bene. Mentre facevo questo realizzai che mia figlia stava crescendo, il suo corpo stava trasformandosi in una donnina.
Me ne andai in cucina e mia moglie si scusò per la scenata, le dissi che Diana si era convinta e stava anche pettinandosi. Rispose che con me la ragazzina era molto più ubbidiente e aveva anche notato un grande affetto che dimostrava nei miei confronti, molto superiore a quello che nutriva per lei.
Le feci presente che solitamente le femmine sono molto più affettuose con il padre, questa è una strana consuetudine, poi aggiunsi che non potendo avere altri figli lei era la mia dolce bambolina.
Ero seduto sul divano in attesa che fosse pronta la cena e Diana arrivò nel salotto, si sedette sulle mie gambe e mi abbracciò teneramente, arrivò mia moglie e disse: “ Eccoli li i due innamorati!”
Mia figlia con aria severa rispose.” Questo è il mio bel papà! Non è solo tuo è anche mio!” E cominciò a coprirmi di bacini affettuosi stringendomi forte.
“ Si lo so che il tuo papà te le concede tutte e ti vizia, ma tu vedi di avere maggior cura di te lavandoti e pettinandoti come si conviene.”
Dopo aver cenato trascorremmo un poco di tempo nel salotto e verso le dieci salimmo in camera tutti e tre, Diana andò nella sua e poco dopo entrò in camicia da notte nella nostra camera chiedendoci se poteva restare un poco a vedere la televisione. Le dissi di si e si sdraiò in mezzo a noi, trascorsa una mezzora si addormentò, la presi in braccio e la portai nel suo letto.
Fu così che ogni sera mia figlia desiderava stare un poco nel nostro letto e spesso si stringeva a me.
La settimana successiva quando rincasai Diana mi corse incontro dicendomi che le era successa una cosa, le chiesi cosa e mi sussurrò all’orecchio che dopo un poco di mal di pancia perdeva sangue dalla sua farfallina. Disse che si era messa un pannolino della mamma ma il sangue continuava ad uscire. Le chiesi se aveva avvisato la mamma, mi rispose negativamente. Le dissi di non preoccuparsi che era tutto normale, la presi per mano e andammo in cucina e dissi a mia moglie: “ Diana è diventata signorina.” Rivolgendosi alla figlia disse: “ Ma come! Perché non lo hai detto a me! Quando è successo?”
“ Oggi tre ore fa, mi sono messa un tuo pannolino.”
“ Sei proprio una sciocchina, anzi che aspettare tuo padre potevi benissimo dirlo a me! Non ti pare?”
Quando Diana ci lasciò soli, con tono un poco seccato, mia moglie disse che era incredibile l’attaccamento che nostra figlia aveva per me, era quasi morboso. Avrebbe dovuto dirlo a lei e non aspettare che rincasassi io per comunicarmelo.
“ Non prendertela, credo che sia dovuto al fatto che ultimamente la tratti con eccessiva durezza. Capisco che cerchi di correggere alcune sue mancanze ma ti consiglierei di essere più dolce.”
“ E’ vero forse hai ragione, ma in ogni caso mi rendo conto che stravede per te,
sei il suo idolo, il suo punto di riferimento e ogni giorno sempre di più la vedo morbosamente attaccata a te come se fosse la tua ombra.”
“ Non esagerare! E’ solo molto affezionata a me e credo che crescendo cambierà moltissimo. Non sarai per caso gelosa del suo affetto!”
“ Non lo sono affatto, però se ne dimostrasse un poco di più anche a me ne sarei felice.”
Diana era in camera sua a fare i compiti, andai da lei e le parlai facendole presente che sarebbe stato più giusto comunicare alla mamma quanto le era successo consigliandola anche ad essere più affettuosa anche con lei.
Trascorsero quasi due anni e mancava un mese al compimento del quattordicesimo anno di mia figlia. Nel frattempo il suo corpo si trasformò da imberbe bambina a giovane e rigogliosa donnina, il seno ormai ben modellato aveva raggiunto almeno una terza misura, due belle gambe affusolate, un sederino alto, vitino stretto e un viso più maturo nel quale splendevano i suoi grandissimi occhi verdi.
Diana aveva una intelligenza notevole e possedeva un capacità di apprendimento straordinaria, nello studio e qualunque cosa vedesse fare era in grado di farla nel modo migliore, anche le cose più strane e banali quali riparare uno sportello della cucina che si era allentato, oppure trasformarsi in idraulico e sturare il lavandino aprendo il sifone con la pinza a pappagallo. Era veramente straordinaria in quella testolina riusciva ad immagazzinare diecine di numeri telefonici, le date delle ricorrenze di ogni famigliare, era un computer umano.
Da alcuni mesi aveva iniziato a ingaggiare con me furibonde lotte durante le quali erano inevitabili continui contatti anche nelle parti intime.
Mi resi conto che il più delle volte mia figlia maliziosamente faceva in modo di mostrasi a me agevolando anche le mie palpatine al seno e altre parti del corpo, non disdegnando di fare altrettanto con me. Si sdraiava sul divano di fronte a me con le gambe posizionate in modo che vedessi le sue cosce fino alle mutandine.
Capii che il suo atteggiamento nei miei confronti non era solo di affetto ma sconfinava in qualche cosa di diverso, e a mia volta in determinate circostanze provavo un certo senso di eccitamento che a fatica riuscivo a reprimere.
Durante una lotta era sdraiata sul divano le tenevo le gambe e lei cercava di divincolarsi alzandole, con forza strinsi le caviglie le spinsi verso le sue spalle e si trovava così a gambe spalancate con le ginocchia rivoltate verso di lei la gonna totalmente alzata e la parte delle mutandine che copriva la sua passerina era spostata al lato ed ebbi modo di vedere chiaramente la sua fighettina attorniata da una leggera peluria. La visione mi provocò un immediato eccitamento e quindi le dissi che era ora di smetterla e me ne andai notando il suo disappunto.
Rimasi per un poco pensieroso e preoccupato di queste mie strane sensazioni che inevitabilmente il più delle volte mi eccitavano al punto di raggiungere l’erezione.
Ogni sera veniva nel nostro letto a guardare la televisione e si sistemava sotto le lenzuola tra me e sua madre.
Una sera entrò in camera indossando una camicia da notte così trasparente che potei ammirare il suo seno stupendo a forma di pera che svettava verso l’alto.
La visione di quella magnificenza mi provocò una improvvisa erezione che mi costrinse a girarmi a pancia in giù per mascherarla. Immediatamente mi balzò alla mente il seno straordinario della sorella di mia madre che ebbi modo di vedere in gioventù, era uguale a quello di mia figlia.
Da poco tempo aveva anche iniziato a cercare il contatto con le sue gambe che accostava alle mie. Altre volte si sdraiava su un fianco e appoggiava i piedini su di me dicendomi di scaldarglieli, sovente li prendevo tra le mani e li massaggiavo dolcemente notando la sua espressione di piacere.
Queste continue effusioni furono notate da mia moglie che una sera mentre le massaggiavo i piedini disse:” Se entrasse un estraneo penserebbe che siete due innamorati. Le vostre effusioni d’affetto sono così dolci che a volte mi ingelosite.”
“ Mamma io voglio bene anche a te ma il mio papà è straordinario, quando sono vicina a lui mi sento bene e protetta da tutto e da tutti.”
Intervenni a mia volta:” Diana è la mia gioia, la mia dolcissima bambolina e cerco di gustare il suo amore fino a che qualche uomo me la porterà via per sempre.
Ho il timore che se continuerà a crescere in questo modo meraviglioso che la rende sempre più bella questo potrà accadere molto presto.”
“ Non vedi che è ancora una bambina! Si è molto bella ma non penso sia così sciocca di coinvolgersi precocemente con qualche ragazzo.”
“ Mamma hai detto bene, nonostante che molti ragazzi mi corteggiano non provo nessun interesse per loro, sono tutti dei bambocci con la testa vuota.”
Trascorse quasi un anno e la situazione era sempre più insostenibile, ero ormai diventato la sua vittima, stava attuato una sottile seduzione che creava enormi difficoltà con me stesso procurandomi problemi comportamentali che strenuamente combattevo.
Un sabato mattina del Settembre 1982 mia moglie era partita per andare a Verona a trovare lo zio che stava male e sarebbe tornata alla domenica nel tardo pomeriggio.
Mentre ero seduto sul divano a leggere il giornale del giorno prima, mia figlia apparve indossava una calzamaglia bianca leggera e attillatissima che dalle spalle arrivava alle caviglie, sotto era nuda, la visone era veramente come se fosse nuda. Inserì una cassetta nello stereo e si misi a danzare aerobica.
Con movimenti sinuosi e conturbanti si muoveva come una gattina, quando poi iniziò a muovere il bacino mimando l’atto sessuale sentii dentro di me un strano desiderio e raggiunsi l’erezione.
La guardavo con occhi desiderosi, ammiravo quel corpo perfetto, intravedevo lo scuro dei peli del pube che si disegnavano sotto l’indumento quasi trasparente, il seno sodo che svettava imperioso e i capezzoli turgidi. Ero in una situazione drammatica, il mio cazzo scoppiava da sotto il pigiama, la visione paradisiaca di mia figlia che danzava in un modo estremamente seducente. La testa mi ronzava ed io cercavo di reagire ma non ne ero capace, la sua bellezza mi stordiva facendomi sentire come ubriaco.
La cassetta giunse alla fine e si fermò, mia figlia tanto per completare l’opera si sedette sulle mie gambe chiedendomi se mi era piaciuto. Si alzò e appoggiando le ginocchia sul divano a cosce divaricate si sedette nuovamente sopra di me, il pube si trovava ora proprio a contatto del mio cazzo duro come un sasso che spingeva sotto il pigiama. Sicuramente se ne accorse e maliziosamente si spinse contro abbracciandomi e appoggiando il suo seno contro di me mentre disse: “ Ciao paparino bellissimo, ti voglio tanto bene!”
Risposi:” Tesoro mio anch’io ti voglio bene ma devi capire che ormai non sei più una bambinella, ormai sei una stupenda donnina e anche se sei mi figlia certi tuoi atteggiamenti possono anche eccitarmi, quindi abbi pietà di me.”
Si alzò con aria imbronciata e disse:” Ho sentito che sei eccitato e starti vicino pensavo ti facesse piacere ma se non lo gradisci scusami!”
“ Tesoro mio direi che tra padre e figlia non sia tanto normale un contatto di questo tipo.”
“ Ma allora dimmi perché ti sei eccitato, io volevo solo calmarti.”
“ Anziché calmarmi non hai fatto altro che aumentarlo.”
“Allora vuol dire che anche se sono tua figlia mi trovi eccitante!”
“ Si lo sei tremendamente e credimi mi costringi a fare enormi sforzi di volontà.”
“ Se ti dicessi che anche tu sei attraente e che spesso nei nostri giochi mi sono eccitata cosa rispondi!”
“ Sono lusingato di questo, ma dimmi cosa frulla nella tua testolina, stai forse pensando di avere certi rapporti con tua padre?”
Si sedette nuovamente sulle mie gambe e con voce tenue disse: “ Si da tempo lo desidero moltissimo e credo che tu te ne sia accorto, non mi interessa che tu sei mio padre, ti trovo affascinante, bellissimo e… non posso più nasconderti che… mi è difficoltoso dirtelo ma sono innamorata di te. Da quella volta nel bagno che mi hai salvata dalle mani della mamma ho iniziato ad amarti, il mio amore è aumentato sempre più e ora sono pazza di te, non riesco più a controllarlo, ti adoro e…ti confesso che ti desidero. Voglio anche confessarti che spesse volte ti ho spiato mentre facevi all’amore con la mamma, avete sempre la luce accesa e la porta socchiusa, ho assistito alle vostre effusioni e credimi avrei voluto essere io al posto della mamma. Ecco ora to ho detto tutto!”
“Mi hai sconvolto totalmente e se continui così credo che non riuscirò a controllarmi, ti prego vedi di ragionare!”
“ Proprio perché ragiono aggiungo anche che moltissime volte ho capito che anche tu mi guardavi con occhi diversi, ti ho visto spesso nello stato in cui ti trovi ora con quel gonfiore sotto che è il segno del tuo eccitamento.”
Non ebbi parole per risponderle, aveva colto nel segno mettendomi in difficoltà.
Si scostò al mio fianco avvicinò la sua guancia alla mia dandomi leggeri bacini e piano avvicinò la sua bocca alla mia e spinse dentro la sua lingua, fui perso nell’oblio e risposi a quel bacio proibito con ardente passione. Sentii la sua mano sopra il mio cazzo che cercava di tirarmelo fuori dal pigiama, ebbi un attimo di smarrimento totale la mia testa era vuota, non connettevo più e rimasi immobile senza forze. La sua mano impugnava il mio cazzo durissimo e mentre ero riverso a testa indietro percepii la sua bocca che prese in bocca il glande e cominciò a succhiarmelo affondandolo sempre più nella sua bocca. Ebbi un sobbalzo e le dissi cosa stesse facendo, lo tolse dalla bocca e disse che lo aveva visto fare dalla mamma e sapeva che a me piaceva moltissimo e continuò.
Le forze mi abbandonarono totalmente ero come paralizzato, sentivo la sua bocca morbida e calda che succhiava il mio cazzo, brividi di piacere cominciarono a scuotermi ma non feci nulla, rimasi immobile e poco dopo ero ormai prossimo a venire, cercai di trattenermi ma mia figlia continuava a succhiare con impeto ed in fine venni nella sua bocca, non si scostò e mi resi conto che incredibilmente stava inghiottendo il mio sperma senza lasciarne cadere una sola goccia.
Alzò la testa posandola sul mio petto e mi chiese se mi era piaciuto, aggiungendo che aveva fatto tutto esattamente come sua madre.
Non ero capace di risponderle, la mia voce non riusciva ad uscire dalla bocca, in fine mi sforzai e dissi:” Dimmi ora cosa facciamo, ti rendi conto in quale situazione ci troviamo!”
“Papà non hai risposto alla mia domanda.”
“ Penso che la risposta sia inutile, lo hai constato da te stessa che ho provato piacere.”
“ E’ vero me ne sono accorta ed è piaciuto anche a me, mentre bevevo il tuo seme provavo un immenso piacere, il piacere di avere dentro di me qualche cosa di tuo.”
“ Diana amore mio tu forse non ti rendi conto quale tremendo conflitto sto combattendo con me stesso, una parte di me che vuole dare fine a tutto questo ed un’altra che prepotentemente cerca di avere il sopravvento spingendomi ad accarezzare il tuo corpo baciarlo, amarlo con passione.”
“ Non struggerti, lasciati andare, io sono totalmente tua e desidero ardentemente averti e provare realmente tutto ciò che ti ho visto fare tante volte! Non puoi essere così crudele di negarmelo!”
In quel momento persi il totale controllo di me stesso, s**ttai come una molla in piedi, la presi in braccio, salii le scale la misi sul letto e le sfilai prepotentemente la calzamaglia, mi avventai su di lei come un pazzo baciandola, leccandola e toccandola in ogni parte del corpo, mi soffermai sul seno e scesi fino alla fighetta che leccai avidamente fino a sentirla gemere mentre raggiunse l’orgasmo, leccai il suo dolce e profumato umore che mi inebriò e continuai fino a che ebbe il secondo orgasmo.
Mi fermai un attimo ad ammirare quel giovane meraviglioso corpo, mi misi sopra di lei e ci baciammo a lungo e intensamente, ormai eravamo entrambi s**tenati e non più capaci di fermarci ne di ragionare. Quando staccai le mie labbra dalle sue mi disse di sdraiarmi che aveva visto una posa che spesso io e sua madre facevamo e voleva a sua volta provare. Cominciammo così un meraviglioso sessantanove che si protrasse fino al mio orgasmo preceduto da almeno tre suoi sempre più intensi, quando venni inghiotti nuovamente il mio sperma badando bene che non ne rimanesse traccia.
Rimasi supino e mi lascia andare rilassandomi un poco, mia figlia si mise al fondo dei miei piedi e ricominciò a succhiarmelo in modo che riprese vita e si irrigidì,
stavo godendo piacevolmente ad occhi chiusi e non mi accorsi che Diana ebbe una breve interruzione e subito sentii premere il mio glande che fu immediatamente avvolto strettamente, aprii gli occhi e vidi mia figlia che stava impalandosi con il mio cazzo, non feci in tempo a parlare che si lasciò cadere di peso sopra di lui e fece un grido di dolore. Ormai si era sverginata e il mio cazzo era oltre metà nella sua fighetta calda che me lo stringeva in modo impressionante.
Ormai era fatta non cera più alcun rimedio, mia figlia si era sverginata da sola con il mio cazzo senza darmene preavviso.
Rimase un poco immobile ancora dolorante per la violenta penetrazione, allungai le mie braccia in cerca delle sue mani e vidi qualche lacrima scendere sul suo viso. Ero emozionato e nello stesso tempo terrorizzato dell’accaduto, Diana pose rimedio e cominciò a muoversi lentamente su e giù facendo scivolare il mio cazzo interamente nella sua vagina che cominciava a provocarle piacere, continuò aumentando il ritmo fino a che divenne rapido e con colpi più forti, sentivo il mio cazzo che arrivava a toccare il suo utero finche raggiunse l’orgasmo e a mia volta stavo per venire quindi ero molto attento perché dovevo toglierlo prima di eiaculare, le dissi di togliersi ma non mi dette retta cercai di districarmi ma non ci riuscii, mia figlia voleva assolutamente sentire il mio sperma dentro di lei mentre cercavo disperatamente di farlo uscire si avvinghiò ai miei fianchi seguendo i miei spostamenti e così fu, ebbi una eiaculazione incredibile dentro la sua fighetta che le fece raggiungere un orgasmo spasmodico. Si distese sopra di me e senza farlo uscire mi baciò.
Le chiesi se era impazzita, le dissi se si rendeva conto che se fosse rimasta in cinta di suo padre sarebbe successa una tragedia.
Sorrise e disse che non c’era nessun pericolo, la medicina che prendeva da due mesi era un anticoncezionale che le aveva prescritto il ginecologo per una sua leggera disfunzione ormonale dovuta all’età.
Tirai un sospiro di sollievo e poi dissi ancora che era una pazza, si era deflorata usandomi e senza nessun mio permesso.
“ Se ti avessi chiesto di farlo sono certa che non lo avresti fatto, quindi così non ci sarà più questo impedimento, finalmente ora sono tua, solo tua.”
“ Devo riconoscere che hai un bel coraggio, sei determinata bambina mia, quando vuoi una cosa devi averla a tutti i costi! Non è cosi?”
“ Si è vero tu no sai da quanto tempo desideravo questo momento, io ti amo ti desidero e ora finalmente sei anche un poco mio.”
“ Amore mio bello anch’io ti desideravo da tempo ma trovo che tutto questo sia sbagliato, renditi conto che sono tuo padre, che ho ben 32 anni più di te, solo un incosciente come me poteva cedere alla tue continue lusinghe. Ma ora alzati voglio vedere il danno che il mio pene ti ha provocato.”
Si alzò e fece uscire il mio cazzo dalla sua fighettina strettissima, avvicinai la testa per guardargliela e notai del sangue sul mio cazzo e anche sulla sua fighetta.
In quel momento fui preso da un improvviso raptus sconvolgente e senza nessun disgusto abbassai la mia bocca e cominciai leccargliela, percepivo il sapore del suo sangue misto ai suoi umori e al mio sperma che fuoriusciva, quando fu completamente ripulita mi sedetti sul letto e Diana a sua volta fece la stessa cosa con il mio cazzo ripulendolo per bene. Ci baciammo e le sussurrai che l’amavo che era la mia perdizione, felice mi strinse forte a se.
Era quasi mezzogiorno le dissi di vestirsi che saremmo andati a mangiare in un ristorante poco distante da noi.
Ci alzammo e andammo in bagno si sedette sul bidet ed io mi misi accucciato al suo fianco e inizia a lavarle la fighettina che sentivo calda e morbida, le mie mani la percorsero dolcemente accarezzandola. Quando venne il mio turno fu lei a lavarmelo e lo fece così bene che subito si irrigidì. :” Vedi amore quanto puoi eccitarmi, basta pochissimo!”
“ Se vuoi saperlo anche tu mi hai fatto eccitare mentre mi lavavi!”
Ci vestimmo e andammo al ristorante, pranzammo benissimo e verso le 14 eravamo nuovamente a casa.
Mi sedetti sul divano e lei si mise seduta sulle mie gambe cominciando a coprirmi di bacini dicendomi che mi amava.
Pensando a ciò che successe poco prima e notando le sue capacità amatorie inizia a farle alcune domande:” Tesoro ma dove hai appreso a fare così bene e naturalmente certe cose? Hai forse avuto qualche esperienza con altri ragazzi?.
“ No papà ti assicuro che non ho mai avuto nessuna esperienza di nessun genere con nessuno, solo due volte un bacio sulla bocca. Ho appreso tutto spiando te e mamma moltissime volte, l’unica cosa che ho fatto spesso vedendovi è stata quella di masturbarmi per l’eccitazione, e niente più. Anzi devo dirti che manca ancora qualche cosa che vi ho visto fare e desidero provarla anch’io.”
Immediatamente capii che mia figlia in effetti è un mostro nell’apprendere le cose e quindi tutto le riuscì facilmente e con assoluta naturalezza.
Le misi la mano sotto la camicetta e cominciai a toccare il suo meraviglioso seno, immediatamente i capezzoli si inturgidirono, la sbottonai completamente e presi a succhiarlo e data la sua straordinaria forma mi permetteva di prenderne piacevolmente una buona metà nella bocca mordicchiandole lievemente i capezzoli. Allungai la mano tra le su cosce e sentii la sua fighettina che stava bagnandosi, non attesi oltre la presi in braccio e salii in camera.
Sentivo dentro di me una forza sovrumana, nonostante avessi avuto tre orgasmi nel mattino il mio cazzo era duro e imperioso pronto a nuove battaglie.
Deposi la mia meravigliosa e splendida donnina sul letto, la spoglia lentamente assaporando il piacere di scoprire poco a poco il suo corpo, ormai ero pazzo di lei, ne ero attratto morbosamente, la guardavo e adoravo il suo giovane e fresco corpo, ne assaporavo il profumo che emanava, non resistetti oltre e cominciai a baciarla, presi in mano un suo piedino e lo introdussi interamente nella mia bocca succhiandolo, scesi sui polpacci e soffermandomi all’interno delle cosce molto vicino alla sua meravigliosa fighettina. La sentii fremere e proseguii leccandogliela attorno feci i scorrere la lingua sulle grandi labbra, percepii il suo profumo e mi eccitai maggiormente, introdussi la lingua all’interno e la fighettina si dischiuse come un fiore ed incominciò ad emettere il suo nettare prezioso che assaporavo con incredibile voluttà. Mentre iniziai a solleticarle il clitoride gia turgido la sentii gemere e tremare, mi sussurrava frasi d’amore tenerissime ed io continuai schiudendo le labbra attorno ad esso e succhiandolo con progressivo vigore fino al raggiungimento del suo orgasmo. Ora volevo penetrare quella strettissima fessura guardando con i miei occhi vogliosi il mio cazzo che scompariva dentro di lei, le alzai le gambe e le posi sulle mie spalle, posai il glande sopra la sua vagina bagnata e spinsi lievemente, desideravo penetrarla con dolcezza e godere lentamente il piacevole spettacolo. Il glande entrò e prosegui la corsa in quello stretto meraviglioso cunicolo che opponeva una certa resistenza avviluppandosi attorno al mio cazzo che percepiva il suo calore, continuai lentamente mentre mia figlia disse che essere penetrata stava provocandole una sensazione meravigliosa, quando in fine fu tutto dentro fece un sospiro di soddisfazione e cominciò a muovere lentamente il bacino. La sua fighettina aderiva totalmente attorno al mia cazzo e i suoi movimenti riuscivano ad accarezzare le mie parti più sensibili e sicuramente anche le sue, era meraviglioso mai avevo provato una sensazione così intensa, così piacevole. Raggiunse l’orgasmo e quasi simultaneamente ne raggiunse un altro e un altro ancora, si mise ad ansimare gridare ti amo, ti amo sei il mio amore e a quelle grida venni dentro di lei urlandole a mia volta che l’amavo più della mia vita, non mi fermai come un ciclone inarrestabile continuai e sempre con il mio cazzo che trovandosi in quel paradiso non si afflosciava proseguii a scorrere la sua meravigliosa fighetta facendolo quasi uscire e nuovamente affondarlo in profondità. Entrambi eravamo coinvolti in un vortice delirante di piacere interminabile, talmente intenso che ci sentivamo fuori dal mondo, in una dimensione ovattata che sollevava i nostri corpi librandoli nell’infinito.
Diana era totalmente immersa in continui ripetuti orgasmi che la scuotevano così violentemente che davano segni di svenimento, ma subito dopo si riprendeva e nuovamente raggiungeva il piacere sempre più intensamente. Continuammo così per un tempo infinito e quando la sentii vibrare in uno spasimo incredibile venni nuovamente dentro di lei abbracciandola e stringendola fino a farle male.
I nostri cuori battevano vertiginosamente come impazziti, rimanemmo abbracciati completamente immobili in attesa di riprenderci dall’immane stato di eccitamento.
Fu fantastico, meraviglioso, paradisiaco, ebbi la certezza che fu in assoluto l’esperienza più appagante mai provata nella mia vita.
Il mi cazzo era ancora nella sua paradisiaca fighetta, ci baciammo e
restammo così abbracciati per lungo tempo fino a che i nostri cuori ripresero a battere regolarmente.
Ero totalmente stordito, mia figlia mia aveva reso schiavo di lei, sentivo dentro di me emergere un sentimento mai conosciuto che mi prese mentalmente inducendomi a pensare quale sarebbe stato il nostro futuro.
La desideravo ancora non mi sentivo ancora sazio, avrei voluto continuare e morire dentro di lei.
Dopo un lungo silenzio mia figlia disse: “ Non so se sia realtà oppure se sto sognando, è tutto così meraviglioso così stupendo e quasi irreale. Mi hai fatto provare il paradiso, non immaginavo che l’amore fosse così piacevole e appagante, ma ora conosco la verità e spero non mi deluderai facendomi mancare questo immenso piacere.”
“ Amore mio, tesoro bellissimo, a mia volta ho provato con te straordinarie sensazioni mai avute in vita mia, sei semplicemente fantastica, sei unica, nessuna donna mai saprà farmi provare le stesse cose. Sei il mio amore infinito e farò di tutto per trovare il modo di unirci nuovamente, costi quel che costi.”
“ Davvero? Me lo prometti?
“ Si tesoro te lo prometto solennemente! Ci ameremo ancora fino a che lo vorrai.”
Ormai paghi e sfiniti ci addormentammo abbracciati.
Alle sette di sera mi svegliai e mia figlia non era nel letto, scesi nudo e la trovai nuda in cucina che stava cucinando, l’abbracciai dandole un bacio superficiale sulla bocca e le chiesi cosa stava preparando, disse che entro pochi minuti erano pronte quattro cosce di pollo al forno con patatine. La tavola era gia imbandita, mi sedetti e lei si mise sulle mie gambe, le baciai il seno e le accarezzavo il pancino dicendole che era il mio adorato amore proibito. Suonò l’allarme del forno e lei si alzò come vidi il suo meraviglioso culetto davanti a me glielo baciai e lo mordicchiai leggermente. Servì il pollo e mangiammo, guardandoci continuamente, aveva un musino stupendo ammiravo i suoi capelli lunghi e ricci e i suoi occhioni che sembravano due grossi smeraldi incastonati nel suo viso. Mentre stava masticando avvicinai la mia bocca alla sua e le dissi di riversarmi quanto stava masticando, la socchiuse e riversò tutto nella mia. Scherzosamente le dissi che avevo problemi di masticazione e quindi avrebbe dovuto provvedere lei a farlo per me. Sorrise compiaciuta e mi porse la bocca vicino invitandomi nuovamente a prenderne il contenuto. Ero estasiato, anche queste piccole cose mi diedero conferma che aravamo ormai persi in noi e coinvolti senza via di ritorno.
Fece un buon caffé e mi chiese se volevo bere un bicchiere di prosecco che sapeva mi piaceva molto. Le dissi di si e prese nel frigorifero una bottiglia, le dissi di tenerla in mano assieme ad un bicchiere, fatto questo mentre mi guardava con aria interrogativa la presi in braccio e la portai sopra in camera.
Ci sedemmo sul letto, tolsi il tappo e versai il vino nel bicchiere, la invitai a berne un poco e di riversarlo poi nella mia bocca, dopo averlo fatto le dissi che così era molto ma molto più buono. Ne versai un poco sul suo seno raccogliendolo con le mie labbra standole sotto mentre la mia bambina ebbe un brivido di freddo e rideva compiaciuta.
Ci sdraiammo e cominciai ad accarezzare il suo corpo sinuoso e vellutato, pensai che forse data la frequenza incredibile già raggiunta non sarei riuscito a fare nuovamente all’amore, non fu così era talmente invitante ed eccitante che poco dopo il mio cazzo era nuovamente duro e pronto ad un nuovo assalto.
Diana se ne appropriò prendendolo in bocca e pose la sua fighettina sulle mie labbra che iniziarono a baciarla, mentre la leccavo cominciai anche a passare con la lingua sul suo buchetto del sedere e poi introdussi lievemente anche un dito, ebbe un sussulto e si fermò, si alzò e disse che ora dovevo metterglielo proprio li come mi aveva visto fare più volte con la mamma.
Le dissi che sarebbe stato doloroso, ma non volle sentir ragione, per non essere da meno era determinata a provare tutto quello che mi aveva visto fare con sua madre.
Io non sono un super dotato ma il mio cazzo è di dimensioni oneste che ha sempre soddisfatto infinità di donne, ma il pensiero di metterlo nel suo sederino provocandole dolore mi preoccupava.
Ricordai che nel cassetto dei medicinali tenevo sempre un tubetto di lubrificante vaginale che a volte usavo con mia moglie proprio in questi casi.
Tornai in camera e iniziai a leccare la fighetta e il suo roseo buchetto del sedere, quando raggiunse l’orgasmo la feci mettere in ginocchio con il culetto in aria, le spalmai il lubrificante e introdussi un dito per spalmarlo anche all’interno, ripetei nuovamente l’operazione e ne misi anche una dose abbondante sul mio cazzo.
Cominciai a masturbarla sul clitoride e immersi un dito nel sederino che cominciai a fare scivolare in profondità, con maggiore difficoltà ne spinsi dentro due ma in fine entrarono, e poco dopo la doppia masturbazione le stava procurando un ulteriore orgasmo, a questo punto posai il glande sul buchetto e lo feci entrare, spinsi un poco e arrivai al suo sfintere che bloccava l’entrata, lei stava avendo l’orgasmo, era il momento giusto quindi con coraggio la presi per i fianchi e spinsi con forza facendolo entrare quasi tutto, lanciò un urlo disperato dicendo che provava un dolore atroce, mi fermai, poco dopo disse di continuare, ma io rimasi immobile dentro di lei. Poco dopo il suo culetto si abituò al corpo intruso e allentò la stretta permettendomi di muovermi con delicatezza e piano, piano lo affondai completamente.
Ripresi a masturbarla e ora il mio cazzo scivolava più facilmente nel suo culetto penetrandolo interamente, Diana cominciò a gemere e ansimare sempre più intensamente fino a che sentii la mia mano annodata dal suo umore e contemporaneamente raggiunsi a mia volta l’orgasmo e riempii il suo ventre del mio sperma mentre la mia dolce bambina godeva come una pazza rantolando frasi indecifrabili.
Si stese sul letto ed io non lo tolsi dal suo sederino finche non divenne completamente molle.
Poco dopo ci girammo supini e tenendoci per mano ormai sfiniti Diana si addormentò quasi subito.
Nonostante lo spossamento non riuscivo a prendere sonno, guardavo in continuazione il giovane e meraviglioso corpo di mia figlia e ne ero estasiato, pensavo alle intense e straordinarie ore d’amore che mi aveva donato, e nel giro di poche ore l’avevo deflorata davanti e dietro iniziandola al sesso più sfrenato. Meditavo che nonostante fosse prossima ai suoi 15 anni mi aveva dimostrato una maturità e capacità amatorie incredibili che solo una donna matura può avere.
Ammiravo il suo corpo e stentavo a credere che fino a poco prima fosse stato mio e guardandolo bene considerai che quelle forme così perfette e sinuose dimostravano almeno quattro anni in più, in soli due anni aveva raggiunto uno sviluppo straordinario che normalmente avviene in cinque o sei anni.
Un turbinare di pensieri affollavano la mia mente ed in fine conclusi che è difficile per un padre non vedere nella figlia qualcosa di magicamente annientante, così vicino e così suo. A volte può diventare una irresistibile e irrinunciabile attrazione.
Tutto questo si era verificato, non ero stato in grado di rinunciare alla sua straordinaria bellezza.
Cominciai a contare quante volte avevo raggiunto l’orgasmo durante la giornata,
quando ne fui certo dell’incredibile frequenza mi chiesi come fosse stato possibile alla mia età, mi resi conto che mai nella mia vita avevo raggiunto un numero così elevato di orgasmi nell’arco di 12 ore.
Abbracciai teneramente mia figlia e finalmente il suo calore conciliò il mio sonno.
La mattina seguente mi svegliai e la cosa più bella che vidi fu lei al mio fianco, la sua testa appoggiata sul cuscino e una marea di capelli che le attorniavano il viso angelico. Scostai leggermente il lenzuolo e i miei occhi furono allietati alla visione del suo corpo scultoreo e perfetto, la baciai lievemente su un seno e mi alzai.
Mentre stavo preparando il caffé pensai che nel pomeriggio sarebbe tornata mia moglie, provai un improvviso senso di colpa e un senso di panico mi assalì. Pensai con quale stato d’animo l’avrei riabbracciata al suo ritorno, ero anche preoccupato di come mia figlia si sarebbe comportata con lei.
Il rantolio del caffé che stava per uscire nella caffettiera mi distolse dai pensieri e mi girai verso il fornello per spegnerlo e… due braccia bianche mi avvolsero, sentii una vocina armoniosa e dolce che disse:” Buongiorno amore, sai che oggi ti amo più di ieri!”
Mi girai e a mia volte abbracciandola dissi: “ Tu non sai quanta gioia mi da sentirtelo dire, anch’io ti amo fino all’impossibile!!” E la baciai.
Prendemmo il caffé e notai una certa tristezza sul suo musino, le chiesi perché fosse triste. “ Oggi arriva la mamma e tu non sarai più mio, chissà quando potrò averti nuovamente.”
“ Tesoro non dire così, devi capire che la mamma è mia moglie e non devi considerarla come una usurpatrice, se non ci fosse stata lei ora non ci saresti neppure tu, devi assolutamente amarla come sempre e accettare che io la ami come ho sempre fatto in tutti questi anni. Il rapporto tra te e me è qualche cosa di meraviglioso ma purtroppo innaturale e come tale comporta molte rinunce, a volte anche dolore. Deve rimanere sempre e assolutamente un segreto tra noi.”
“ Capisco, hai ragione, forse l’amore e il desiderio mi fa pensare in modo egoistico. Mi sforzerò di mantenere un atteggiamento normale e non geloso.
“ Piccina mia sono a conoscenza della tua intelligenza e ti esorto di usarla, comportati sempre come prima, non dare assolutamente adito a qualche sospetto. Sappi che potrebbe causare una tragedia irrimediabile. Il nostro rapporto è identificato come i****to ed è punibile dalla legge.”
Si strinse a me piangendo assicurandomi che si sarebbe comportata nel modo migliore e di non temere, dalla sua bocca non sarebbe mai e per nessuna ragione t****lato nulla.
Salimmo in camera e cercammo di sfruttare le poche ore che ci rimanevano ancora per amarci perdutamente.
Mentre stavamo raggiungendo l’orgasmo con il mio cazzo immerso nella fighetta di mia figlia squillò il telefono, pensando che fosse mia moglie, con grande sacrificio andai a rispondere. In fatti era lei che mi avvisava la sua partenza alle 14 chiese anche come andava senza di lei. Risposi che andava tutto benissimo, ci salutammo e riappesi. Dentro di me pensai che meglio di così non sarebbe potuto andare, anzi era stato fantastico e meraviglioso.
Tornai dalla mia dolce amante che mi aspettava e ripresi a fare ciò che ero stato costretto a sospendere.
Continuammo ininterrottamente ad amarci fino alle 13 dopo aver raggiunto il mio terzo orgasmo. Feci la conta e realizzai che in 24 ore ne avevo raggiunto il numero incredibile di nove volte, e se non fosse tornata mia moglie avrei proseguito ancora. Questo miracolo eccezionale era dovuto esclusivamente alla smisurata attrazione che mia figlia provocava in me.
Poco prima delle 14 andammo nuovamente nel ristorante del giorno prima e quando terminammo tornammo a casa.
Poco prima delle 17 arrivò mia moglie, quando la abbracciai mi chiese cosa avessi, disse che mi sentiva agitato e il cuore che mi batteva forte. Con grande spirito risposi che era dovuto all’emozione di rivederla. Mi guardò sorpresa e compiaciuta mi abbracciò nuovamente con tenerezza.
Mia figlia stava a guardare e dopo un attimo di indecisione a sua volta abbracciò la mamma dicendole che ci era mancata.
Poi cominciò a parlarci di suoi zio e con tristezza disse che non stava bene per niente temendo la sua imminente morte.
Lo zio materno di mia moglie è un uomo di 86 anni che da molto vive solo ed è assistito da una donna che si reca a casa sua due volte al giorno per prepararle i pasti e badare alle faccende domestiche.
Mia moglie avendo vissuto con la madre vedova nella casa dello zio fino al suo quindicesimo anno è molto affezionata, lo ha sempre considerato come il suo secondo padre.
Chiesi a mia moglie la ragione dei suoi timori e rispose: “ Il poveretto da tempo con grande fatica si alza dal letto solo per andare in bagno, non ha le forze necessarie per fare le sue passeggiate come prima.
Sono spiacente per voi ma sento il dovere di starle vicino, quindi penso che ogni sabato andrò a trovarlo.”
Sentendo queste parole il viso di Diana si illuminò e notai la gioia incredibile che stava provando.
Intervenni dicendo:” Credo che la tua decisone sia giusta, darle il tuo affetto negli ultimi giorni di vita sarà sicuramente confortante. Non preoccuparti noi durante le tue brevi assenze sopravviveremo senza problemi.”
“ Cosa avete fatto durante la mia essenza”
“ Nulla di speciale, siamo andati due volte al ristorante ed una volta Diana ha preparato una cenetta a base di pollo. Sabato pomeriggio abbiamo fatto un giretto a Como e poi, tanta televisione.”
“ Non ti chiedo se Diana si è comportata bene perché so che con te è perfetta, ha sempre una particolare attenzione che riesce quasi a leggere nel tuo cervello quello che desideri. Non sono mai riuscita a capire come possa intuire il momento che desideri bere un bicchiere di prosecco oppure un caffé.”
“ E’ vero, nostra figlia è straordinaria, ha doti inconsuete che la rendono diversa e quasi sovrumane. A proposito era da parecchio tempo che non uscivo con lei e devo dire che a Como mentre passeggiavamo ho notato moltissimi uomini giovani ed anche di una certa età girarsi a guardarla con molto interesse.”
“Devo ammettere che sta diventando ogni giorno sempre più bella, ha un fisico ben sviluppato che dimostra almeno 3 anni in più dei suoi. Modestamente l’ho fatta io!!”
“ Avendo contribuito alla sua generazione vorrei dire che forse anch’io avrei qualche merito! Non credi?
“ Certamente, in molte cose ti assomiglia! Le labbra sono uguali alle tue, il nasino e le orecchie piccole. Poi da te ha preso l’intelligenza e l’intraprendenza.
Intervenne Diana: “ Avete finito di parlare di me! Mi fate sentire come se fossi Frankestein messa assieme da vari pezzi prelevati da vari corpi.”
Intervenni a mia volta: “ Non ti agitare, stiamo solo facendo commenti positivi, e dato che sono un uomo credo di poter dire senza ombra di dubbio che sei una ragazza splendida, molte caratteristiche del tuo corpo assomigliano alla mamma quando aveva qualche anno in meno. Con ciò voglio aggiungere che anche la mamma è ancora oggi una bellissima donna. Siete le mie stupende donnine!!”
La discussione terminò e mia moglie andò in cucina per organizzare la cena.
Accesi la televisione con mia figlia al fianco che stava sprizzando gioia da tutti i pori. Avvicinò la sua bocca al mio orecchio e mi sussurrò che era felice.
Dopo cena ci fermammo brevemente nel salotto e poi mia moglie disse che era stanca e salì in camera.
Mia figlia mi prese la mano e me la strinse forte sussurrandomi nuovamente la sua felicità per la gradita possibilità di rimanere soli con una certa frequenza nei fine settimana.
Trascorsa una mezz’ora a nostra volta salimmo e notasi che mia moglie stava già dormendo profondamente. Siamo totalmente diversi, io ho un sonno leggerissimo e al minimo rumore mi sveglio, mentre lei ha un sonno profondo che neppure i temporali con tuoni violenti riescono a svegliarla.
Accesi la televisione e poco dopo arrivò anche mia figlia che si mise sotto le coperte in mezzo a noi e cercò la mia mano stringendola.
Mi misi su un fianco e la accarezzai sul viso scorrendole un dito sulle labbra che subito aprì succhiandomelo. Quel gesto era molto eloquente e sinceramente avrei preferito mi succhiasse in un altro posto e mentre pensavo questo sentii la sua mano che entrava nell’apertura del pigiama e mi prese in mano il cazzo. A mia volta allungai la mi mano e la feci scorrere tra le cosce, la camicia da notte era praticamente sulla sua pancia e non indossava le mutandine, quindi ebbi subito il piacere di toccare la sua fighettina che sentii già umida.
La percorsi tutta introducendole un dito in profondità che poi portai al mio naso per sentirne il profumo e nella bocca per gustarne il sapore. Ero gia pervaso da un incredibile eccitazione quando Diana si mise a sua volta di fianco appoggiando il suo sedere sul mio cazzo duro che non aspettava altro. Rannicchiò le gambe dandomi modo di appoggiare il glande sulla fessura della fighetta, la presi per i fianchi e spinsi facendolo entrare tutto nel suo paradiso.
Stavamo rischiando moltissimo ma incredibilmente e incoscientemente stavamo facendo all’amore al fianco di mia moglie. Poco dopo raggiunsi l’orgasmo e le riempii la fighetta del mio sperma, rimasi dentro per non sporcare il lenzuolo e le dissi che quando lo avrei tolto doveva mettersi una manina perché no uscisse nulla. Così fece e si incamminò nel bagno per lavarsi ove la raggiunsi subito dicendole che eravamo due pazzi irresponsabili.
La pregai di andare in camera sua, ci baciammo e andammo a dormire.
Come sempre alle sette mia moglie mi svegliò portandomi il caffé e scese nuovamente in cucina, mi alzai e come consuetudine andai a svegliare mia figlia, questa volta con una variante, anziché chiamarla allungai le mani sotto le coperte e cominciai a toccarla sulle cosce e con l’altra mano il seno, al contatto della mia mano allargò le gambe e cominciai a masturbale la fighettina che subito si bagnò. La scoprii e le leccai i suoi piacevoli umori, ma come avevo terminato subito dopo si bagnava nuovamente. Il tempo a nostra disposizione era limitato quindi la baciai sulla bocca e scesi per la colazione seguito da lei.
Valutai che l’esperienza della notte era sicuramente pericolosa mentre quella del risveglio potevo farla ogni mattino. Pertanto mi ripromisi di non ripetere mai più il rischio e accontentarmi di un breve piacevole contatto mattutino.
Alla sera quando rientrai, come sempre Diana mi accolse teneramente, mia moglie fece altrettanto ma notai che era molto più tenera del consueto in più osservai che era molto curata e vestiva un abito attillato che le copriva le gambe sopra le ginocchia dando risalto alle sue forme ancora perfette. Conoscendola capii che dopo tre notti senza nessun contatto desiderava fare all’amore.
Dopo cena quando andammo a letto subito dopo arrivò mia figlia, si mise nel letto con noi e stranamente, come se avesse intuito, dopo quindici minuti andò in camera sua.
Finalmente soli abbracciai mia moglie e cominciammo le nostre effusioni preliminari, ero seduto appoggiato alla spalliera del letto e potevo vedere la porta socchiusa che si trovava alla sinistra di fronte a me, mia moglie nuda stava succhiandomelo, e come prevedevo intravidi mia figlia che ci osservava. Non mi scomposi, invitai mia moglie a girarsi per praticare un 69 che iniziammo e le procurò due rumorosi orgasmi. La misi alla pecorina e la penetrai nella figa badando bene che mia figlia potesse vedere chiaramente e quando raggiunsi l’orgasmo a mia volta mi produssi in gemiti piuttosto udibili. Quando tolsi il cazzo dalla figa mia moglie lo prese subito nella bocca succhiando con avidità i rimasugli di sperma per poi adagiarsi sopra di me baciandomi.
Il pensiero corse subito a Diana che aveva assistito e sicuramente si era anche masturbata.
Poco dopo spegnemmo la luce e dormimmo.
Il mattino dopo il caffé andai a svegliare mia figlia come la volta precedente, quando misi le mani sulle sue cosce si mise seduta e mi abbracciò baciandomi con impeto incredibile e disse che ci aveva visto. Risposi che lo sapevo e le chiesi cosa avesse provato. Rispose: “All’inizio ero disperata, ma poi ho sentito uno strano calore che mi pervase tutta e ho cominciato a mia volta a provare piacere, mi sono masturbata e avevo la sensazione di essere io al suo posto, era così intensa che mi eccitava come se realmente tu stessi facendolo con me. Ti confesso che alla fine è stata una esperienza piacevole che ripeterò ogni volta e ora che tu sai della mia presenza sarà maggiormente piacevole.”
“ Tesoro sono felice che tu abbia preso nel senso giusto questa cosa che è doverosa per due coniugi, se poi ne trai anche piacere sono felice per te, credimi stai dimostrandomi di essere intelligente e comprensiva come speravo e tu non mi hai deluso. Ora andiamo a fare colazione, quattro notti ancora e poi potremo amarci fino allo spasimo.”
Arrivò il Sabato e come convenuto mia moglie partì per Verona dallo zio.
Trascorsero solo 5 minuti e subito ci ritrovammo avvinghiati come ossessi assetati d’amore. Mia figlia era sdraiata le baciai gli occhi, il nasino, le sfiorai le labbra e scesi sul collo provocandole alcuni brividi, le succhiai un lobo e introdussi la lingua nell’orecchio mentre le accarezzavo il seno e notai che gradiva moltissimo la mia lingua nell’orecchio e continuai a leccarglielo. Scesi nuovamente sul collo mentre i capezzoli erano duri come due nocciole, li succhiai, aprii la bocca e presi per metà un suo seno che me la riempiva succhiandolo con crescente passione.
Volevo percorrere con la bocca ogni millimetro del suo corpo, bacia il suo ventre e l’ombellico insinuando la lingua nella sua morbida peluria fino al limite della fighetta che aggirai soffermandomi all’interno delle cosce che le procurò un immediato piacere, avvicinai la lingua attorno alla fighetta leccando le grandi labbra e quando la introdussi tra loro trovai il suo piacevole umore che allietò la mia bocca.
La piccola fighettina di mia figlia era un fiore stupendo che emanava un tenue inebriante profumo, aveva un sapore che non mi rendeva mai pago di sentirne il piacevole gusto. Così minuscola compatta e graziosa con quelle due piccole rosee labbra carnose che si dischiudevano al passaggio della mia lingua gonfiandosi leggermente, il clitoride chiuso nel suo prepuzio si irrigidiva come un piccolo fagiolo dandomi modo di succhiarlo e provocarle un piacere immenso.
Mentre lo succhiavo introdussi nella stretta vagina un dito spingendolo in profondità, ne aggiunsi un altro e cominciai a muoverle entrambi, poco dopo la sentii gemere e le mie dita furono sommerse dal suo vischioso umore che bevvi.
Ero ormai al limite della mia attesa, il mio cazzo urlava prepotentemente voglioso di entrare in quel paradiso, la girai e la misi in ginocchio con il sederino invitante di fronte al mio cazzo che pulsava dal desiderio, lo appoggiai sull’entrata della fighetta e spinsi progressivamente penetrandola fino a toccare l’utero.
Sentivo stringere il cazzo dalla sua morbida vagina e inizia a muovermi lentamente ammirando le grandi labbra che ingrossavano attorno alla mia asta quando lo ritraevo e scomparivano quando entravo nuovamente in profondità dandomi il piacere di ammirare l’eccitante spettacolo.
Diana godeva e ansimava sempre più intensamente e quando fu scossa da un brivido ebbe l’orgasmo che continuò senza sosta e ne ebbe un altro, poco dopo un altro ancora che provocò il mio e riversai in quella paradisiaca calda fighetta il mio seme che la scosse in un interminabile orgasmo.
Rimasi pochi secondi dentro di lei e accorgendomi che era sempre duro lo tolsi e lo posai sul suo buchetto del sedere, feci uscire il poco sperma che si trovava dentro il mio cazzo e lo spalmai sopra lubrificando il buchetto, spinsi lievemente e lo sperma che si trovava lungo l’asta agevolò l’ingresso in quello strettissimo sederino, lo feci entrare gradatamente fermandomi subito quando notavo che provava dolore per poi proseguire nuovamente fino a che i miei testicoli toccarono il suo sedere. Ora ero completamente dentro, percepivo le piacevoli contrazioni del suo ano, cominciai a masturbarle il clitoride introducendo anche due dita nella fighetta mentre il mio cazzo scivolava avanti e indietro ne sederino ormai ben dilatato.
La doppia sollecitazione nelle sue parti intime le fece raggiungere orgasmi che non riuscivo più a contare tanti erano, seguiti da frasi appassionate, rantolii, gemiti, sussulti infiniti. Continuai per un tempo lunghissimo al punto che cominciai a sentire dolore e finalmente venni a mia volta mentre Diana urlava un lunghissimo siiiiii e si accasciò esanime. Mi spaventai e le chiesi se stava male, non ripose immediatamente ma poi mi rassicurò dicendo che era sfinita e senza forze.
Mi misi al sua fianco accarezzandola dolcemente, mi prese la mano e faticosamente me la baciò.
Pensai di avere esagerato mettendola a dura prova, e decisi che per quella mattina non avrei cercato di sollecitarla nuovamente con altri orgasmi.
Il numero impressionante che ebbe resero la mia bellissima bambina sfinita. La coprii e le dissi di riposare tranquillamente che nel frattempo sarei sceso a bere qualche cosa.
Preparai il caffé e ne lascia la metà, mentre lo sorseggiavo pensai che non mi era mai accaduto di mantenere l’erezione dopo l’orgasmo, con mia figlia era gia la seconda volta che mi successe. Sicuramente dovevo imputare questa prolungata erezione all’incredibile stato di eccitazione che mia figlia riusciva ad infondermi con la sua fresca ed impareggiabile bellezza.
Versai il caffé in una tazza e salii portandolo al mio dolce amore, come mi sentì aprì gli occhi, le chiesi come stava, rispose che stava riprendendosi e aggiunse:” L’intensità di piacere che mi hai fatto provare è stata così forte che credevo di morire.” Le dissi di bere il caffè e quando ebbe terminato mi scusai ammettendo che avevo esagerato, avrei dovuto darle un poco di tregua. Mi giustificai dicendo che mi trovavo in una condizione di smisurato desiderio che non riuscivo più a controllarmi.
“ Non devi scusarti, mi hai fatto nuovamente provare sensazioni di una intensità tale che mi sono sentita mancare. Come sai sono alle prime esperienze e quindi non abituata ma vedrai che non succederà più.”
La lascia tranquilla sul letto e andai in bagno a sbarbarmi, aprii l’acqua della vasca aggiungendo abbondante bagno schiuma, trascorso qualche minuto dopo che mi ero immerso arrivò lei e con naturalezza entrò a sua volta sedendosi tra le mie gambe con il viso di fronte al mio ed esclamò.
“ Che bello! E’ la prima volta che posso fare il bagno assieme a te, potrò lavarti io e tu laverai me.”
Versò abbondante bagno schiuma sul suo seno e abbracciandomi lo appoggiò sul mio torace roteandolo e facendolo scivolare in un piacevole e mai provato lavaggio.
Quel soave massaggio era un segno di dolcezza che mi prese cerebralmente e cominciai a sussurrare alla mia amata bambina frasi d’amore infinito, la strinsi a me in un abbraccio che voleva fonderci in un unico corpo.
Il nostro bagno fu solo un connubio di tantissime ed infinite dolci tenerezze.
Quando uscimmo la asciugai accarezzando tutto il suo sinuoso e splendido corpo che in fine senza sosta coprii di baci.
Ci vestimmo e andammo a mangiare in cima ad una collina in un ottimo ristorante che conoscevo. Diana era meravigliosa, indossava un abitino di seta attillato color nero con piccoli fiorellini bianchi che le arrivava abbondantemente sopra le ginocchia, calze autoreggenti nere e scarpe con un tacco a spillo di media lunghezza; era incantevole, una dea meravigliosa.
Quando entrammo nel ristorante gli occhi di tutti i commensali erano rivolti a lei con sguardi e qualche commento di evidente ammirazione alla sua folgorante bellezza.
Notando tutto questo interesse mi si riempì il cuore di un immenso piacere perché ero io il fortunato mortale che l’aveva anima e corpo.
A mia volta la osservavo e non riuscivo a capacitarmi come potesse uno splendore di ragazza così favoloso essersi invaghita di me, di suo padre.
Mentre mangiavamo non mi toglieva gli occhi di dosso che esprimevano l’amore che provava per me sprigionando la mia incontenibile gioia.
Terminammo il pranzo e ci avviammo abbracciati verso la macchina, appena entrati ci baciammo lungamente suggellando così il nostro reciproco amore.
Come entrammo in casa ci abbracciammo nuovamente e allungai le mie mani sotto la gonna facendole scorrere sulle cosce e alla fine delle autoreggenti percepii la sua pelle calda e vellutata che mi eccitò immediatamente.
La feci sdraiare sul divano e la accarezzai con tenerezza, immersi le mani nei suoi folti capelli e la baciai sul collo mentre percepivo i suoi leggeri brividi che le procuravano i mie baci. Eravamo entrambi eccitati e desiderosi, la sollevai nelle mie braccia e salii in camera, cominciammo a spogliarci e quando tolse l’abito rimase in mutandine e le autoreggenti, era stupendamente attraente e sensuale ammirare il suo magnifico seno e le cosce avvolte nelle calze nere che delimitavano la differenza di colore della sua pelle bianca.
Tolse le mutandine e la pregai di lasciare le calze, ci sdraiammo, la accarezzai
e baciai In tutto il corpo con adorazione, ero estasiato nell’ammirarlo e godevo per il piacere che il tatto mi procurava.
Giunsi alla fighettina, la guardai e realizzai che avendone viste moltissime nella mia lunga vita, nessuna era così bella, così graziosa e perfetta. Di dimensioni minute e raccolta, carnosa, rosea, vellutata, emetteva un tenue profumo eccitante di giovane donna, il piccolo clitoride che divenendo turgido prendeva forma di un minuscolo bocciolo di rosa, la stretta vagina che con il suo calore sapeva provocarmi piaceri infiniti formavano l’assoluta perfezione.
Posai le labbra sopra quella meraviglia e la leccai con passionale ardore insinuando la lingua forzando l’ingresso della vagina per farla entrare, ne entrò solo una piccola parte assaporando l’umore che iniziava a scorrere, la ritrassi passandola sul clitoride e poco dopo percepii uno strano sapore; mi accorsi che era sangue. La mia adorata bambina stava avendo il suo ciclo mestruale.
La informai e dispiaciuta disse che questo inconveniente avrebbe compromesso il seguito dei nostri rapporti sprecando così il tempo ancora a nostra disposizione.
La rassicurai dicendole che non cambiava niente, e continuai a leccarle la fighetta senza provare ombra di disgusto. Poter bere il suo sangue mi procurava uno strano piacere perverso che trovai eccitante e per nulla spiacevole.
Stavo bevendo gli umori e il sangue della mia amatissima figlia, entravano dentro di me, il suo corpo entrava fondendosi con il mio mentre la sentivo gemere producendosi con orgasmi intensi.
Alzai la testa, ora volevo possederla, entrare dentro di lei, mi guardò e disse che avevo le labbra sporche di sangue chiedendomi se non provavo schifo per ciò che avevo fatto. Risposi che non provavo nessun ribrezzo per nessuna cosa che faceva parte di lei e che era stato piacevole.
La penetrai e finalmente ricevetti sul mio cazzo il benefico calore della sua fighettina che immediatamente mi fece provare il piacere più grande e appagante del mondo. Misi la mia testa vicino alla sua e subito cercò le mie labbra che pur essendo sporche del suo sangue volle baciare mentre era scossa da orgasmi ripetuti senza nessun intervallo, il piacere era così impetuoso che venni a mia volta riversandole il mio sperma che si mescolava a tutto quanto era dentro la sua fighettina.
Senza indugio reciproco ci posizionammo e iniziamo a fare un 69 durante il quale ingoiai una quantità imprecisata di umori, sangue e il mio sperma mentre lei a sua volta lo fece in minore quantità sul mio cazzo.
Nulla ormai era impossibile tra noi, tutto poteva essere accettato senza nessun veto che ci limitasse. Tra noi anche le cose che altri normalmente trovavano ripugnati, noi le attuavamo con assoluta naturalezza.
Trascorremmo una diecina di minuti accoccolati mentre pensavo di mettere in pratica un ulteriore esperienza che avevo fatto quando avevo 19 anni con mia sorella che ne aveva 15. In quel tempo eravamo entrambi follemente innamorati e ci trovavamo in una situazione analoga a quella che ora stavo vivendo con mia figlia. Il destino ha stranamente voluto creare le condizioni irrinunciabili per commettere un ulteriore i****to.
Dissi a mia figlia di accompagnarmi in bagno, senza chiedere il perché si alzò e venne con me. Entrai nella vasca da bagno e la invitai a fare altrettanto, mi distesi e le dissi di fare pipi sopra il mio viso. Non ebbe nessuna obiezione e non proferì parola, si chinò e la sua calda urina scese sul mio viso che a bocca aperta ne deglutiva in parte bagnandomi anche il torace che presi a strofinare con le mani fino al mio cazzo. Avvicinai la mia bocca e baciai la sua bellissima fighettina.
Come mi aspettavo chiese che le facessi provare le stessa cosa, mi alzai invertendo le nostre posizioni, diressi il cazzo sul suo viso e urinai lungamente, a sua volte bevve un poco e diressi il getto sul suo seno spostandolo fino alla sua fighetta avvicinandolo quasi a toccarle il clitoride che vidi irrigidirsi immediatamente. Ci alzammo abbracciandoci e baciandoci ossessivamente.
Aprii l’acqua e facemmo un bagno stando sdraiato con lei sopra di me.
Arrivò la domenica e alle 14 dopo la telefonata di mai moglie, terminammo i nostri stupendi incontri d’amore iniziati il sabato, durante i quali ero ancora una volta riuscito ad avere un numero di orgasmi incredibile tanto era elevato, ne contai dieci in 28 ore.
Tornò mia moglie e la vita continuò normalmente fino al sabato successivo e si ripeté per altri undici sabati finché lo zio morì.
Andammo al suo funerale spiaciuti per la sua morte che soprattutto io e mia figlia speravamo non giungesse mai, purtroppo ora dovevamo trovare una soluzione che ci permettesse di poterci amare.
Con sotterfugi vari e approfittando di brevi assenze di mia moglie abbiamo avuto modo di sfogare il nostro tumultuoso amore, a volte anche correndo qualche rischio facendolo in casa durante la notte mentre mia moglie dormiva.
Fortunatamente non ci ha mai scoperto ne ha subodorato qualche sospetto, aveva ormai considerato normale il comportamento estremamente affettuoso e attaccaticcio di Diana nei miei confronti.
Trascorsero sei anni e mia figlia al suo ventunesimo compleanno divenne maggiorenne, al quel tempo frequentava il terzo anno all’università.
Mi accordai con Diana per fare un viaggio alle Maldive, le dissi di inventarsi la scusa che un’amica l’aveva invitata ad andare con lei per 15 giorni in un atollo delle Maldive in quanto era sola.
Una sera al mio rientro chiese se le avrei pagato il viaggio e naturalmente dissi di sì. A mia volta dissi che dovevo fare un viaggio di lavoro negli USA e che un buon cliente mi aveva offerto un soggiorno in una sua villa di San Diego in California.
Combinai tutto ed io partii il giorno prima dormendo in un albergo vicino all’aeroporto, il giorno successivo ci incontrammo e felici partimmo.
Dopo un lunghissimo ed interminabile viaggio atterrammo a Malè e da li con un idrovolante arrivammo in un piccolo atollo, era stupendo, circondato da un mare color smeraldo e una spiaggia bianca lo circondava.
Simpatici nativi ci accompagnarono al nostro alloggio, un bungalow sull’acqua costruito sopra a delle palafitte. Entrammo e lo trovammo stupendo, una cucinetta con frigorifero e fornello, un bagno immenso, una camera con letto matrimoniale king size a baldacchino e una veranda che dava sul mare con tavolo due sdraio e la scaletta per accedere direttamente in acqua.
Erano ormai le sette di sera e quindi ci dissero di recarci al ristorante per cenare, come consigliatoci ci incamminammo a piedi nudi in quanto in tutto l’atollo cera solo sabbia con una vegetazione tropicale densa di palme di cocco.
Il ristorante non aveva pavimento anche li solo sabbia, cenammo e dopo il pasto felici ci incamminammo tenendoci per mano verso il nostro bungalow.
Lungo la strada fui pervaso da un intenso e morboso desiderio di abbracciare mia figlia e di baciarla.
Sentivo il contatto del suo seno sul mio torace nudo, lei indossava una camicetta leggerissima senza reggiseno, e mentre la stringevo la baciavo in continuazione dicendole che l’amavo, lei rispose con una voce calda e sensuale che a sua volta mi amava tantissimo.
Ci incamminammo e la tenevo con un braccio stretta a me, a sua volta mise il suo attorno alla mia vita.
Entrammo nel bungalow, ci spogliammo di quel poco che indossavamo e rimanemmo in mutande, il mio cazzo duro faceva capolino al di sopra degli slip che non riuscivano a contenerlo, la abbracciai nuovamente e sentii il calore del suo corpo contro il mio mentre ci baciavamo come impazziti di desiderio roteando le nostre lingue che si incrociavano nelle nostre bocche.
Abbracciati ci lasciammo cadere sul letto, cominciai a baciare e leccare il suo collo scendendo sul seno e soffermandomi sui capezzoli che stavano inturgidendosi, le davo leggerissimi morsi che la fecero fremere, e poi scesi sul suo ventre vellutato e leccando l’ombelico mentre insinuavo la mano sotto le mutandine accarezzando la peluria morbida fino a toccarle la figa che sentivo umida. Le tolsi le mutandine e tolsi i miei slip, ricominciai da dove ero rimasto insinuando un dito tra le grandi labbra, lo feci scorrere e lo spinsi dentro in profondità ove sentii che era bagnata del suo umore, lo ritrassi e lo passai delicatamente con movimenti circolari sul clitoride, mia figlia stava gemendo e ansimando dal piacere, ero eccitato come non mai e preso dal desiderio abbassai la mia bocca sulla sua fighetta che baciai e leccai assaporando il suo liquido che copioso stava bagnandola mentre stava avendo un orgasmo che la faceva tremare, sentivo il suo corpo vibrare e continuavo a leccarla bevendo il suo umore dolciastro e piacevole mentre lei accarezzava la mia testa. Sentivo il desiderio prepotente di entrare con il mio cazzo dentro quella fighetta profumata. Posai il mio cazzo tra le sue rosee grandi labbra, lo strofinai un poco e spinsi piano, sentivo che entrava dentro di lei sempre più in profondità come se fosse risucchiato, e quando la penetrai completamente fino ai miei testicoli, emise un lungo sospiro liberatorio di grande soddisfazione e posandomi su di lei ci baciammo con ardore. Mente mi muovevo dentro di lei lentamente in su ed in giù sentivo il calore e le vibrazioni della sua vagina stretta che accarezzavano il mio cazzo procurandomi un piacere mai provato, aveva continui orgasmi uno dietro l’altro che stavano provocando anche il mio, quando si rese conto che stavo per venire mi disse “Fammi sentire il tuo liquido caldo dentro di me. Riempimi.” Io accelerai il ritmo e avvertii una eruzione inarrestabile dal profondo del mio corpo che cominciava a farsi strada verso l’esterno.
Senza che io lo avessi provocato o voluto, improvvisamente esplose un piacere dolcissimo che io sentivo localizzato sulla punta del mio cazzo. Stavo venendo come aveva chiesto mia figlia nella sua fighetta. Lo sperma caldo raggiunse il suo utero, mi strinse fino a farmi male e graffiando la mia schiena mentre mormorava ”Siiii, siiii, tesoro mio, siii, siii, amore mio.” Mi accasciai su di lei e l’abbracciai, toccandole le tette, mentre le tenevo ancora dentro il mio arnese.
Si mise seduta appoggiandosi alla spalliera del letto e mi disse che voleva baciarmelo di mettermi con il cazzo tra le sue tette in modo che fosse vicino alla sua bocca, mi misi nella posizione voluta e mentre il mio cazzo era tra il suo meraviglioso seno, lo presi in mano per stringerlo contro il cazzo, ma era talmente sodo che non fu possibile, abbassò la testa e lo prese in bocca succhiando il poco sperma che era rimasto affondandolo fino alla gola per poi ritornare sul glande provocando nuovamente l’erezione. Lo accarezzava con amore lo baciava dicendo che per quindici giorni era solo suo, che voleva bere il mio seme e cominciò a leccarlo e succhiarlo con tanto ardore che in poco tempo sentii il mio sperma che stava per uscire come un vulcano in eruzione, a fiotti lo sperma riempì la sua bocca che continuava a leccarlo e succhiarlo per non perderne neppure una goccia mentre con una mano massaggiava delicatamente i miei testicoli.
Eravamo esausti e stanchi del lungo viaggio e senza lavarci ci addormentammo abbracciati.
Il mattino mia figlia si svegliò prima di me, si alzò andò nella cucinetta e preparò un caffè con del prodotto liofilizzato che non era niente male, si avvicinò e con bacio dolcissimo mormorò ”Amore mio svegliati!” Aprii gli occhi e vidi la figura meravigliosa, quel corpo stupendo e nudo che allietò il mio risveglio e mi fece sentire in paradiso. Si sedette sul bordo del letto e mi protese la tazza di caffè che bevvi non togliendo il mio sguardo su di lei, la mangiavo con gli occhi, era bellissima, perfetta, la fissai intensamente nei suoi occhi verdi, le accarezzai i lunghi capelli castani che scendevano ricoprendo parzialmente il suo meraviglioso seno, e con la mano attirai la sua testa verso la mia bocca e la baciai mentre la mia mano si insinuava tra le sue superbe cosce fino a toccarle la fighetta palpitante. Chinò il suo viso sul mio cazzo e cominciò a baciarmelo dal glande scendendo fino ai testicoli, mentre con una mano accarezzava il mio torace soffermandosi sui miei capezzoli, lo prese in bocca e lo ingoiò fino alla gola per poi stringendolo con le labbra piano, piano percorrere tutta l’asta fino a tornare al glande. Desideravo a mia volta sentire il profumo della sua fighetta, assaporare il suo umore e le dissi di mettersi sopra di me in modo di scambiarci il piacere contemporaneamente, senza abbandonare il mio cazzo dalla bocca si mise sopra di me con le cosce allargate ponendo la sua fighetta sulla mia bocca che sentendo il suo profumo inebriante mi fece ruotare la lingua con una foga incredibile portandola subito ad un orgasmo che riversò nella mia bocca il suo dolce liquido, proseguii e a mia volta venni riversando dentro la sua bocca il mio sperma che con avidità bevve con enorme piacere.
Dopo un poco disse che era ora di andare fare colazione, la guardai e sorridendo dissi che forse non era il caso, la colazione l’avevamo già fatta. Si mise a ridere dandomi una pacca su una coscia.
Si mise solo lo slip ed un pareo, io un boxer da bagno, una maglietta e a piedi nudi, abbracciati ci incamminammo verso il ristorante per la colazione.
Appena entrati notai che molti uomini la osservavano con estremo compiacimento, lei fece due passi avanti per sedersi al tavolo e mi accorsi che il gioco di luci mostravano il suo seno e le altre parti scoperte sotto il pareo come se fosse nuda. Ciò si ripeteva ogni volta che si alzava per andare al buffet per servirsi, a mia volta la cosa mi eccitava non poco beandomi di essere io il fortunato uomo che poteva godere di tanta bellezza.
Tornammo al nostro bungalow e ci sdraiammo nudi nella veranda che dava sul mare quindi nessuno poteva vederci. Trascorsi una decina di minuti scendemmo in mare per un bagno, l’acqua era stupenda, tiepida di una trasparenza incredibile, si vedevano migliaia di pesci colorati che nuotavano sotto di noi, e poco dopo risalimmo. Spalmammo aiutandoci reciprocamente una crema protettiva e ci sdraiammo a prendere il sole.
Era un paradiso terrestre, un’atmosfera magica e silenzio assoluto regnava attorno a noi, una leggera brezza faceva si che non si percepisse il calore che il sole bruciante a quella latitudine è molto intenso.
Poco dopo stando sdraiati le nostre mani si incontrarono, trasmisero un messaggio inequivocabile, mi alzai e potei baciare solo la parte che non era coperta dalla crema, guarda caso proprio la sua fighettina profumata. Dopo due suoi orgasmi mi distesi sul mio sdraio l’attirai sopra di me e senza darle nessuna indicazione si impalò sopra il mio cazzo che fece scivolare lentamente nella sua calda fighetta. Ebbe alcuni orgasmi ed in fine arrivò anche il mio che la fece sussultare quando il mio sperma schizzò sul suo utero.
Rimanemmo a lungo abbracciati con il cazzo sempre dentro la sua santa fighetta felici di essere in quel incantevole isoletta sperduta nell’oceano.
Ci alzammo scendemmo la scaletta e ci immergemmo nell’acqua cristallina, cominciammo a giocare spruzzandoci e affondandoci reciprocamente come due bambini.
Eravamo felici, in un mondo diverso, lontani da ogni pericolo di occhi indiscreti. Ci sentivamo liberi di sfogare il nostro grande amore senza nessun limite.
Giunse l’ora del pranzo, mi misi un paio di boxer coloratissimi ed una maglietta,
e dissi a mia figlia di mettersi solo il pareo senza nulla sotto. In un primo momento non fu molto entusiasta ma quando le spiegai la scena del mattino sorrise e per compiacermi fece come le chiesi.
Quando entrammo nel ristorante si verificò una scena incredibile, uomini che la guardavano come abbagliati, alcuni con la bocca aperta, altri rivolgendosi al vicino commentavano positivamente la straordinaria bellezza del corpo di mia figlia. Ci sedemmo al tavolo sorridendo tra noi e le dissi che se non ci fossi stato io avrebbe rischiato di essere violentata.
Ci alzammo per andare al buffet almeno tre volte, e la scena si ripeteva in continuazione.
Terminato il pranzo ci alzammo e abbracciati uscimmo sotto gli occhi ammirati di moltissimi uomini e anche donne.
Devo dire che a quel tempo nonostante i miei 53 anni non ne dimostravo più di 40,
avevo un fisico atletico, nessuna ruga e una leggera brizzolatura ai lati dei capelli.
Mia figlia con il fisico che si ritrovava ne dimostrava attorno a 28 anni e quindi eravamo una magnifica coppia che non dava minimante di pensare che in realtà la differenza di età era di 32 anni.
Trascorremmo la vacanza in modo meraviglioso, facevamo all’amore in continuazione: il mattino appena svegli, a metà mattinata, il pomeriggio e alla sera prima di dormire.
Purtroppo i tempo volò e tristemente ci imbarcammo nuovamente sull’idrovolante e poi nell’aereo per il ritorno.
Se qualcuno notasse che la parte sopra descritta assomiglia ad un racconto pubblicato moto tempo addietro, faccio presente che l’ho scritto io ed era frutto della mia fantasia che si ispirava in parte a questa vicenda realmente successa nella mia vita proprio con mia figlia.
Al nostro ritorno che, per ragioni logiche avvenne separatamente con un giorno di ritardo da parte di mia figlia che soggiornò nell’albergo dell’aeroporto, fui io che andai a prenderla il giorno successivo.
Badai bene di togliere dalla mia valigia ogni adesivo che indicava la provenienza e distrussi il biglietto del volo aereo.
Quando mia moglie mi vide restò sorpresa per la mia intensa abbronzatura, le dissi che avevo trascorso una intera settimana nella villa sul mare di San Diego del mio cliente che mi aveva ospitato.
Il giorno successivo quando rincasai con mia figlia che a sua volta era abbozzatissima, esclamò: “ Siete abbronzati allo stesso modo, se non fosse che papà era a qualche migliaio di chilometri distante da te verrebbe da pensare che eravate assieme.”
“ Credo che se fossi andato alle Maldive per 15 giorni sarei molto più abbronzato di Diana, la mia pelle non è chiara quanto la sua.”
“ Si è vero e guardandovi bene siete allo stesso livello.”
Era felice di riaverci con lei e preparò una cena molto speciale per festeggiare l’evento.
Provavo qualche senso di colpa che mi spinse ad essere particolarmente affettuoso con lei e facendo molte considerazioni di apprezzamento rivolte al suo fisico che accolse con piacere. Non rappresentò uno sforzo ne mi inventai nulla perché in effetti mia moglie non dimostrava più di 35 anni, il suo fisico era ancora perfetto e in piena forma.
A conferma, durante la notte trascorremmo un lungo tempo ad amarci.
Trascorsero tre anni durante i quali mia figlia si laureo e nel frattempo i nostri incontri amorosi avvenivano con frequenza.
Una sera quando rincasai, non vidi mia moglie e Diana mi corse in contro dicendo che la mamma stava male. Corsi incamera e la vidi sofferente che si teneva le mani sul ventre dicendomi che aveva dei dolori atroci.
Chiamai il nostro medico il quale dopo averla visitata consigliò il ricovero immediato. La portammo in ospedale e fu ricoverata d’urgenza e le diedero un antidolorifico, io e mia figlia rimanemmo fino al mattino quando le fecero una Tac.
Eravamo preoccupati in attesa del responso che ci fu comunicato da uno specialista. Mi guardava sconsolato e pronunciò la cosa che mi fece accasciare sulla sedia senza poter fiatare, ero distrutto e disperato.
Mia moglie aveva un tumore in stato avanzato al pancreas, disse che l’intervento era inutile e le avrebbe solo procurato maggiori sofferenze.
Mi feci coraggio e chiesi quanto tempo di vita aveva ancora, rispose dai quattro ai sei mesi. Queste parole rimbombarono nella mia testa, fui assalito dalla disperazione e mi misi a piangere gridando: nooo…nooo, perchèèèè.
Diana si mise al mio fianco stringendomi la mano e a sua volta piangeva a dirotto.
Volli che mia moglie fosse portata a casa e una infermiera veniva due volte al giorno per praticarle la terapia contro il dolore, purtroppo però trascorsi 5 mesi una notte mentre le ero vicino stringendole la mano morì.
Ancora oggi a distanza di anni la commozione e il dolore non mi permette di esprimere con le parole il mio stato d’animo, ero distrutto e non mi davo pace pensando ai miei tradimenti.
Anche mia figlia era nelle mie stesse condizioni, ormai da quel fatidico giorno che la portai all’ospedale tra noi non vi fu nessun contatto se non brevi abbracci di desolazione e sconforto per la mamma.
Trascorsero altri sei mesi dalla sua scomparsa durante i quali io e mia figlia vagavamo per la casa come due automa in cerca di conforto.
Una sera mentre ero a letto con lo sguardo nel vuoto scendevano lacrime dai miei occhi, entro mia figlia si sedette sul letto e con le manine cercò di asciugarmele, avvicinò il suo viso appoggiandolo sul mio e sussurrò: “ Non piangere più, so quanto dolore stai provando, è così anche per me, so che anche tu provi terribili rimorsi ma ora non abbiamo nessun rimedio. Anche se non fosse successo nulla tra noi non sarebbe cambiato niente, la mamma sarebbe in ogni caso scomparsa.”
“ Lo so, non è morta per causa nostra ma mi manca terribilmente, dentro di me c’è il vuoto più assoluto, se non avessi te avrei voluto morire.”
“Se non ci fossi tu a mia volta non so se avrei superato questi tristissimi momenti, ma ora dovremo purtroppo convincerci che la vita continua anche senza di lei.
E’ trascorso quasi un anno da che abbiamo interrotto i nostri rapporti e malgrado questo io ti amo sempre più di prima. Ora anche se sono certa che non la potrei mai sostituire vorrei offrirmi a te come se fossi tua moglie.”
La guardai, la strinsi forte a me e ci baciammo ripetutamente, a distanza di un anno si mise nel letto al mio fianco. Rimanemmo abbracciati in una stretta consolatrice, fino a che ci addormentammo.
Da quella sera mia figlia dorme sempre con me e gradatamente abbiamo ripreso i nostri rapporti ma non più intensi come un tempo, ormai mia figlia è diventata la mia giovane moglie. Ora 2007 ho 61 anni, mia figlia ne ha 29 e nonostante i miei continui incoraggiamenti a formarsi una sua famiglia, non vuole sentir parlare di lasciarmi per un altro uomo. So per certo che sono stato il primo e non ne ha mai avuti altri.
Amelia, quanto sei stata troia…
hai visto più cazzi di un cesso pubblico…
Lei aveva 52 anni, ben portati, un matrimonio alle spalle e un secondo matrimonio con un uomo quindici anni più grande di lei. Io ne avevo 40, portati come me li porto, e mia moglie era via per lavoro. Amo mia moglie, ma ho bisogno di sentire il sapore della figa di un’altra, di tanto in tanto. Quindi mi ero organizzato per tempo, per quell’incontro. Non ho una particolare passione per le cinquantenni, ma Linda era l’unica, fra le sei donne che avevano risposto alla mia inserzione su di un fottuto sito a pagamento, a non chiedere soldi o “regali”, e dalle foto sembrava essere in splendida forma, quindi ho deciso di provare ad incontrarla. E mi ha conquistato, durante quell’incontro. Conquistato al punto che ad un certo punto ho deciso che sì, avevo voglia di leccare il buco del culo di quella donna, e avevo voglia di leccarlo subito. Che donna, gente. Fisico asciutto e tonico, direi più tonico del mio. Un sedere sodo e ben disegnato. Denti curati. Qualche ruga attorno agli occhi azzurri, labbra carnose tirate spesso in un sorriso obliquo, a sottolineare una qualche osservazione tagliente. Colta e spiritosa, capace di parlare di sesso senza usare eufemismi, con disinvoltura, e riuscendo a non risultare volgare nel farlo. Il che non è facile, quando sei in un locale pieno di gente a portata d’orecchio.
La sua storia poteva sembrare semplice: suo marito col sesso aveva chiuso. Via la prostata, fine della potenza sessuale, rifiuto, fine della vita sessuale della coppia. Lui non sapeva che lei cercava attenzioni altrove. Lei pensava che se lui fosse mai venuto a saperlo ne sarebbe stato umiliato. Ma lei ne aveva ancora bisogno, ne aveva ancora voglia. Internet aiuta, mi aveva detto: guardami qui, a parlare di sesso orale con un uomo dodici anni più giovane di me.
Tra un orgasmo e l’altro, Linda riprendeva fiato prendendosi in bocca il mio fidato soldatino semplice, leccandomi i testicoli e infilandomi la lingua nel sedere. La sua lingua si dedicava al mio buco del culo mentre mi masturbava lentamente con la mano destra. Poi tornava a mettermi il suo buco del culo sul naso e la sua figa in bocca, e ripartiva per farsi un altro giro. Ogni tanto mi succhiava, ogni tanto gemeva a basta. Ogni tanto si guardava allo specchio mentre me lo succhiava. Giocava coi testicoli. Mi infilava un dito nel culo, e io le infilavo un pollice nel suo. Poi veniva a gran voce, tanto la stanza era insonorizzata (bene, mi aveva detto quando le avevo letto dal cellulare la descrizione del motel, mi piacciono le stanze insonorizzate: mi piace gridare), spruzzandomi qualche gocciolina sul petto. Mi riprendeva il cazzo in bocca, e si ricominciava.
Io avevo ascoltato la tragica storia del marito prostatectomizzato, e avevo cominciato a sentirmi un verme nei confronti di quell’uomo.
Ma io una donna così continuerei a leccarla anche da impotente, avevo pensato.
Una donna così *merita* di essere leccata, che ccazzo.
Amico prostatectomizzato, mi spiace, ma io a questo punto mi lecco tua moglie, e me la lecco senza sensi di colpa. Se tu gliela avessi leccata lei non sarebbe qui per farsela leccare da me. Hai le tue colpe, bello mio, prostata o non prostata. Ti avranno levato chirurgicamente la prostata, ma lingua e dita ti sono rimaste, no? Usale, allora. Oppure non ti prendere male se su tua moglie finisco per usarle io. Oh. Avevo la coscienza a posto, a quel punto. E’ importante, avere la coscienza a posto. Eh? Mia moglie? Lo so, che si scopa il suo collega. Francamente non m’importa. Anche qui, coscienza a posto.
“Ho finito per crearmi questo alibi mentale”, mi ha detto lei alla fine di quel racconto. “In qualche modo mi sono convinta che se mi limito alle mani e alla lingua non lo sto tradendo. Ho sempre fatto così, e questo evidentemente alla mia coscienza è sufficiente”.
Io ho sorriso, un po’ sornione. “Ho sempre fatto così, hai detto. Sempre da quando? Sempre da prima dell’intervento alla prostata di tuo marito”?
Lei ha spalancato gli occhi e ha bevuto un sorso di negroni. “Chi sei, Sherlock Holmes?”
“Sgamata”.
“Ma tu guarda che tipo!”, ha detto, e poi è scoppiata a ridere. “Sì, sono quindici anni che ho questo tipo di scambio con una persona”.
“Una donna”, ho detto io.
Lei ha spalancato ancora gli occhi.
“Hai detto una persona, se si fosse trattato di un uomo avresti usato un qualcosa declinato al maschile”, le ho detto io.
“Devo stare attenta a quel che dico”, ha detto lei tirando un sorriso obliquo.
“No, è che mi piace fare il cagacazzi”, ho detto io. “Quindi sono dieci anni che non-tradisci tuo marito con una donna. Bene. Quindici anni, direi che si tratta di uno… come l’hai chiamato, prima? Scambio? Sì, direi che si tratta di una relazione di scambio piuttosto lunga”. Ho ridacchiato, ha ridacchiato.
“La situazione è più complessa”, mi ha detto lei.
“Sherlock si arrende”, ho detto io alzando le mani.
“Dai, provaci”, mi ha detto lei.
“Rinuncio”, ho ribadito io. “Più complessa del fatto che nascondi da quindici anni a tuo marito una relazione con un’altra donna? Impossibile”. Lei ha riso.
“Quella donna è la figlia di mio marito”, mi ha detto.
“No”, ho detto io.
“Sì”, ha detto lei.
Linda era accovacciata sul letto, guardando il proprio sedere spalancato riflesso nello specchio. I motel hanno specchi ovunque. Il gioco di specchi spesso è tale da permetterti di guardarti da sei punti di vista diversi mentre lecchi il buco del culo di una sconosciuta. Lì lo specchio principale era largo quanto tutta la parete al lato del letto. Uno era appeso al soffitto, e alzando gli occhi potevo avere la visone di me stesso mentre infilavo la lingua a stiletto nel sedere teso e umido di Linda, mentre facevo scorrere la lingua tra le sue natiche o le tiracchiavo con i denti le grandi labbra. Tolta la lingua da dentro il suo culo, atto accompagnato da un allegro rumore di risucchio, le avevo infilato il pollice della mano destra nel sedere, con le altre dita aperte sopra il sacro a cercare l’appoggio per la spinta ritmica del pollice. Il pollice della mano sinistra era affondato nella sua vagina lubrificata e tumida, la clitoride che scivolava lungo il mio indice mentre il polpastrello del pollice la accarezzava da dentro. La stimolazione anale le piaceva, le piaceva molto. La vagina e l’ano invischiati di lubrificante alla fragola schioccavano e producevano rumori umidi mentre le mie dita facevano il loro altalenante, sapiente lavoro. Quando veniva si lasciava andare con la faccia sul letto, ansimante, e io mi inginocchiavo dietro di lei, a leccarle il culo, sprofondando con la lingua dentro di lei, un mix di fragola e buco di culo che mi spalmavo in faccia mentre la mia lingua viaggiava da dentro la sua figa a dentro il suo culo e ritorno. Lei fremeva, gemendo ad alta voce, priva di ogni freno inibitorio, e le sue chiappe plastiche e sode sobbalzavano tremolanti ad ogni affondo di lingua, il suo ano si stringeva attorno alla mia lingua con un ritmo via via più frenetico, richiamando in gioco ancora una volta le mie dita. Sono sicuro che se le avessi puntato il pisello contro il buco del culo, a quel punto, si sarebbe lasciata penetrare. Ma non era negli accordi, giusto? L’accordo era leccarla, e ero lì per leccare. E usare le dita, e le stavo usando.
“Lei ha quasi quarant’anni, adesso. Quando le cose sono cominciate ne aveva venticinque. Usciva con un ragazzo, ma lui era un cretino. Siete sempre, cretini, almeno sino ad una certa età”. Avevo annuito, aveva ragione. “Mio marito era sempre fuori casa per lavoro, c’erano periodi in cui era a casa non più di un paio di week end al mese, e io e sua figlia abbiamo cominciato a passare parecchio tempo insieme. Non abbiamo mai avuto un rapporto simile a quello che si può instaurare tra una figliastra ed una matrigna. Quando ci siamo conosciute lei era già grande, sua madre era già morta da anni. Direi che siamo diventate amiche. Amiche sempre più strette. Finché… beh, una volta io stavo facendo la doccia. Lei è entrata in bagno per parlarmi, come faceva spesso, ma ad un certo punto si è spogliata e si è buttata sotto la doccia assieme a me. Non ho ben capito che cosa stesse succedendo sino a quando lei non si è inginocchiata e non ha cominciato a leccarmela”. Sbuffa. Ride. “Ce la siamo leccata a vicenda per tutta la notte, ci credi?”
“Assolutamente”, dico io. “E a proposito: ritengo sia doveroso informarti che ho un’erezione, in questo momento. Ma poi continuare il racconto, se vuoi”.
“Grazie”, ha sorriso lei. “E’ stata la mia prima volta con una donna. Mi sono ritrovata a godere del profumo della figa di un’altra, e non credevo sinceramente che mi sarebbe mai capitato. Non ci avevo davvero mai pensato. Oh, affondare la faccia dentro di lei e ingoiarne gli umori mi ha reso selvaggiamente eccitata. Venivo a ripetizione mentre mi leccava tra le gambe e mi penetrava con le dita. L’esperienza di sesso più coinvolgente della mia intera esistenza, davvero, mai provato niente di nemmeno paragonabile con un uomo, senza offesa. Lei è rimasta l’unica, donna. Una donna che viveva con suo padre e con la matrigna di lei, una donna che ad un certo punto ha smesso di frequentare uomini, e che faceva sesso solo quasi esclusivamente con me, solo quando mio marito non c’era”.
“E ora gli equilibri si sono rotti. Tuo marito non è più in giro per lavoro, e voi due avete perso gli spazi che vi eravate create nel corso di quindici anni di vita simil-coniugale”.
“Torna fuori Sherlock?”
“Ci ho preso?”
“Ci hai preso”.
Silenzio. Poi le ho chiesto ancora di parlarmi del sapore della vagina della figlia di suo marito, per favore.
Lei ha riso. “Rita”, mi ha detto, “si chiama Rita, e la sua figa sa di miele e di ferro, ed ha il più buon profumo di donna che tu possa immaginare”.
Dopo tre ore e mezza di gioco ininterrotto Linda era appagata e stanca. Chiazze rosse le spiccavano ai lati del collo e sul petto, tra i seni. Era madida di sudore, e i capelli le si erano appiccicati alla fronte. Il trucco era sbavato, il mascara le imbrattava le palpebre. Era venuta un’ultima volta nella mia bocca, si era liberata lentamente del mio pollice dentro il suo culo e mi aveva preso in mano il pisello. “Direi che adesso tocca a te, te lo meriti”, mi ha detto.
Mi ha fatto sdraiare supino sul letto, mi ha ribaltato le caviglie sopra la testa, si è accovacciata sul mio sedere spalancato e ha cominciato a leccarmi facendo degli ampi movimenti circolari con la testa. Calcava con la lingua quando mi passava sul buco del culo, e intanto mi masturbava lentamente usando la mano destra. Ogni tanto mollava il culo e si infilava il pisello in bocca. Poi tornava ai testicoli. Quindi ancora al culo. Poi nel, culo, con la lingua, a lungo. Quindi mi ha infilato due dita nel culo, e quasi non me ne sono accorto, anche perché la sua bocca che si chiudeva sul mio glande marmoreo e violaceo mi aveva distratto. Quando ha cominciato a muovere le dita dentro di me, massaggiando la prostata con i polpastrelli, ho capito che avevo a che fare con una che ci sapeva fare, ci sapeva fare parecchio. Torniamo alla prostata, già. E’ questo, quello che le manca, quello che cerca in me? Una prostata da massaggiare? Certo, anche un cazzo da succhiare. Sembra che le piaccia, succhiare il cazzo. Ma quanto le piace massaggiare una prostata? Quanto le piace avvertire l’eiaculazione prima con le dita che con la bocca? Le sue dita aumentavano il ritmo, le pressioni contro la mia prostata si facevano più pesanti, più insistenti. La sua bocca andava su e giù lungo il mio cazzo, bollicine di saliva le si erano formate ai lati della bocca, e la sua saliva mi colava lungo lo scroto. L’orgasmo, quando è arrivato, è stato una deflagrazione bianca, accompagnata dai colpi incessanti delle sue dita dentro di me e da contrazioni sconosciute che sentivo tra le viscere: l’orgasmo più forte della mia vita, senza ombra di dubbio. Schizzi violenti di sperma l’avevano colpita ripetutamente in viso, in bocca, sui capelli. Lei raccoglieva lo sperma con le dita e se lo infilava in bocca, ansimando. Lo strizzava dalle ciocche di capelli imbrattate e si leccava le dita, guardandomi negli occhi, le sue dita ancora dentro di me.
“Sei venuto bene, mi sembra”, mi ha sorriso, e io non ho trovato nemmeno la forza di risponderle. Le orecchie mi fischiavano. Avevo le scintille davanti agli occhi. Wow. Cosa non fanno due dita nel culo, gente. Più tardi, in un bar della zona, bevendo un caffè, Linda ha voluto che le descrivessi il suo sapore, e ascoltata la mia descrizione ha insistito per descrivermi il mio, ed io ho fatto la figura del dilettante che giudica un vino di fronte ad un sommelier professionista. “Il massimo che mi hanno detto in passato è che sa di cantina”, ho commentato io (ed è vero, lo diceva una mia ex).
“Non ho capito una cosa”, le ho detto prima di salutarla, “E perdonami se te la chiedo, ma io sono uno che su queste cose finisce per farcisi delle seghe mentali infinite, devo sapere, è più forte di me”. Lei mi ha fatto segno di continuare.
“Mi hai detto che con Rita il sesso è grandioso. Io stasera con te ho fatto, credo, più o meno quello che può farti Rita, che è dotata di lingua e di dita, esattamente come me”. Sorriso obliquo, e mi fa cenno di andare avanti.
“Quindi perché sei venuta a giocare con me? Senti la mancanza di un pisello da succhiare? O, e perdonami se la butto giù così brutale, ti manca una prostata da strizzare con le dita?”
Lei ha riso. “Stavolta non ci hai preso, Sherlock”.
“Cos’è, allora?”
“Sperma. Il sapore dello sperma, ragazzo mio. E il tuo è ottimo. Posso presentarti un’amica, la prossima volta?”
Rimango sorpreso. Un’amica? “Chi? E perché?”
“La mia amica Rita”, mi ha detto lei alzandosi e prendendo la sua borsa. Quindi mi ha dato un bacio sulla guancia. “Il perché lo scoprirai da solo”.
Fetish
Scrivo questo racconto per condividere pensieri, sensazioni, commenti con persone che provano il mio stesso piacere, vale a dire, la passione verso l’abbigliamento femminile, in particolare con ordine di importanza, le calze di nylon possibilmente in seta con reggicalze, collant, mutandine, reggiseni, scarpe rigorosamente con tacco, guepiere, body in nylon o rete, calze a rete, guaine con ganci da reggicalze, culotte, ecc. Questa passione la provo quando una donna indossa quei capi, ma anche quando sono io ad indossarli, e mi eccita ancor di più quando sono a conoscenza di chi, persona femminile, ha indossato quei capi.
Ho 47 anni sono nato nel 1964, sono eterosessuale, sposato con figli. Negli anni 60-70 molte erano ancora le donne che portavano il reggicalze e le calze di nylon, gli anni 80-90 hanno fatto si che il collant fosse più comodo e fosse preferito alle calze con reggicalze, gli anni 2000 addirittura la maggior parte delle donne porta i pantaloni, che peccato !!!
Tanto per capirci, trovo quasi molto più eccitante uno spacco di una gonna con delle belle gambe fasciate da una calza, un decoltè che lascia trasparire il pizzo di un reggiseno che una donna completamente nuda, con questo non voglio dire che disdegno una donna nuda, assolutamente, ma voglio far capire la dipendenza che ho con l’intimo femminile in generale.
Ora vorrei raccontarvi quando e come, mi sono accorto di avere questa stupenda passione, per fare ciò devo partire da qualche anno addietro.
Prima parte
Ho scoperto la masturbazione verso i 5 anni, strofinando il pisellino sul cuscino, avvertendo degli s**tti di piacere. A 6 anni abitavo in affitto con i miei in un condominio con il cortile comune ad altri condomini, una ragazza li vicino, più vecchia di me, un giorno mi fece entrate nella sua portina, dal lato cortile, si tirò su la gonna, giù le mutandine e mi chiese di farle vedere il pisello, io lo feci con molta timidezza e dopo avermi chiesto di mettere il pisello dentro il buchetto della sua farfallina, scappai terrorizzato.
Ci pensò un mio amico, 2 anni dopo, a farmi capire il vero movimento del piacere, questo lo potè fare grazie all’esperienza carpita dai due suoi fratelli maggiori.
Praticamente tutti i giorni ci masturbavamo parecchie volte al giorno, senza l’aiuto dell’altro, cioè ognuno masturbava se stesso, in un qualsiasi posto appartato che trovavamo, in cantina, in garage, in solaio, Ci scambiavamo alcuni giornaletti come “Jacula” “Messalina” “Lando” ecc. trovati nei parchi e nelle zone dove le coppiette andavano a scopare.
Allora dal pisellino usciva una sola e piccola goccia di liquido bianco trasparente e basta, il tutto era accompagnato da 3 o 4 s**tti di piacere.
Un giorno questo mio amico venne a trovarmi a casa mia, i miei non erano in casa per tutto il pomeriggio, ed ad un certo punto mi chiese cosa indossava mia madre sotto la gonna oltre alle mutandine, vale a dire se i collant o le calze con reggicalze, io che sinceramente non mi ero mai posto quella domanda, lo portai al comò dove mia madre riponeva l’intimo.
Con stupore, ammirazione, eccitazione, il mio amico, ma anch’io, dopo aver visto tutta una serie di calze di nylon di tutte le tonalità del marrone dalla più chiara alla più scura, più altre di color grigio e un paio nere, guaine con i ganci da reggicalze bianche, nere, color carne, mutande in pizzo, bustini, sottovesti, reggiseni ecc., mi chiese se poteva masturbarsi toccando l’intimo, sedendosi su una poltrona li vicino. Tutto subito non fui molto d’accordo, ma poi mi convinsi a lasciarlo fare, così avrei potuto di conseguenza, farlo anche io, con l’intimo di sua madre. Paolo iniziò a prendere le calze di mia madre, infilando il pisello dentro, prima in una, poi in un’altra, si masturbava con una eccitazione incredibile, l’affanno si faceva sempre più sentire, prendeva le guaine, le toccava, prendeva le mutande, le odorava, leccava le calze ecc. Questo suo crescere di eccitazione mi fece a mia volta diventare il pisello duro come l’acciaio e mi portò a masturbarmi. Quando Paolo scegliendo una calza di color nero con la riga, che lo faceva impazzire, mi chiese se poteva venirgli dentro, prima di potergli dire di si, mi ero già bagnato la mano con tre o quattro gocce di liquido bianco. Ero venuto nel giro di pochi secondi. Nel frattempo il mio amico, con un’aria godutissima, venne dentro la calza di mia madre. Mi eccitai al massimo, vedere uscire le gocce dal pisello del mio amico sporcando la calza di nylon di mia madre e pensando che le avrebbe indossate sporche di sborra, mi fece ridiventare duro il cazzo. Non riuscii a trattenermi nel ritoccarmi ancora, naturalmente anche a Paolo, non bastò una sola sega, prese una mutanda in seta bianca con pizzo e si masturbò avvolgendo il pisello nelle mutande, fu la seconda sega, poi una terza dove Paolo venne all’interno della coppa di un reggiseno color carne (mia madre porta una bella quarta), infine la quarta sega, dove il mio amico, fece solo più un filino di sperma e lo lasciò sopra un reggicalze nero a 6 ganci. Anche io arrivai al quarto piacere, con una soddisfazione incredibile, avevo le palpitazioni, due cose mi eccitavano tantissimo, una, era il vederlo venire con l’intimo di mia madre, due, il pensare, mia madre vestita con i quattro pezzi di intimo sporcati di sperma dal mio amico.
Passarono diversi giorni prima che potessi trovarmi a casa del mio amico e poter usufruire io, dell’intimo di sua madre. Finalmente arrivò quel giorno, avevamo a disposizione la casa per tutto il pomeriggio. Ricordo l’eccitazione che mi saliva fino in gola, quando vidi, l’armadio, con all’interno i cassetti, che contenevano quelle favolose cose intime. Iniziai a toccare le calze, odorarle, leccare le mutandine, ecc. e fu proprio in quel momento che Paolo mi chiese: hai mai indossato l’intimo di tua mamma?…rimasi per un attimo titubante…quasi non avevo a pieno capito la domanda…poi il mio amico togliendosi i jeans e le mutante si infilò quelle della mamma, prese un reggicalze nero, delle calze color carne e le indossò…dicendomi di fare altrettanto.
Mi ricordo come se fosse ora, scelsi delle mutandine bianche trasparenti, un reggicalze bianco e delle calze nere a rete e le indossai. Ci aiutammo a vicenda nell’infilarci i reggiseni. Ci sdraiammo sul letto matrimoniale dei suoi genitori ed a quel punto Paolo mi disse: chiudi gli occhi… e prendendomi la mano la posò sulla sua coscia fasciata dalla calza, cazzo…cazzo…sembrava quasi di toccare una donna vera…lui fece lo stesso, socchiuse gli occhi e con la mano mi toccò il pisello, io di conseguenza, eccitato come un toro, feci lo stesso. Ci masturbammo a vicenda, prima venne lui che girandosi verso di me mi bagnò la coscia con le sue gocce calde di sborra, poi a mia volta feci lo stesso, venni con una intensità stratosferica, sulla sua coscia e precisamente sul bordo della calza della mamma. Anche in questa occasione non ci bastò una sola sega. Dopo esserci cambiati, indossando altri capi intimi della mamma, mi venni addosso e precisamente su una guepiere bianca in raso. La terza fu dentro una calza marrone scuro, bellissimo vedere sborrare il pisello nella trasparenza della calza. Mentre la quarta fu anche per me solo più un filino e lo feci posare su un reggiseno nero.
Da queste esperienze, avevo scoperto che mi dava un piacere immenso, indossare un capo intimo femminile, soprattutto se di una donna che conoscevo e avevo anche scoperto una sensualità notevole in mia madre. Da allora iniziai a far caso a certi particolari, come il rilievo dei ganci del reggicalze sotto una gonna aderente, le calze nere con la riga, una scarpa col tacco che le slanciava le belle gambe, ecc. Ricordo, quando mia madre, la domenica mattina, mi svegliava verso le 9,30 del mattino, entrava in camera, tirava su la tapparella, girava per qualche minuto, sistemando ciò che era in disordine; tutto questo sempre ben vestita, perchè pronta per andare a messa, alcune volte indossava anche le scarpe coi tacchi. Molte volte mi svegliavo prima, mi toccavo il cazzo sempre in alza bandiera, arrivavo quasi a godere, aspettavo, entrava mia madre in stanza, quando girata di schiena, potevo vederle il culo, il rilievo del reggicalze sotto la gonna, le gambe fino a sopra il ginocchio fasciate dalle calze di nylon e le scarpe col tacco, mi lasciavo andare, sborrando a non finire. Provai, anche d’estate, a porre mia madre in una situazione un po’ imbarazzante, vale a dire, facevo finta di aver sonno e di non riuscire a svegliarmi, con il pisello duro e fuori dal pantaloncino del pigiama, con le lenzuola ai piedi, la prima volta, prese le lenzuola e le tirò su, la seconda volta, si fermò solo qualche secondo a vedere il pisello, la terza, inizialmente uscì dalla stanza per poi rientrare alcuni minuti dopo e avvicinandosi senza far rumore mi sfiorò il pisello per alcuni attimi, mettendolo dentro al pigiama, fu un momento magico. Appena uscita dalla camera, mi feci un segone mega, immaginando mia madre inginocchiata al bordo del letto, mentre mi stantuffava il cazzo, toccandole le tette e alzandole la gonna sentendo i ganci del reggicalze, toccarle la balza delle calze, per poi finire nel sborrarle nelle mani.
Innumerevoli furono anche le volte che la spiavo dal buco della serratura della porta del bagno, sia mentre si accingeva a svestirsi e sia all’uscita dalla vasca, curava molto i suoi piedi, le sue mani, il suo corpo. Imparando la routine del bagno, riuscii a farmi una sega da sballo, mentre si smaltava le unghie del piede destro, poggiato sopra l’angolo della vasca, immaginate la visione laterale dei peli e delle labbra della figa che si intravedevano mentre si smaltava di rosso le unghie dei piedi. Eccitante era anche vederla spalmarsi su tutto il corpo, alcune creme idratanti, in particolare, venni varie volte, mentre spalmava una crema in mezzo alle gambe, immaginando che fosse il mio sperma. Godetti più volte anche guardandole il seno ed in particolare, immaginando di venirle sui bellissimi capezzoli rosei. Venni varie volte nel barattolino della crema, la medesima che si sarebbe spalmata facendo il bagno.
Andavo a rovistare nella cesta dei panni sporchi, trovando sempre calze e mutandine odorose di figa materna.
Io e Paolo riuscimmo diverse volte a ripetere le performances raccontate in precedenza, sia a sua casa, sia a casa mia. Fu molto interessante. Pensate che condivisi con lui anche un paio di mutandine cadute sul mio balcone, dalla signora del piano di sopra, erano lavate a mano ma ancora odorose di figa e di sangue. Siamo riusciti a leccare tutto.
Ricordo ancora, la sua contentezza, quando mi fece vedere, in un sacco di plastica, quattro paia di scarpe da donna, qualcuno le aveva buttate, ma lasciate vicino al cassonetto dell’immondizia, una paio color verde smeraldo con tacco da 12 cm, un paio color bianco con tacco da 8 cm, un paio di stivaletti e delle ballerine nere che vi assicuro avevano un bel profumino.
Nel periodo invernale andammo molte volte verso le 18.00 di sera, quindi con il buio, a spiare le coppiette che scopavano in macchina…anche li ci facemmo tante di quelle seghe…che non vi dico.
Una sera vedemmo in auto una coppia che pomiciava, un uomo li spiava in prossimità dell’auto, questi si avvicinò piano piano alla coppia con il membro completamente fuori dal pantaloncino, aveva un cazzo piuttosto lungo e grosso, la donna tirò giù il finestrino e facendo avvicinare l’uomo, gli prese il membro con la mano e dopo averlo segato, lo mise in bocca, così, come se niente fosse. Lo stava non solo, mettendolo in bocca, ma lo stava decisamente ingoiando. Io e Paolo ci guardammo con una faccia che lasciava trasparire un godimento infinito e un’occasione da non perdere assolutamente. Non facevamo in tempo a far diventare molle l’uccello che già iniziavamo un’altra sega.
Un altro episodio singolare fu quello di aver scoperto che le chiavi della cantina di mio padre aprivano altre cantine del condominio ed in particolare, in una di queste, oltre ad un plastico favoloso di trenini elettrici della Lima, trovammo in uno s**tolone una raccolta di svariati anni di Playboy e in una scarpiera tante paia di scarpe da donna che individuammo subito essere della signora dell’ultimo piano, appassionata di scarpe.
La visione di tutte queste bellissime scarpe, inizialmente, ci indusse alla tentazione di rubarle e nasconderle mettendole in un nostro posto segreto, ma poi capimmo che non saremo più riusciti a utilizzare altre nuove scarpe che la signora andava a deporre in cantina, probabilmente per liberarsi le scarpiere in casa.
Quante volte provammo a camminare con i tacchi, quante volte ci siamo masturbati odorando le scarpe della signora, (avevano un odore favoloso), quante sborrate facemmo su quelle scarpe e sugli stivali ecc. La cosa più bella avveniva quando incrociavamo la signora per le scale e guardandole le scarpe vedevamo se quelle era state sborrate da me o da Paolo.
Poi purtroppo i genitori di Paolo dovettero trasferirsi e non lo vidi mai più.
Parte seconda
L’assenza di Paolo mi lasciò un grande vuoto. Nel frattempo legai con un ragazzo di nome Davide. Era molto timido. Con lui però, non ci fu, inizialmente, la stessa confidenza come con Paolo. Si parlava di seghe, di figa, di lingerie, ma senza molto affiatamento, l’unica cosa che riuscii ad avere… sono state le calze di sua mamma, color carne chiare, semi usate, riposte nel comodino, che gentilmente mi aveva dato sapendo che mi sarei masturbato con le medesime. Nel consegnarmi le calze di sua madre mi lasciò carpire che la cosa lo eccitava, infatti un giorno a stento mi confidò, che si era masturbato pensandomi mentre mi segavo e venivo nelle calze della mamma. Quelle calze diventarono rigide, tante furono le sborrate che gli feci dentro, dopo naturalmente averle annusate al bordo, per percepire l’odore della figa e al tallone per l’odore del piede. Con le calze di nylon, avevo già imparato ad infilarmi la punta delle calze nelle rispettive narici, per sentire l’odore dei piedi, leccavo il tallone sudato delle calze che rilascia un sapore favoloso e facendo scendere la calza fino al cazzo riuscivo ad avvolgerlo di nylon per poter venir dentro con tutta la libertà di questo mondo.
Avevo 11 anni e già mi ero reso conto che il godere con qualcosa di intimo femminile, mi avrebbe eccitato moltissimo.
In un’altra occasione, ci trovammo soli in casa, gli chiesi se mi faceva vedere dove la mamma riponeva i capi intimi, lui mi portò in camera da letto, apri il primo cassetto del comò e con ammirazione il mio sguardo cadde su delle belle cosette. Gli chiesi se mi lasciava andare in bagno con un paio di mutande per segarmi e lui mi disse che potevamo andare in camera sua, anche perché si sarebbe masturbato anche lui. Così facemmo, ci sedemmo sul suo letto, io avevo portato le mutande ad altezza naso per odorare il profumo, lui al mio fianco si toccava guardandomi. Ad un certo punto provò a toccarmi il cazzo, fu in quel momento che mi confermò la sua tendenza omosessualità, che per quanto mi riguarda, inizialmente non mi attraeva più di tanto. Comunque lo lasciai fare, mi allungai sul letto, continuando a odorare le mutande della mamma, chiudendo gli occhi. Dopo qualche minuto Davide si inginocchiò e si mise in mezzo alle mie gambe, mi alzai e non feci in tempo a dire una parola che si mise il cazzo in bocca. In quel periodo, bastava anche solo un battito di ali di farfalla per farmi venire, devo quindi ammettere che sentire in mio uccello nella bocca del mio amico, non mi dispiaceva affatto. Me lo scappellava piano piano, mi baciava la piccola cappella, me lo leccava su tutta la lunghezza fino a raggiungere la testa. Ad un certo punto senti il mio sperma uscire e venni nella bocca del mio amico che la tolse solo dopo tutti gli ultimi schizzi di piacere. Sul momento mi piacque molto il pompino che mi fece, nessuna bocca fino ad allora l’aveva succhiato, ma andando a casa quel pomeriggio, pensai di non ripetere più altre volte quell’esperienza.
Invece, non andò proprio così, i genitori di Davide erano al lavoro, come tutti i pomeriggi, dopo aver fatto qualche parola riguardante la musica, iniziai a dire che mi stava diventando duro il pisello, solo al pensiero di potermi di nuovo masturbare con qualcosa di intimo di sua madre. Andammo nuovamente in camera e dopo aver scelto delle calze marroni scuro, ci ritrovammo ben presto sul suo letto. Davide aveva scelto un paio di mutande nere in raso e pizzo. Avevo infilato il cazzetto in una delle due calze e l’altra la odoravo, mentre il mio amico con le mutande della mamma le sfrusciava sul pisello. Aveva la cappella sproporzionata rispetto al membro, era molto grossa e rossa. Fu la prima volta, che mi venne voglia di prendere in bocca un uccello, il vederlo sfrusciare freneticamente mi aveva eccitato non poco. Mi chinai e lo misi in bocca, succhiavo molto forte quasi con la forza di un’aspirapolvere, con la lingua sentivo il taglio della cappella, mi muovevo tutto intorno senza però troppo scappellarlo, perchè aveva dato segno di non gradire molto. Nel frattempo, lui mi toccava il cazzo dentro la calza trasparente marrone…mi ero prefissato di venire nello stesso momento in cui avessi sentito i primi schizzi caldi di sperma nella mia bocca e così andò. Fu un’esperienza particolare che non ci dispiacque affatto. Insomma ci toccavamo, ci spompinavamo, con l’intimo della mamma, era molto eccitante. Un giorno, la madre scoprì su una calza, dello sperma secco (sicuramente il mio, cercavamo sempre di asciugare, prima di riporre il tutto a suo posto, probabilmente rimase qualcosa) e fece una brusca romanzina a Davide pensando fosse lui, quando me lo raccontò ci ridemmo sopra non poco, per non rischiare, decisi di non venire più nell’intimo della madre, ma lo potevo sempre odorare. Andammo avanti tutta l’estate, un pomeriggio dopo esserci sdraiati nel letto, mi chiese se volessi provare a infilargli il pisello dentro il buco del culo. Gli dissi di si, solo se si fosse indossato una mutanda della mamma, ne scelse una bianca trasparente e se la indossò. Il buco del culo era molto piccolo e non avendo avuto precedenti esperienze, con il mio cazzetto da giovane, quindi non ancora del tutto sviluppato come quello di un adulto, ma molto duro, spostando da un lato le mutandine, provai ad infilarlo pian piano. Era incredibilmente eccitante sentire il buco del culo con la cappella del pisello, quando iniziai a sentire le pareti dell’ano, mi vennero i brividi fino alla punta dei piedi. Quando il cazzo fu completamente dentro ci girammo da un lato, iniziai a muovermi freneticamente, sentivo già i primi s**tti di piacere, buttai un occhio al suo cazzo che era durissimo, non feci in tempo a guardarlo, che iniziò a fare dei filini di sperma, stava praticamente venendo senza toccarsi, eccitato dal sentirmi dentro al suo culo. Quella volta avevo scelto delle calze di nylon velatissime color grigio chiaro e una delle due la infilai sul suo pisello, poco dopo averlo visto venire dentro, glielo presi in mano e scappellandolo piano piano con la calza fradicia, lo feci godere fino in fondo.
Quella scena, mi portò dopo pochi secondi a venire nel culo di Davide con un’intensità favolosa. Dopo essermi sfogato per quasi tutta l’estate, iniziai a capire che era l’ora di giocare con una figa. Piano piano non ci frequentammo più.
Non molto lontano da casa mia, c’era una merceria dove mia madre, andava a comprare. Entrai diverse volte con lei e vi devo confessare che ero eccitatissimo a vedere mia madre comprare calze, ecc. e a vedere l’intimo esposto nel negozio, da ogni parte che mi girassi c’erano capi interessanti, sognai di trovarmi all’interno del negozio di sera e man mano aprire tutte quelle s**tole e scoprire il favoloso contenuto. Questa merceria, aveva all’angolo del negozio, una vetrinetta formata da montanti in alluminio e da un vetro antisfondamento. Erano sempre esposti collant, mutandine, guepiere, ecc. Un giorno passando li, scoprì che un camion facendo retromarcia, aveva in pieno colpito la vetrinetta, accartocciandola da un lato, e lesionando tutti i vetri delle pareti, ma senza infrangerli. Il contenuto era ancora tutto nella vetrinetta. Il mio occhio andò immediatamente a cadere alla base e vedendo che era formato da un semplice piano in legno foderato, pensai di ritornare e fare un bel bottino. Tornai di sera sul tardi, infilando il braccio, da sotto il piano in legno rotto in un angolo presi tutto quello che mi interessava. Mi portai a casa una gupiere bianca a fiori da sballo, calze da reggicalze in sete, di varie taglie e colori, collants di vari colori e denari, insomma tutte marche di alta categoria.
In estate con i miei si andava in un paesino dell’entroterra in puglia a trovare mia nonna, mamma paterna e ci si soggiornava per circa un mese. Andavamo in treno con al seguito l’auto. Un anno nel viaggio di andata, gli scompartimenti della 2^ classe erano formati da 6 posti a sedere, si partiva alle 21.00 di sera e si arrivava al mattino alle 8.00, ci sistemammo e verso le 22.00 tirammo in avanti i sedili, uno con l’altro formando una specie di letto dove si potevano distendere i piedi. Nello scompartimento c’ero io, mio padre, mia madre una coppia di anziani e una signora di circa 50 anni, era una signora piacente, vestita semplicemente, una camicetta, una gonna corta, delle calze di nylon marroni. La sistemazione era la seguente: io mi trovavo verso il finestrino, la signora di fronte, mia madre al mio fianco destro, mio padre di fronte e verso l’uscita la coppia di anziani. Tutti quanti trovammo una posizione comoda per poter affrontare la notte, la signora si allungò e mise i piedi tra me e mia madre. Tutti si addormentarono tranne il sottoscritto, rimasi per parecchio tempo a pensare se provare a toccare le gambe della signora o se solo masturbarmi guardandole nella penombra. Avevo il pisello duro come l’acciaio. La signora sembrava dormire, ma c’era da fidarsi a toccargli i piedi?…e se si fosse svegliata, che figura di cacca, facevo davanti ai miei? Era la prima possibilità che mi si presentava di toccare una donna vera. Avevo il cuore in gola. Mi feci coraggio e provai a sfiorarle le dita dei piedi fasciate dal rinforzo della calza, poi le sfiorai il dorso del piede, il tallone, il polpaccio, peccato che il quella posizione non riuscii ad arrivare alla coscia e alla balza della calza. Che sensazione incredibile sentire il nylon fasciare le gambe della signora. Ad un certo punto, la signora si girò da un lato, spostò i piedi e me li posizionò ancora più vicino, feci un’altra stupenda prova, strusciai il pisello sulla calza, ricordo che bastarono poche volte, per venire in maniera strepitosa, la sporcai con qualche goccia di sperma, praticamente ero venuto solo per lo sfregamento della cappella con il nylon. Decisi di addormentarmi, ma dopo circa dieci minuti, il mio pisello diventò nuovamente duro, non ne voleva sapere di dormire, mi abbassai piegandomi fino ad arrivare con il mio viso vicino ai piedi della signora. Baci, leccai, odorai, i piedi della signora, odoravano di cuoio delle scarpe e di sudore…bastarono due annusate e voilà…di nuovo un piacere intenso. In quella posizione, potei finalmente, arrivare a toccarle anche le cosce…mmmmm, ma soprattutto riuscii ad arrivare alla balza e ad un gancio del reggicalze, la mano si era intrufolata, tra la calza e la sottoveste probabilmente in raso, era di un liscio incredibile. Arrivò il terzo godimento, fu meraviglioso.
Lo feci altre due volte, una di queste tornai ad annusarle i piedi, l’altra tirandomi su mi permise di strusciare nuovamente il pisello scappellato sul dorso del piede, era favoloso sentire il nylon sfiorarmi la cappella, insomma arrivai a quota 5 seghe mega. Al mattino mia madre mi chiese se ero riuscito a dormire bene, avevo due occhiaie!. Non si ripresentò mai più una situazione del genere, peccato, ma mi servì per capire che era eccitante toccare una donna sconosciuta e per di più nel sonno.
Questo periodo fu molto bello, spensierato, e soprattutto molto proficuo per quanto riguarda la mia passione. Come forse tutti non sanno, in questi paesini quando si ha un lutto in famiglia, dalla moglie alle figlie ecc. era d’obbligo vestirsi di nero. Voglio precisare che allora il colore delle calze e dei collant che preferito era proprio il nero, non facile da trovare in città. Un’altra cosa che va spiegata è la seguente, questo paesino era formato al 70% da vecchie case, quindi su un piano solo o eventualmente due, dandomi la possibilità di reperire roba intima facilmente. Un giorno, andando a messa, per far piacere ai miei, vidi in un banco davanti a me sulla sinistra, una signora giovane, molto elegante e bella, tutta vestita di nero, con calze nere con riga molto trasparenti, così tanto da lasciare intravedere il color roseo delle gambe. Usciti da messa con il cuore in gola la seguii ed individuai dove abitava e dove poteva eventualmente stendere il suo intimo. Per giorni e giorni passai di lì a dare un’occhiata, senza grossi risultati, ma la mia perseveranza un giorno mi premiò vedendo uno stendi bagno pieno zeppo di roba nera, era così tanta che dovetti escogitare un piano per poter razziare tutta quella roba, andai velocemente a casa di mia nonna, presi il mio zainetto, ritornai un po’ più tardi in zona, sapevo di rischiare, ma l’eccitazione di possedere quella roba era 10000 volte superiore alla paura. Lo zainetto era così pieno che sembrava una mongolfiera. Bottino: quattro paia di calze nere in seta di cui un paio con la riga, una guepiere, un body, diverse mutandine in seta e culotte in raso, reggiseni, guaine con ganci da reggicalze, due gonne, una camicetta in seta ed infine una maglia in cotone. Fu una manna per quei tempi avere quella roba. Potei vestirmi quasi completamente con l’abbigliamento di quella stupenda e giovane signora, un sogno che diventò realtà. Sento ancor ora nelle mie narici il profumo stupendo di quei capi. Era troppo rischioso tenere lo zainetto in casa e siccome mi piaceva molto girare per lungo e per largo tutte le stradine del paesino, fu proprio in questo modo, che trovai in periferia un casotto semi abbandonato in un oliveto, dove potei nascondere l’intimo.
Andavo periodicamente al casotto e sapendo che quel ben di Dio, trascorsa la vacanza, non l’avrei potuto portarlo interamente a casa mia, mi portò pian piano a fare delle sborrate libere sugli indumenti.
In quella stessa vacanza ebbi un amore platonico con una fidanzatina e un incontro ravvicinato del “terzo tipo” da parte di una delle tante cugine, più vecchia di età, la più porca, che avevo li al paese. Facendola breve, mi trovai con lei, in uno sgabuzzino, nella rimessa molto grande di suo padre, imprenditore edile, con la scusa di doverla aiutare a cercare qualcosa che ora non ricordo cosa fosse. Mi iniziò a chiedere se avevo la fidanzata, se avevo baciato una ragazza e se lo avevo fatto con la lingua, ecc.
Mi ricordo il vestito a fiori che indossava e sedendosi su un ripiano di fortuna, accavallava le gambe come se fosse una porno-star, lasciandomi intravedere le mutandine bianche. Piano piano si avvicinò sempre di più e prendendo la mia mano se la mise sotto la gonna, sopra le mutandine, all’altezza della figa, sentivo il taglio, ero molto eccitato, ma allo stesso tempo molto ansioso, non sapevo esattamente cosa dovevo fare e allora presi a muovere le dita su e giù per il taglio, lei dopo poco, strinse così forte la mia mano nelle sue cosce, che non riuscivo quasi più a muovere le dita, questo non le creava nessun problema, anzi nel giro di pochi minuti ansimò come…come…non so che cosa…decidete voi…poi, per premiarmi del piacere datole, mi infilò la mano nei pantaloncini corti che indossavo, passando prima da una coscia poi dalla patta, mi masturbò ma non riuscii a venire, non so ancor ora darmi una spiegazione di tutto ciò, so solo che questa mia cugina si incazzò molto e non mi parlò più per tutta l’estate.
Purtroppo non avevo ancora quella malizia che si può avere ad un’età più avanzata. Nel frattempo tornato dalle vacanze mi trasferì in un altro condominio, formato da 12 famiglie.
Ebbi le prime amicizie femminili, vale a dire in una di queste famiglie c’erano due sorelle, Monica e Manuela e in un’altra, una ragazza bellissima, della stessa mia età, che si chiamava Antonella e la sorella, gran figa, Patrizia.
Devo per forza raccontare due avvenimenti fantastici che mai dimenticherò e precisamente una festa di carnevale nella tavernetta dei genitori di Antonella e un capodanno a casa di Monica e Manuela.
Nella tavernetta di Antonella eravamo circa una dozzina di persone tra ragazzi e ragazze, Antonella mi aveva già eccitato tutto il pomeriggio, con il suo vestito da spagnola, non so se rendo l’idea, vestito nero, calze nere a rete, con copri spalle e scarpe di color rosso. Dopo aver ballato, bevuto, mangiato, giocammo al gioco della bottiglia, dove riuscì per culo a vincere, un bacio da una ragazza, un’ altro bacio con lingua da un’altra, ma il mio pensiero era sempre rivolto ad Antonella. Avevo il cazzo durissimo e quindi decisi di andare al bagno per farmi un gran segone. In quel bagno, piuttosto spartano, scoprì che le ragazze si erano cambiate per indossare i vestiti di carnevale e quindi avevano lasciato delle borse che contenevano, potete immaginare che ben di Dio. Rubai un collant nero molto trasparente, forse un 15 denari, e per la prima volta provai eccitazione per un paio di scarpe di color rosso con un tacco da circa 8 cm. Strofinai la mia cappella, quelle poche volte che bastano, all’interno di quelle scarpe rosse e fu una sborrata colossale. Pulì alla meno peggio le scarpe e proseguì la festa.
Nel corso del tempo, riuscii a rubare dei collant ad Antonella perché abitava al piano terra. Avevo 13 anni non si parlava più di gocce bianche, ma di due o tre schizzi di sborra bianca ma decisamente più densa.
Un anno dopo, mi trovai, invitato insieme ad altre persone, a casa di Monica e Manuela, a festeggiare il capodanno, i genitori a loro volta festeggiavano il capodanno fuori casa, Avevamo la casa a completa disposizione. Si era deciso di aspettare la mezzanotte guardando la televisione, inizialmente sembrava uno di quei capodanni, pallosi al massimo, dove non vedi l’ora di tornare a casa, fino a quando su un divano andò a sdraiarsi Monica per godersi la visione dello spettacolo televisivo, dopo pochi minuti le si avvicinò una sua amica mi sembra si chiamasse Elena e si sdraiò vicino a lei. Nella mia timidezza, scelsi il posto più indietro di tutti, cosa vuol dire, che davanti a me c’era una schiera di sedie con ragazzi e ragazze imbambolati davanti alla TV in bianco e nero e tra loro e la mia posizione, a sinistra, c’era il divano con le due ragazze sdraiate, la luce proveniva solamente dallo schermo della televisione. Con la scusa del freddo si misero un plaid addosso…e cominciarono a baciarsi e toccarsi…immaginatevi di che dimensione e durezza poteva essere il mio cazzo in quel momento! Provai a toccarmi il cazzo da fuori i pantaloni ma l’ansia di essere beccato da tutti a toccarmi, mi fece riflettere e abbandonai quella soluzione. Pensai allora di provare a venire muovendo il muscolo dell’uccello ritmicamente, le gambe fasciate da un collant color carne che fuoriuscivano dalla coperta, i movimenti, che provocavano le ragazze, erano tremendamente eccitanti. Godetti come non mai, senza toccarmi, fu favoloso.
Nel frattempo passata la mezzanotte, qualcuno ebbe la bella idea di giocare a nascondino al buio in casa, tenete presente che il loro alloggio era quasi il doppio di quello dei miei genitori, quindi si prestava benissimo al gioco.
Si fecero varie conte, in una di queste, mi trovai a nascondermi nella camera di Manuela, aveva qualche anno in più di me ed era una bella tipetta, non persi tempo e cercai la roba intima, provai nel comò, niente, provai nell’armadio, niente, al buio completo, naturalmente non era facile vedere, poi ebbi la fortuna di scorgere in un angolo una cassettiera molto alta, con circa otto cassetti molto stretti, li, trovai il paradiso. Rubai un paio di mutandine (bianche) e due collant (uno marrone scuro con tassellino bianco zona figa ed uno blu) e feci la stessa cosa nella stanza di Monica, rubando due collant (uno nero ed uno marrone). Verso le 4 tornammo a casa, io, giuro con 4 collant e un paio di mutandine infilati nelle mie mutante. Incredibile, ma vero. Indossai più volte quei collant e quelle mutandine…quante mega seghe. L’eccitazione era sempre più grande, perché sapevo che quell’intimo era di Manuela e di Monica.
Parte terza
Ho sempre praticato molti sport, ma mi voglio soffermare sul nuoto e sul tennis, perché in ambedue le circostanze sono entrato nello spogliatoio femminile sapendo di non incontrare nessuno, e con una velocità incredibile, portar via dalle borse, mutandine, collant, anche gambaletti usati. La curiosità di odorare i gambaletti mi ha portato a capire che ogni piede femminile ha un suo proprio odore. Questo è bellissimo.
In questo periodo mi ricordo accadde un episodio molto buffo, di fronte al nostro condominio si era sposata una giovane coppia, che dopo circa una settimana, aveva steso, allo stendi bagno, fuori dal balcone al piano terra, precisamente un reggiseno, uno slip, un reggicalze, un paio di calze tutto di color bianco e un reggiseno, uno slip, un reggicalze, un paio di calze tutto di color nero (le calze erano in seta…mmmm). Sapete dove sono andate a finire? Immaginatevelo!
I miei genitori ogni tanto, andavamo a trovare alcuni loro amici e portandomi con loro, scoprì che la moglie di questo amico, usava il reggicalze, perché quando si sedeva sul divano in sala, le calze si raggrinzivano e si vedeva il rilievo del gancio del reggicalze, aveva delle gambe bellissime e lunghissime. Sognavo di inginocchiarmi vicino a lei seduta e di venire sulla piega che si formava dal lato del ginocchio. Una sera mi feci coraggio e chiesi di andare al bagno, fui molto fortunato, perché in una cesta in vimini, trovai delle calze usate color nero. Mi feci una sega galattica, odorai il bordo delle calze che sapevano tantissimo di figa e sborrai lasciando solo qualche goccia nelle calze. L’esperienza riscontrata é quella che in casa altrui, andando in bagno, nella cesta dei panni sporchi, si può trovare, quasi sempre, qualcosa di molto interessante.
L’unica volta che trovai la cesta dei panni sporchi non nel bagno, ma nello studiolo, fu quando presi alcune ripetizioni di inglese da una bella professoressa bionda. Usava molto i kilts, riuscii a rubare un collant blu ed uno bordeaux, molto, molto odorosi Questa professoressa, prendeva il pullman per andare a scuola, aspettando alla fermata, mi dava il tempo, passando dal retro di un condominio di salire le scale e dalle vetrate del piano rialzato, vedendola, di segarmi varie volte, una di queste, lei indossava una minigonna grigia con collant grigi e stivali neri, giuro, feci una sborrata con il cazzo molle, vale a dire ero così eccitato che mi sono bastate 5 o 6 stantuffate con la mano ed il mio cazzo non ebbe nemmeno avuto il tempo di diventare duro che già avevo sborrato.
Le altre ripetizioni, che dovetti prendere, sono state di matematica, la professoressa non era molto bella, anzi era persino un po’ cicciottella, faceva il bagno nel profumo, aveva due grosse tette, indossava sempre una gonna sopra il ginocchio e con collant generalmente di color marrone molto velati. Questa professoressa mi si sedeva di fronte ad un tavolo molto stretto e mentre mi dava degli esercizi da svolgere, correggeva i compiti in classe dei suoi allievi, quindi molto concentrata nella correzione, mi dava la possibilità piegando la schiena indietro, abbassando lo sguardo, di vederle le gambe, toccandomi il cazzo da fuori i pantaloni, feci un sacco di sborrate nelle mutande!
Un giorno, andando a trovare un mio compagno di classe, salii su un pullman di linea, c’era solo l’autista, io, e una ragazza più o meno della mia età, con giubbotto e gonna in pelle nera, calze a rete e stivali, aveva i capelli tinti di un bel rosso ramato e con degli orecchini ad anello da zingara. Era seduta alla mia sinistra, due posti più avanti, non persi tempo e sperando che nessuno salisse alle fermate, mi tirai fuori l’uccello e mi masturbai velocemente, guardandole le gambe con le calze a rete nere. Lasciai un vero e proprio laghetto di sperma. Mi eccitò così tanto vederla che aspettai di scendere alla sua fermata e seguendola a meno di 10 metri di distanza, imboccata una stradina secondaria, mi tirai nuovamente fuori l’uccello durissimo e mi masturbai avvicinandomi alla ragazza…aveva un culo da favola…lei non si accorse di nulla…a distanza di quasi un metro…giuro…venni facendo colare tutto per terra.
In questo periodo iniziai ad avere le prime fidanzate, purtroppo, a quel tempo uscendo con una ragazza, se eri fortunato si arrivava alla masturbazione reciproca, ma non di più, solo con una certa Cristiana che ancor oggi, incrocio per la città (sempre molto distinta, sempre vestita in maniera impeccabile, sempre ancora una bella tipetta) le cose furono molto diverse.
Alle superiori nell’intervallo le ragazze stavano da una parte del corridoio ed i maschi dall’altra, ero amico con un compagno ( Ezio ), molto figo, ed ero abituato a vedere le ragazze guardare lui e mai me, Cristiana nell’intervallo incrociò il mio sguardo diverse volte e di li a poco tempo, andai a prenderla sotto casa per andare a fare una passeggiata. Davanti ad una merceria si fermò di s**tto e mi disse: hai voglia di aspettarmi 10 minuti, devo comprare due cosette…naturalmente dissi di si…ero molto curioso di sapere di che cosa si trattasse…ma non ebbi il coraggio di chiederglielo…poco dopo andammo in un bar, a prendere una cioccolata, fu proprio lei, a farmi vedere gli acquisti…erano due paia di collant uno nero con delle foglie disegnate (era ottobre, classico collant autunnale) ed uno bianco ricamato…rimasi attonito per qualche secondo…rispondendole…da inebetito…eh…belli. Nella mia testa frullava un solo pensiero: forse ho incontrato la ragazza giusta a cui piace indossare graziosi capi intimi. Ci frequentammo per vari mesi e dopo i soliti approcci, cercai di farle conoscer meglio la mia passione. Non fu per niente difficile, anzi sentivo nel suo parlare, un piacere interiore intenso se indossava della lussuosa lingerie. Per farla breve, una delle cose più belle, fu vedere il mio uccello infilato in un suo collant 15 denari, la sua bocca andare su e giù, le sue mani affusolate con le unghie smaltate di color rosso torcere lo scroto e intravede il mio sperma uscire dal taglio del glande inondando il suo collant, le sue labbra e la bocca. Riuscii anche a realizzare un altro piccolo sogno quello di sborrarle addosso, sui suoi collant, alla pecorina sulle sue favolose mutandine in raso a fiori, e infilando l’uccello tra la calza nera e la sua coscia, venire vicino al gancio del reggicalze.
Devo ringraziare Ezio, per tutte le volte che mi ha fatto spiare la sorella (Lorella, veramente una gran figa), dal buco della serratura, mentre si accingeva a fare il bagno, questo, stimolò parecchie volte la mia fantasia, facendola colmare con dei piaceri incredibili.
I miei possedevano una casetta in montagna, nel periodo estivo quando il tempo si prestava, trascorrevamo i fine settimana. Mi annoiavo a morte, il paese vicino era squallido, solo le montagne offrivano una panorama piacevole. L’unica giornata che mi piacque, fu quella volta, dove aiutai a spostare dei mobili in casa di una signora di circa 60 anni, che i miei conoscevano, abitava li vicino, scesa al piano di sotto per prepararmi una bevanda, trovandomi nella camera da letto, aprì l’armadio, i cassetti e nel primo trovai calze in nylon da reggicalze quasi tutte grigie e solo qualcuna marrone, nel secondo guaine e bustini con ganci da reggicalze, nel terzo reggiseni di taglia grande (la signora aveva le tette grandi) e mutande a volontà. Mi misi immediatamente nelle mie mutande a contatto con il cazzo, due paia di calze grigie, mi eccitava molto il colore e poi erano molto trasparenti, 10 o 15 denari e un reggiseno bianco. Finito il lavoro, la signora mi chiese ancora, se potevo fissare con un gancio robusto un quadro con raffigurata una madonna, che le piaceva molto, le dissi: domani mi procuro il trapano e un tassello e ci vediamo nel pomeriggio. Trafficavo col trapano, quando la signora mi disse che sarebbe andata in giardino a curare i suoi fiori, il mio cazzo divenne durissimo, quasi da uscire di forza dalla zip dei pantaloni, aspettai qualche istante e dalla finestra la vidi chinata nell’aiuola, aveva delle bellissime gambe, la gonna tirata su, lasciava vedere una parte della coscia che sotto il sole era luccicante, andai nell’armadio, aprì il secondo cassetto e prendendo un bustino color carne, mi riavvicinai alla stessa finestra, infilando il cazzo nel morbido bustino e guardando le gambe della signora, il rinforzo al tallone delle calze, le punte dei piedi fuori uscire dalle ciabatte, mi toccai freneticamente. Portavo sempre un fazzoletto in tasca dei pantaloni, proprio perché se avessi dovuto sborrare senza sporcare da qualche parte, lo avrei potuto fare…ero quasi li per venire, ero così eccitato che decisi di sgocciolare tutto il mio sperma nel bustino, fu favoloso. La stessa signora stendeva molto spesso i collant e le calze che usava, io di notte andavo ad odorarli e a segarmi a volontà, non avendo la lavatrice, probabilmente i capi li lavava a mano, lasciando ancora il suo odore molto gustoso.
Avevo 17 anni, non uscendo da vari mesi con nessuna ragazza, avevo voglia di godere, e facendomi forza decisi di cercare di entrare in un cinema vietato ai minori di anni 18. Il controllore mi fece passare senza chiedere un documento, wuaoo…che figo…entro in galleria e quasi immediatamente vedo una metà della sala, formata da coppie e l’altra metà, formata solo da uomini. Vado a posizionarmi dietro una coppia, lei era una mora trentenne, molto carina. Allora, non esisteva Xhamster, i cd, i dvd, le videocassette porno, quindi potete immaginare come fossi eccitato a vedere quelle scene. Tirai fuori l’uccello duro, ma lo nascosi sotto il giubbotto, poggiato sulle gambe, mentre mi godevo le sequenze del film, osservai il fervore della coppietta seduta nella fila davanti a me, che con discrezione a loro volta sotto i loro cappotti si toccavano. Col cuore in gola, il respiro affaticato, poco prima di venire spostai il giubbotto e cercando di direzionare i getti di sperma verso il basso, decisi di dedicare i primi tre alla mora trentenne, sul maglione nero in lana, altezza spalle.
Questa operazione…vi giuro…lo feci per 4 o 5 volte nel corso di tutta la proiezione del film. Tornai a casa con il cazzo viola. Fu un’altra esperienza sensazionale.
Ritornai altre volte, in una di queste decisi di sedermi dalla parte dei soli uomini, all’inizio del film ero da solo, poco dopo, davanti a me, ma verso destra, si sedette un uomo di circa 50 anni, nella mia stessa fila alla mia destra lasciando un posto libero, si sedette un uomo di circa 30 anni. Feci la solita mossa del giubbotto sulle gambe, mentre l’uomo sulla destra davanti a me non facendosi nessun problema tirò fuori l’uccello dai pantaloni e si masturbò con le due dita, aveva un membro decisamente grosso. Anche alla mia destra l’omino tirò fuori l’uccello e si toccò con disinvoltura. Le scene del film erano sempre più arrapanti e nella foga, anch’io tolsi il giubbotto, così potei muovermi meglio, il trentenne si spostò di posto e si affiancò alla mia destra, poco dopo, con la sua mano sinistra mi toccò la coscia, io feci finta di niente, continuai a masturbarmi, fino a quando pian piano arrivò a toccarmi il cazzo, non dissi niente. Mi stava masturbando mentre a sua volta si toccava. Nella penombra riuscivo a vedere il film, il grosso uccello di quel signore davanti a me, la mano di uno sconosciuto che mi toccava e il suo cazzo. Ero lì quasi per venire, mi tenevo a fatica, il colpo di grazia me lo diedero le schizzate di sperma del grosso membro del signore seduto davanti, questo mi portò a prendere in mano l’uccello del mio vicino e a stantuffarlo a dovere, era caldo, duro, quando sentii i primi s**tti rallentai, poi ripresi, alla seconda serie di s**tti lo vidi sborrare, in contemporanea volarono alti i miei schizzi, non mi fermai, accarezzandogli con le dita la liscia cappella, continuai fino a sentire il suo sperma caldo colare nelle mani. Lui si chinò sul mio uccello e vi giuro, mi ripulì interamente la cappella dallo sperma, ogni volta che sentivo sfiorate la punta della lingua sulla cappella erano enormi s**tti di piacere. Io non sarei riuscito a fare lo stesso, ma lo lasciai fare…
Un’altra volta, vidi un vecchietto di circa 60 anni, andai a sedermi alla sua destra. Dopo qualche minuto di proiezione, dove si poteva ammirare un bel pompino in primo piano, iniziai a sbottonarmi, tirando fuori l’uccello già molto duro, tenendolo sotto il giubbotto. Aspettavo con curiosità i movimenti del vecchietto. Quando il mio uccello iniziava ad ingombrare sotto il giubbotto, lo tirai fuori, il vecchietto sembrò essere anch’esso molto eccitato e con disinvoltura mi guardava. Dopo essersi aperto la zip, tirò fuori anche lui il cazzo, non lungo, ma molto largo e iniziò a masturbarsi guardando la cappella del mio giovane cazzo. Presi l’iniziativa e allungando la mia mano sinistra, mi avvicinai, ricordo che mi fece segno di assenso. Non riusciva quasi a stare nella mano, tanto era largo, ma corto, non era durissimo, comunque lo smanettai non poco, nel frattempo si avventò con la sua mano al mio uccello. Aveva delle mani molto grosse, lo lasciai fare, ricordo che mi toccò i testicoli, facendomeli andare in su, poi da un lato, poi dall’altro, mi accarezzò il ventre, l’interno delle coscie, ecc…
Ad un certo punto, mi borbottò qualche parola, mi chiese se glielo prendevo in bocca, dissi di no, ma colsi l’occasione di dire che se voleva farlo lui, a me andava bene. Non se lo fece dire due volte, iniziò ad ingoiarlo fino alla base, sentivo i primi s**tti del mio cazzo, lo fermai diverse volte, fino a quando sentii il mio sperma nella bocca del vecchietto e la mia mano bagnata del suo. Con l’inizio del secondo tempo, si sedette alla mia destra un altro signore, che già in precedenza nella penombra ci guardava con molta attenzione. Fu la prima e l’ultima volta che presi in mano due cazzi in contemporanea, facendoli sborrare a più non posso, naturalmente schizzando anch’io a non finire e guardando le prestazioni delle pornostar nello schermo.
Parte quarta
Voglio precisare che tutti gli episodi narrati e tutti quelli che andrò ancora a raccontare sono tutti fatti realmente accaduti al sottoscritto. Ho deciso di mettere velocemente per scritto questo racconto per non dimenticare e per mantenere sempre vivo il ricordo di quei momenti erotici favolosi.
Non posso non narrare, il ritorno a casa, da una festa, abbastanza noiosa, a cui avevo partecipato. Non ero del tutto sobrio, arrivai fino alla portina di casa, ma decisi di non sprecare la serata, e il mio uccello volle andare a puttane. Le puttane erano visibili in tutti gli angoli dei grandi vialoni periferici della città e nel centro storico, in alloggi con vetrina, dove lasciavano intravedere all’esterno, il loro abbigliamento arrapante e sexy.
Scelsi una signora bionda di circa 35 anni con un babydoll, niente calze, peccato, entrai, era immediatamente visibile il letto, di fronte un comò, sopra una televisione accesa e in fondo una porta che dava in un bagno molto piccolo. Mi spogliai e salendo sul letto, mi infilò il preservativo, si mise su un fianco e mi toccò l’uccello, prima con le mani unghiate di smalto rosso carminio, poi con la bocca, mi fece diventare il membro così duro da non esitare a ficcarglielo velocemente nella figa, iniziai a muovermi in maniera molto decisa. La puttana guardava la televisione e faceva finta di godere, non troppo disturbato da quel fatto venni dopo pochi secondi. Andai in bagno e mi lavai, mentre mi accingevo ad uscire, la vidi, cambiarsi, mettersi un reggiseno, mutandine nere e aprendo il comò tirò fuori un collant nero molto velato. A quella vista, con la porta semiaperta, mi toccai il cazzo che era già duro come un bastone e mi masturbai. Il tempo trascorreva e la puttana iniziò a chiedersi cosa stavo facendo e avvicinandosi alla porta del bagno, mi vide sborrare a fiotti di sperma. Lei tutto subito si arrabbiò, praticamente avevo sborrato per terra e persino un po’ addosso a lei, io immediatamente, scusandomi, dissi che avrei pulito tutto e che avrei subito tolto il disturbo. Così feci, dopo aver pulito, mi rivestii e mentre ero sulla porta dell’uscio, mi disse: “Potevi dirmelo prima che ti eccitano i collants, la prossima volta se vuoi possiamo giocarci insieme”. Mi domando ancor oggi, come abbia fatto a capire la mia passione…in effetti era una puttana, se non lo sapeva lei, chi doveva saperlo…una suora?
Anche se mi aveva lasciato con quella frase molto allettante, non tornai mai più da lei.
Arrivò il periodo della maturità, eravamo una comitiva di 9-10 ragazzi e 4-5 ragazze, che sostenuto tutti quanti l’esame, decise di partire per le vacanze con le tende, destinazione: località marina tra la liguria e la toscana. Dopo varie peripezie in campeggio, per colpa di un mio amico che aveva sbagliato giorno di prenotazione, finalmente riuscimmo a montare una tenda da 8 posti e altre 3 canadesi. Ma vengo al sodo, due giorni dopo, arrivarono tre ragazze inglesi provenienti dalla capitale e si insediarono con la loro canadese al fianco della tenda da 8. La stessa sera del loro arrivo, Sergio che mi dormiva vicino, mi svegliò verso le 2 di notte, dicendomi che sentiva nelle vicinanze dei gemiti femminili, io assonnato sentii inizialmente solo lo stridio delle cicale, poi effettivamente i gemiti provenivano proprio dalla tenda delle inglesi. Potete immaginare quali fossero stati i commenti che facemmo la mattina seguente. Arrivammo persino a pensare di fare delle orge con quelle tipe…a dir la verità con la faccia da culo che soprattutto due dei miei amici avevano…riuscimmo a fare amicizia molto in fretta, tanto da insospettire ed ingelosire le ragazze del nostro gruppo. Ho ancora delle foto s**ttate con le ragazze inglesi, non vi dico in quali posizioni. Una era bionda, la più bella, una rossa, di media bellezza, una bruna, la più bruttina, ma comunque scopabile, avevano, mi sembra 24 o 26 anni. Erano disinibite al massimo, si spinellavano alla grande, bevevano birra in quantità industriali, lesbicavano tra di loro, insomma è proprio il caso di dirlo, è come se avessero avuto stampigliato sulle loro magliette “sesso, droga and rock’n’roll”. Facendola breve, ce le siamo passate una ad una, la bionda aveva una quarta di tette, fu una bella scopata, muoveva le anche divinamente, la rossa faceva dei pompini favolosi, alcune volte anche ingoiando lo sperma, alla bruna non feci tempo ad arrivarci, anche perché mi soffermai diverse volte con la rossa dagl’occhi azzurri, mi eccitava da morire. Quando venivo le tenevo la testa, sentendo i morbidi capelli, in modo da non farle togliere la bocca dal cazzo, lei non diceva mai di no. Ricordo, che in un incontro sessuale con la rossa, essendosi spinellata a dovere, siccome, era più di là, che di qua, approfittai a girarla in posizione prona per vederla e toccarle il buco del culo, non lo avevo mai fatto, aveva un culo bellissimo, sodo, perfetto, simmetrico, armonico, il buco era piccolo, quindi non dovevano essere stati in molti ad entrarci. Con il cuore in gola, iniziai a leccarle il buco del culo, sentire l’odore, mi fece quasi venire le vertigini, palpai più volte le natiche, strusciai il cazzo sopra l’orifizio, poi mi feci coraggio e provai ad avere un rapporto anale, inizialmente non riuscii, dovetti prima inserirle un dito, poi due, infine dovetti lubrificare con la mia saliva. Quando vidi la cappella del mio uccello entrare nel buco della rossa…mmmmm…mi sentii come a casa. Ci fu un fatto che mi fece andare in ebollizione e fu quella di sentirla godere con enorme gusto, a quell’età non riuscii a capire, non toccavo il clitoride, non toccavo la vagina, non stringeva le gambe, come faceva a godere? Ora me lo so spiegare…l’eccitazione mentale può fare molto. Non tardai molto a venire, non mi feci nessuno scrupolo nel venirle dentro, come vorrei tornare a quel preciso istante, sentire le sette, otto spruzzate di sperma dentro quel favoloso culo…mmmmm.
Arrivò settembre e dovetti partire militare, un anno sprecato in tutti i sensi. L’anno dopo nello stesso periodo feci domanda di sostituzione in una banca locale e per un anno sostituii un ragazzo che anche lui assolveva il medesimo servizio. Nel corso dell’anno lavorai in tesoreria, in esattoria, e allo sportello. In tesoreria l’ufficio era composto dal capoufficio Michele, da Giorgio e 6 donne, precisamente, Vilma: bruttina e vecchiotta Maurizia: una ragazza normale, Elsa: molto carina, ma molto riservata, Franca: la mega zoccola sempre minigonnata, con tacco vertigine, scamiciata, scollata, gambe lunghe 3 km e collants velati, forse anche a dormire, Nicoletta: bruttissima, Valeria: separata, che nel corso dell’anno mi tirò il colpo più volte, ma che sviai sempre, perchè non mi piaceva, non mi attizzava, forse anche perché ero continuamente distratto da Franca. In un giorno di sciopero, fatto, che accadeva assai raramente, mi trovai in ufficio solo con Franca. Io lavorando a tempo determinato, non potevo fare sciopero e Franca non aderiva per farsi vedere bene dai dirigenti. Le scrivanie erano a coppie una di fronte all’altra, la posizione di Franca era quella di darmi la schiena ad una distanza di circa 4 metri. Non riuscii a res****re molto nel toccarmi il membro da fuori i pantaloni, guardandole le cosce, le gambe, le scarpe…sborrai così tanto che dovetti andare a pulirmi in bagno.
In banca conobbi anche Marta una ragazza della mia età che sostituiva un’impiegata in maternità, le parlavo quando ci incrociavamo alla macchinetta del caffè nella pausa di circa 10 minuti mattiniera o pomeridiana. In una di quelle occasioni mi invitò nella pausa pranzo a prendere un caffè a casa sua, i suoi genitori erano al mare. Suonai il campanello, entrai, mi fece sedere sul divano, accese lo stereo e preparò il caffè, la musica era quella degli Style Council, lenta, sdolcinata.
La guardavo con molta attenzione mentre preparava il caffè, era di schiena, potevo ammirare le sue belle gambe e il culetto che il vestito le fasciava, la cosa che mi eccitava di più erano i collant che indossava color carne.
Pronto il caffè me lo portò e si sedette vicino a me sul divano, posammo le tazzine dopo aver bevuto e mi chiese se mi piaceva quella musica, gli rispondetti di sì. Sedendosi sul divano, naturalmente la gonna le salì un po’ in alto, lasciando ammirare una parte della coscia, mi stavo eccitando terribilmente, sentivo il cazzo ingrossarsi enormemente nei jeans. Capì che questa situazione le piaceva, mi feci forza, e mi avvicinai con la bocca alla sua, cercando un bacio o una bella slinguata e nel frattempo le posai la mano un po’ sulla gonna un po’ sulla coscia fasciata dal nylon…mmmmm…la sua lingua nella mia bocca roteava a ritmo vertiginoso…poco dopo la mia mano andò sotto la gonna, mi avvicinai sempre di più alla zona vaginale e da sopra il collant e le mutandine iniziai a toccarla…dopo pochissimi minuti…stringendo la mia mano in mezzo alle cosce…ansimò a s**tti diverse volte…insomma ebbe un orgasmo da favola. Si fece tardi e dovemmo tornare al lavoro, ricordo che le dissi…”io inizio ad andare, così trovo parcheggio più facilmente, ci vediamo al lavoro, ciao”.
Mentre scesi a piedi per le scale, all’altezza di un pianerottolo, mi sbottonai, presi il cazzo in mano e nel giro di pochi secondi feci una sborrata galattica, contro il muro della scala.
Ci vedemmo diverse volte, ma voglio raccontare, quando un giorno, andammo a giocare a tennis, era molto brava, dopo la doccia, entrati in macchina per accompagnarla a casa, mi disse “mi è piaciuto molto come mi hai toccata l’altro giorno, adesso voglio premiarti anche io”…come prima cosa mi fece fare una bellissima limonata, nel frattempo, toccandomi da fuori i pantaloni, quando sentì che il mio uccello non poteva stare più in gabbia, l’ho tirò fuori e iniziò a segarlo, ad un certo punto scese con la testa e con la lingua mi leccò come se fosse un gelato, ogni colpo di lingua era uno s**tto di piacere, muoveva con la mano e leccava con la lingua…insomma mi fece venire letteralmente a colpi di lingua… qualche schizzo le andò sulle labbra e in bocca…fu un indimenticabile pompino.
Parte Quinta
Con alcuni amici, andai ad una festa di carnevale, organizzata dai titolari di una discoteca, io ero vestito da diavolo, tramite un mio amico, che conosceva una gruppo di ragazze, mi venne presentata una ragazza vestita da coniglietta, molto carina. Nell’arco della serata ci ballai insieme, ci scherzai, ci si divertì non poco, di lì iniziò una serie di incontri che ci portarono a frequentarci come “veri” fidanzati. Premetto che questa ragazza era sempre vestita bene, sempre impeccabile, anche senza utilizzare dei capi di alta qualità. Avevo immediatamente avuto la percezione che le piacesse non solo vestirsi bene esteriormente, ma anche internamente con diversi e attraenti capi di lingerie. In seguito potei constatare che le sue lunghissime, proporzionatissime gambe erano sempre fasciate dal nylon.
Alcuni dei ricordi più belli furono quelli di quando ci si imboscava in macchina, era bellissimo passare le mani sopra le sue cosce, scendere fino al polpaccio, usava collant molto velati e lucidi, mi faceva impazzire, indossava gonne a portafoglio molto corte, dove la mia mano poteva inserirsi facilmente all’interno.
La faccio breve quella ragazza di li a quattro anni diventò mia moglie. Il periodo di fidanzamento servì da “apripista” per conoscerci meglio in tutti i sensi, sesso a volontà, ma gli anni migliori secondo il mio parere, sono stati i primi anni di matrimonio, dove abbiamo fatto cadere molti tabù, ci si confidava intimamente e quindi si provavano varie esperienze sessuali. Insomma…ancor oggi se voglio leccare i piedi puliti o sudati a mia moglie, se voglio farmi pisciare sull’uccello facendomi masturbare, se voglio metterlo nel suo culetto, se voglio farle indossare un collant nelle gambe e uno in testa, se voglio sborrarle in bocca, sul reggicalze, sulle autoreggenti, sulle tette, sulle scarpe, se voglio scoparla utilizzando come preservativo un collant, se voglio venirle addosso quando e vestita da figona…ecc, non ho nessun problema a farlo. Il massimo lo raggiunsi, un giorno, quando mia moglie, conoscendo la mia passione verso i capi intimi femminili, mentre stavamo pomiciando mi disse: “vuoi indossare un mio collant?”. Tutto subito fui titubante, le rispondetti che non sarebbe stato un gran bello spettacolo, però dentro di me sentivo una intensa passione che si faceva sempre più palpitante. Riscontravo in mia moglie, una certa eccitazione, se mi avesse visto indossare il suo capo intimo, allora non mi tirai indietro e finalmente lo indossai. Mi fece anche indossare una gonna in pelle nera, una delle poche che mi andavano, (la taglia di mia moglie è 42-44 la mia era 46-48). Parecchie sono le volte che giochiamo in questo modo. In un’altra occasione, dopo aver comprato un collant di taglia molto grande ( XXL ), infilammo insieme le nostre quattro gambe e scopammo avvolti entrambi nel nylon. Provatelo…
Nei primi tre anni di matrimonio eravamo in affitto in una villetta a schiera, fuori città, su due piani, in una zona, molto bella e tranquilla. L’episodio simpatico, fu quello di una trentacinquenne, bruna capelli corti, occhiali da intellettuale, fisico notevole, tette da paura che di lavoro faceva la rappresentante di prodotti farmaceutici, questa tipa era tutti giorni della settimana in giro, tornava ad ore tarde e nei weekend era sempre in casa. Il suo piccolo giardino confinava con il nostro, diviso da un vetro zigrinato che lasciava trasparire discretamente bene le figure. All’insaputa di mia moglie, non vi dico quante seghe mi sono fatto, a vederla in trasparenza, in costume a prendere il sole d’estate. Non vi dico la roba intima che le feci sparire, era molto perfezionista nel suo intimo. Inondai con schizzate di sperma i suoi perizomi (prediligeva quelli di color nero e ne aveva un numero impressionante), i collants, le autoreggenti (le usava parecchio), i reggiseno. Di sera o di notte salivo su una sedia ed affacciandomi dal vetro divisorio, sborravo sopra lo stendibagno, sempre posizionato in quel punto, ricco dei suoi capi intimi. Aveva un modo di fare con gli uomini, che portava a far suonare tutti i campanelli d’allarme alle rispettive mogli. Una domenica pomeriggio di giugno, era una bellissima giornata, la vicina in costume da bagno, mi vide mentre anch’io mi accingevo a sdraiarmi per prendere il sole e iniziò ad intraprendere qualche discorso. Mia moglie immediatamente, arrivò, un po’ per curiosità, un po’ per controllare la situazione. Aveva un corpo da modella, avrei voluto dirle tirandomi fuori l’uccello dal costume: “scusa, ma con il corpo da paura che hai, non resisto nel non masturbarmi, guardandoti”…e sotto il suo sguardo mi sarebbe piaciuto lasciar fili di sperma cader nel prato.
Pensai di fare con mia moglie un bel giochetto, precisamente come già in altre occasioni, mi sono fatto fare da lei un pompino, una sega guardando un film porno, forse, se la convincevo, sarei riuscito a godere, guardando il corpo della vicina. Iniziai a convincerla, notai che mia moglie era abbastanza eccitata, in fondo invece di un film porno, c’era poi solo, un bel corpo longilineo, con due belle tette. Senza fare rumore mia moglie si inginocchiò da un lato, facendo finta di appoggiarsi sulla mia sedia a sdraio per leggere e iniziò con la bocca a slinguarmi la cappella, immediatamente diventata viola dalla durezza del cazzo. Mi leccava i coglioni, mi metteva la punta della lingua nel taglio del glande, insomma feci una sborrata favolosa.
Riuscii, un giorno, in bagno a casa di mia cognata, tra l’altro una bella donna, a rovistare nella cesta dei panni sporchi e trovare tre collants color carne usati e ben odorosi, uno lo rubai, facendomi tante di quelle seghe, da svenire. Per apprezzare meglio l’odore della figa, mi infilavo nelle narici il triangolo bianco, respiravo a pieni polmoni e facendo un buco in un piede del collant, venivo dentro a fiotti di sperma.
Alcuni anni più tardi ci trasferimmo in città, in appartamento di proprietà, dove abitiamo tuttora e qui non posso non raccontare dei simpatici dirimpettai di pianerottolo, precisamente Francesco e Giuliana, lei era infermiera in ospedale. Un giorno Francesco mi disse che mi avrebbe lasciato le chiavi di casa per qualsiasi evenienza ci fosse stata e per bagnare le piante, visto che loro sarebbero partiti quindici giorni per andare in vacanza in Egitto. Andai parecchie volte a bagnare le piante e non solo quelle…i capi intimi di Giuliana erano riposti in tre grossi cassetti del comò nella loro camera da letto, il primo era formato da mutandine, reggiseni, canottiere bianche e non voglio esagerare, ma circa una ventina di collant color carne, era il cassetto di ciò che usava in ospedale, il secondo era composto da capi per tutti i giorni, ricordo diversi perizomi e nel terzo vi erano le cosette più sfiziose. Non c’è che dire era molto ordinata. Aveva alcune guepiere, diversi reggicalze e relative calze di vari colori (bianche con riga, nere, marrone scuro, blu, un paio di calze rosse con balza nera), un collant tipo reggicalze, insomma tra me dissi: “ma che bella porcellina Giuliana”. L’eccitazione era incredibile quando indossai quelle meraviglie…la cappella del mio cazzo la strofinai dappertutto. Lasciai una goccia di sperma all’interno di molte mutandine zona figa. Guardandomi allo specchio dell’armadio, vestito in quell’intimo, mi masturbavo a manetta, la cosa mi eccitava un casino.
I collants mi entravano benissimo, mentre le calze di nylon erano un po’ corte. Ne smagliai una.
Non mi trattenni e portai via un collant color carne, le calze bianche con la riga, e uno slip nero trasparente con bordi in pizzo. Non posso non raccontare un capodanno trascorso insieme a Giuliana, il marito, mia moglie ed altre quindici persone circa, tutte coppie, che dopo aver mangiato, bevuto, ballato in una baita di montagna, andammo tutti a dormire in una mansarda, ognuno con il proprio sacco a pelo. Francesco era contro la parete del muro, affianco la moglie, poi io, infine mia moglie, noi eravamo girati al contrario, vale a dire mentre loro avevano la testa verso il muro, noi avevamo la testa dalla parte opposta. Faceva molto caldo e dopo aver potuto ammirare nei più disparati pigiami le varie mogli, andare a dormire, vidi Giuliana infilarsi nel sacco a pelo con una semplice t-shirt bianca, che le lasciava trasparire il turgido seno e un paio di pantaloncini bianchi corti, che le lasciavano mostrare le gambe belle affusolate. Dormivano tutti, ciò mi consentì di provare a segarmi, guardando Giuliana. Mi venne una fantastica idea, tirai giù fino in fondo la cerniera del sacco a pelo, rivolta dalla sua parte, piegai le gambe, mi girai verso di lei ed arrivai con l’uccello ad una distanza dal suo viso di circa 40 cm. Che figata, vedevo in penombra il mio cazzo e vicino, il suo viso. Fui molto fortunato, perché Giuliana, in quel momento girò il viso verso il mio uccello e si scoprì lasciando vedere il seno nudo sotto la t-shirt bianca, potei avvicinarmi ancora di più, quasi a circa 20 cm. Avevo timore si svegliasse, facendo una gran figura di merda, ma l’eccitazione era grande, sapere mia moglie da una parte, Giuliana dall’altra, mi fece proseguire, arrivando a sborrare nella mia mano destra sboccando gli schizzi per non colpirla. Che goduria!!! Avevo immaginato di sborrarle sul viso, sporcandole i capelli, gli occhi, il naso, la bocca. Non mi bastò, mi avvicinai con il cazzo ancora più vicino, ma all’altezza del capezzolo e fu una seconda goduria strabiliante. Per non rischiare non azzardai assolutamente a toccarla e feci bene infatti fui premiato con due seghe stupende.
Nel 2001 decisi di comprarmi un computer, perché ve lo sto dicendo?…perchè due anni dopo, provai a chattare con programmi come ICQ, C6, Netmeeting, ora sostituiti da Skype, messenger, ecc…
Conobbi una donna di 42 anni, sposata con un figlio, di nome Milena di Pescara, era una vera ninfomane, dopo esserci conosciuti in chat, scambiato foto, chat erotiche, confidati riguardo parecchie cose, mi chiese il numero di cellulare, mi dette il suo e cominciammo una serie di sesso vocale al telefono. Fu molto eccitante, aveva una voce molto sensuale. Mi chiese più volte di andarla a trovare, così avremmo potuto consumare carne con carne dei bei rapporti sessuali (le piaceva sentire il cazzo nel culo). Era troppo lontana per riuscire a trovare una balla così grande da farmi andare fino a Pescara. Pensate, avevo incontrato una donna che si eccitava nel sentire l’odore di cazzo nello slip di un maschio sconosciuto. Inviai in buste sigillate molti miei boxer odorosi di cazzo e sperma indossati per vari giorni e così fece lei con varie mutandine, collant e calze usate. Fu un bel periodo, molto particolare, dove ero sempre eccitato come una bestia. La convinsi, perfino, ad installare una webcam, aveva abbastanza dimestichezza con il computers, questo lo fece anche raccontando qualche balla al marito.
Ricorderò sempre la prima volta in webcam, che si infilò un vibratore rosa nella figa, seduta sulla sedia da computer, con i rispettivi piedini smaltati sul piano della sedia. A quel tempo la connessione non era delle più veloci, ma non importa, furono molte le volte che venimmo insieme. Una volta, Milena aprendo la bocca mi chiese di avvicinarmi con l’uccello in webcam, per sborrarle in bocca…sembrava quasi vero, in un’altra occasione venni nel buco del suo culo dilatato da un membro in lattice nero di discrete dimensioni.
Era veramente una donna molto calorosa, beato il marito, peccato che eravano troppo distanti…
Nel frattempo feci anche la conoscenza di una fisioter****ta, divorziata, 39 anni, di Pisa, veramente molto figa, di nome Sandra, con quel suo accento toscano, mi faceva sbrodolare, solo a sentirla parlare. Anche con lei si passò dalla chat al cellulare con sesso vocale ed infine all’incontro reale e fisico che stabilito a circa mezza strada, risultò essere a Genova. Stavolta con la scusa del lavoro potevo azzardare a compiere l’impresa. Studiati i minimi dettagli e preso il treno, mi diressi verso Genova Principe. Erano le 9.40, era un sabato di aprile, la giornata era stupenda, tiepidina, il cielo terso. Aspettai la telefonata che preannunciava l’arrivo in auto di Sandra. Le foto che mi aveva inviato mostravano una donna molto fascinosa, alta, bionda, occhi azzurri, tette (una quarta abbondante), insomma una strafiga. Non pretendevo che fosse gnocca come appariva nelle foto, mi sarei accontentato anche di qualcosa di più “normale”. Finalmente squillò il mio vecchio Nokia, sentendo la sua voce sensuale, mi disse che mi vedeva e che era esattamente di fronte, dall’altra parte della strada, nel parcheggio auto, dietro alla fermata del bus. Quando la vidi mi venne quasi un infarto, era altissima (era più alta di me, io sono alto 1.78), bionda, ben vestita, veramente una strafiga. Attraversai al semaforo come pedone e quando la raggiunsi, lei che era appoggiata al tettino della sua Y con la portiera aperta, mi venne incontro e tutti e due dopo un bel sorriso ci abbracciammo, come se ci conoscessimo da moltissimi anni. Mi dette subito un bacio sulla bocca. Non capivo più un cazzo. Mi disse di salire in macchina così potevamo raggiungere C.so Italia per poter passeggiare sul lungomare, zona che anch’io come lei, conoscevo e sapevo, luogo molto caratteristico. Nel tragitto in auto, non mi tenni nel farle capire che era una bella donna e rimasi compiaciuto, quando anche lei, era colpita dal mio fascino. La scansionai a 12000 dpi, indossava un paio di jeans leggermente a zampa di elefante che le fasciavano le gambe in maniera divina, stivaletti bassi colore jeans, un maglioncino in lana sottile color panna e un giubbotto altezza vita di montone rovesciato. Trovammo un bar con terrazza esterna rivolta verso il mare (un bel colpo d’occhio) e ci fermammo per fare colazione, parlammo per una buona mezzora, avevamo molte cose da dirci, poco prima di alzarci, mi mise la mano prima sulla coscia, poi mi toccò l’uccello, già duro in precedenza, da fuori i jeans. Senza più dire una parola, incrociando solo i nostri sguardi capimmo che dovevamo trovare un posto tranquillo per andare a fare del sano sesso. Ad un incrocio, vedemmo il cartello di un hotel, poco distante, facemmo così in fretta a registrarci che ci trovammo poco dopo il un bel letto matrimoniale. Aveva portato un borsone con il necessario per dormire, ma non solo, conoscendo le mie passioni, aveva riposto anche dei capi di lingerie, precisamente una gupiere nera con ganci da reggicalze con calze nere 15 denari. Quando capii che aveva portato capi intimi perchè sapeva che mi piacevano, fui letteralmente sopraffatto dalla sua generosità. Dopo esserci assaggiati con vari preliminari (una cosa singolare, aveva quei pochi peli della figa color biondo), mi fece sdraiare supino, mentre lei mi cavalcava, facendo aderire il mio cazzo durissimo in mezzo alle sue grandi labbra, dopo pochi minuti era eccitatissima, sentì colare sul mio ventre un liquido caldo, l’umore della sua figa bagnatissima, continuava e continuava, non mi era mai accaduto una cosa del genere con quella entità. Quando poco dopo la vidi ansimare, vidi il mio uccello sborrare verso la mia pancia. Fu un godere immenso. Ricordo che fece un apprezzamento sulla quantità di sperma che era uscita dal mio cazzo. Io normalmente riesco sempre a fare dalle 10 alle 12 schizzate piene di sperma.
Era quasi ora di andare a mangiare un boccone, Sandra andò in bagno a lavarsi la figa, mi alzai dal letto, mi asciugai la pancia ed avvicinai ad odorare i gambaletti blu, addirittura un pò secchi sulla punta dei piedi, perchè indossati e sudati negli stivaletti. Entrai in bagno, con una nuova forte carica sessuale. Era seduta sul water che stava aspettando l’arrivo della pipì, sentii lo scroscio e il filo dorato, mi eccitò in maniera indescrivibile, poi passò al bidè per lavarsi con un detergente profumatissimo, io, davanti allo specchio del lavandino, ve lo giuro, vidi il mio uccello fare un’alza bandiera da paura, fece in fretta a vederlo nuovamente duro, mi avvicinai e lei prese a succhiare il cazzo mentre si toccava la figa. Non vi dico il piacere che ebbi nel venirle addosso, precisamente le venni sulla guancia e vicino alla bocca, vidi colare il mio sperma sulle stupende tette.
Dopo pranzo, passeggiammo sul mare tra le case dei pes**tori a Boccadasse, un posto veramente romantico. Si parlava, le nostre occhiate si incrociavamo, ci osservavamo, ci abbracciavamo, fu un’emozione meravigliosa. Trascorsero circa due ore, tornammo in albergo, andammo in camera, uscimmo in terrazza, la vista, dava su un vialetto, lei era appoggiata al davanzale del balcone ed io le guardavo il culo vestito dal jeans, aveva due chiappe da favola. La abbracciai da dietro, le baciai il collo, aveva un odore stupendo, le leccai le orecchie, le baciai i suoi biondi capelli, mentre lasciava trasparire un piacere ed un’eccitazione molto intensa, preso dalla frenesia le sbottonai i jeans, glieli calai giusto ad altezza cosce in modo che potessi infilare il mio membro nella sua figa da dietro…lei stette al gioco…non curanti di sguardi indiscreti gli venni dentro (in precedenza le avevo chiesto se dovevo infilarmi un preservativo, ma lei mi aveva risposto che prendeva la pillola e che quindi non era il caso, ci credetti).
Guardammo la televisione per un po’, poi la vidi di nuovo calda sul mio uccello, sentivo la punta della sua lingua nel buchetto del mio cazzo, dentro di me iniziavo a pormi una domanda: riuscirò a fare la quarta? Ero in astinenza da alcuni giorni, ma…non avevo più 18 anni…facemmo un bel 69, poi riuscii a leccarle i piedi smaltati di rosso porpora (sapeva che una mia passione era quella dei piedi, infatti me li mise letteralmente in bocca), che profumo, poi il culo, infilandogli la lingua le allargai il buco. Era prona sul letto, le feci diversi massaggi dalla schiena alle natiche, la baciai, depositai la mia saliva su tutto il suo meraviglioso corpo, poi mi chinai verso di lei per infilargli il membro durissimo nella figa, entravo ed uscivo, entravo ed uscivo, uscendo le premevo il clitoride e lei schizzava umori dappertutto. Dopo aver giocato per un po’, provai a premere la turgida cappella, umida dei suoi umori, nel buco del suo fantastico culo. Con un po’ di fatica, sentì la cappella entrare nel buco, sentì i brividi fino in fondo alla schiena…credetemi…mi ci volle poco a venire…i primi tre schizzi del mio sperma dentro l’ano…gli altri…fuori sulle natiche e sui lacci della gupiere…fu eccezionale.
Purtroppo non era nei piani il potermi fermare a dormire e quindi verso le 19,30, mi accompagnò alla stazione dove presi il treno del ritorno con il cuore distrutto dalla separazione con Sandra. Lei dopo circa un ora non resistette a telefonarmi, ero in viaggio in treno, anche lei sentiva un dolore immenso al cuore. Ci incontrammo altre volte, ma più la cosa si faceva interessante, più avevo paura di perdere mia moglie. Decidemmo all’unanimità, con molto rammarico di troncare!
Parte Sesta
Sono stato abbastanza stringato nel raccontare di mia moglie, anche perchè avrei troppo da scrivere, questo potrebbe essere lo spunto per un eventuale altro racconto.
Segnalo solo una serata a casa di Alberto ed Anna, dove fummo invitati, dopo esserci frequentati in precedenza, altre volte. Quella sera, dopo aver mangiato cena, Alberto che suona in un complesso, mi fece ascoltare le loro nuove canzoni, nello studio, mentre mia moglie ed Anna, erano sedute su un comodo divano, al piano di sopra, a vedere la TV.
Avevamo bevuto tutti e quattro, senza esagerare, ma da essere decisamente allegri. Quando tornammo, al piano di sopra, vidi mia moglie e Anna che si slinguavano, si toccavano le tette, si sfioravano sotto le gonne lasciando trasparire ambedue i bordi dei collant (mia moglie aveva un collant nero con stivali neri con tacco 12, Anna aveva un collant color carne con le pantofole, queste ultime mi eccitavano incredibilmente), avevano le camicette sbottonate e nel momento in cui vennero sorprese, si ricomposero mettendosi a ridere, noi dicemmo di continuare, perchè non ci stavano disturbavano assolutamente. Tra me pensavo: ma Silvia non è lesbica…come mai? sarà l’effetto del vino?.
Ricordo che Alberto attenuò la luce delle lampade, creando penombra nella stanza, si avvicinò alla moglie e mi fece segno di avvicinarmi alla mia…insomma scopammo le proprie mogli, guardandoci uno con l’altro, fu una eccitante e bella serata. Se ricordo bene, venni dentro mia moglie, guardando il movimento ritmico delle grosse tette e dei capezzoli turgidi di Anna, che veniva penetrata dal marito.
Alcuni anni fa, ristrutturammo una casetta in montagna, riuscimmo a recuperare la cucina, la camera da letto, e creammo una cameretta e un bagno. La arredammo pian piano, con i mezzi a disposizione, senza troppa urgenza. Un giorno mia moglie tornando a casa dal lavoro nella pausa pranzo, mi disse che una sua collega era disponibile a regalarci la vecchia cameretta in frassino della figlia, ormai sposata, basta solo che fossimo noi a smontarla. Naturalmente non ci facemmo scappare l’occasione e una sera andai a smontarla, per poi il giorno dopo farmi aiutare dal cugino di mia moglie, a caricare il tutto e trasportare il materiale in montagna.
La casa era vuota era rimasta solo quella cameretta, iniziai a smontarla, quando mi trovai a sfilare i cassetti, con mio imbarazzo e sommo piacere, trovai nel primo cassetto un collant nero velatissimo, aprii velocemente gli altri nella speranza di trovare qualcos’altro e così fu, altri tre collant, uno nero 40 den, uno color panna, uno color carne (questi ultimi erano smagliati, ecco il perchè probabilmente non furono presi). Ero da solo, pensai immediatamente di indossare il collant nero velatissimo, facendo attenzione a non strapparlo. Purtroppo erano stati lavati, quindi non erano odorosi, pazienza. Mi feci un segone da sballo.
Nell’ambito del lavoro avrei anche diversi episodi da raccontare, ora mi limito a ricordarne tre. Uomini e donne, abbiamo a disposizione degli armadietti separati, dove chi vuole può lasciare gli effetti personali. Questi armadietti sono usati maggiormente dalle donne. Claudia era una bella ragazza (ora non lavora più da noi), occhi azzurri, capelli corti, biondi, labbra carnose, molto alta, ne troppo magra, ne troppo grassa, insomma bel piantata, ma proporzionata, delle belle tette, ma una “palla” a sentirla parlare, (non stava mai zitta), posso immaginare, che se fossimo stati a letto insieme, o le si tappava la bocca con il pisello, o non sarebbe mai riuscito a diventare duro. Aveva però una bella abitudine, portare sempre gonne altezza sopra ginocchio e collants dal color panna al marrone scuro, molte volte, d’estate, anche bianchi. Si andava a cambiare le scarpe, quasi sempre con il tacco, con delle pantofole…si proprio così, delle comunissime pantofole da casa.
Non chiudeva mai a chiave il suo armadietto, un giorno, velocissimamente entrai nello spogliatoio vuoto, presi le sue scarpe ed andai in bagno. Erano delle Chanel nere con tacco 12, odoravano del suo piede, aperte in punta tanto da infilargli l’uccello dentro e stantuffando a dovere feci una sborrata gigantesca. Dopo neanche 10 minuti avevo riposto le scarpe nell’armadietto.
Il secondo episodio fu quello di quando le dissi che aveva le calze smagliate, lei dopo aver esclamato il suo dispiacimento, mi disse che aveva un collant di riserva e che quindi si sarebbe andata a cambiare. Aspettai che tutti fossero andati a casa e cercando dappertutto, trovai nel cestino dello spogliatoio femminile, proprio il collants color bianco che per quasi tutta la giornata aveva indossato. Che profumo sia nella punta dei piedi, sia nel triangolo zona figa. Per gli intenditori, si percepiva il profumo che usava abitualmente, l’umore della figa e il sudore dei piedi.
Claudia in molte occasioni, aveva lasciato trasparire un certo attaccamento nei miei confronti, voglio dire, avevo l’impressione che una scopata con me l’avrebbe fatta molto volentieri, anche se aveva il ragazzo. Nelle ore lavorative, varie volte siamo entrati in confidenza, sia con particolari anche molto intimi, sia con battutine (ad esempio: le chiedevo se per 10 euro mi faceva fare un giro sulle sue tette, lei mi rispondeva che fuori dal posto di lavoro, me lo avrebbe fatto fare, anche a gratis).
Infatti questo clima portò l’avvenimento del terzo episodio, quello di un dopocena aziendale, dove andai a prenderla a casa in macchina, perché così volle lei. Premetto, che per tutta una serie di circostanze, che ora non vado a spiegare, ho sempre cercato di non avere un rapporto extraconiugale con colleghe di lavoro.
Infatti quella fu l’unica volta dove mi lasciai andare…finita la cena, scherzando e ridendo arrivammo sotto casa sua. Mi ricordo molto bene come era vestita, l’avevo guardata varie volte a cena, aveva un maglione in lana color salmone, sotto una camicia bianca, una gonna marrone, con collant color carne, stivali marroni con tacco. Accavallò le gambe e si girò verso di me, mi si avvicinò per darmi il bacio della buona notte, ma io fui più veloce di lei, la baciai sulla bocca, aveva delle labbra carnose che mi facevano impazzire, soprattutto se me le immaginavo sulla cappella del mio uccello. Ci slinguammo parecchio, poi presi l’iniziativa e le toccai le tette da sopra il maglione, constatando la sua piena libertà nel farsi toccare, andai avanti e le misi le mani sotto la gonna. Lei, nel frattempo, incominciò a toccarmi da fuori i pantaloni l’uccello, che era già pronto, mi diedi da fare, con la brillante idea di farmi strada per arrivare a toccarle la figa, con un dito, forzai perforando il collant e spostando le mutandine riuscì a sentire il taglio della figa molto bagnata. La feci venire nel giro di pochi minuti, sentendola ansimare a volume piuttosto alto. Poi lei coronò il mio sogno, dopo aver sbottonato la patta si avvicinò con le sue carnose e lucide labbra al mio cazzo. Non persi tempo, forzai il collant da dietro, le misi un dito nella figa e uno nel culo (quelle dita non me le lavai per giorni). Poco prima di venire, tolse la bocca, ma continuò a segarmi con la mano fino a raggiungere gli ultimi spasmi di piacere, mi salutò baciandomi la cappella ancora sporca di sperma caldo e mi disse “ci vediamo lunedì”.
La città brulica di locali dove effettuano massaggi di tutti i tipi, con o senza olio, essenze, ecc…molti di questi sono seri altri un po’ meno. Ho sempre voluto provare a farmi fare un bel tonificante massaggio, lo avevo provato solo una volta in uno di quei centri benessere, esistenti nei “resorts” vacanze.
Un amico mi parlò di uno chiamato quello “romantico”…dopo aver telefonato mi prenotano un sabato mattina alle 10.00…suono il campanello, mi aprono, verso destra, seduta su di uno sgabello, dietro ad un bancone che fungeva da reception, una signora asiatica di circa 50 anni, poco attraente, un po’ troppo rotondetta per i miei gusti, comunque, dopo aver pagato, mi indicò uno spogliatoio, mi diede un asciugamano e mi disse di accomodarmi in un’altra stanza.
In questa stanza, non molto grande, vi era un lettino…aspettai qualche minuto, la signora asiatica mi disse di sdraiarmi prono con il solo asciugamano bianco e di aspettare…non parlava molto bene l’italiano…comunque feci quello che mi disse. Sapevo che il massaggio romantico finiva o con una sega, o una pompa, o una chiavata, sinceramente da quella signora di circa 50 anni, mi sarei fatto fare, solo un bel segone, con magari un dito nel culo.
Dopo pochi minuti, entra una donna di circa 30 anni, capelli neri lisci, asiatica, non bellissima, ma decisamente chiavabile, indossava un vestito corto in raso nero con grandi fiori colorati, ricordo che ne avevo comprato uno simile, ma di color rosso, a mia moglie perché mi eccitava un casino vederla con quel tipo di abbigliamento orientale. Lo sguardo poi mi cadde sul rilievo del bordo delle calze autoreggenti color nero molto velato e sulle pantofole colorate, dove i suoi fantastici piedi andavano a far tana. Mi stavo decisamente eccitando, sia per i massaggi, sia al pensiero di fare qualcosa di godurioso con quella tipa.
Iniziò dai piedi e salendo all’altezza dell’interno cosce, mi tirò lievemente su l’asciugamano e iniziò a massaggiarmi le natiche, che figata!!!…arrivò fino alla schiena, poi mi fece girare, girandomi potei vederla meglio, non era per niente male, un bel corpo. Riprese dai piedi e salendo all’altezza dell’uccello, mi toccò in maniera notevole i testicoli, questo mi fece impazzire. Spostò delicatamente l’asciugamano e iniziò a palparmi il membro, lo sfiorava con quell’olio profumato che riscaldava. Faceva scivolare le mani da professionista, il cazzo era caldissimo, mi faceva già qualche s**tto di piacere. Non tardai a toccarla con la mano sinistra…mmmmm…sentire il nylon della calza, la balza in pizzo, mi dava un’emozione intensa, ma quando andai a cercare la figa e mi accorsi che non aveva slip, l’emozione aumentò ancor di più. Non sapevo se potevo azzardare una decisa palpata e quindi iniziai a toccarla con dolcezza, poco dopo la sentii umida, all’asiatica, le piaceva farsi toccare. Non tardai a venire, avevo il mio dito medio nel buco del suo culo, con le sue mani mi stringeva il glande e con un po’ di malizia poco prima del primo schizzo, mi girai verso di lei, facendo trasparire una goduria incredibile, le sborrai addosso, lei fece inizialmente per spostarsi ma io con il dito nel culo riuscii a bloccarla e una dopo l’altra le schizzate andarono tutte sul vestito. Il numero delle schizzate furono 10 o 12, quindi provate ad immaginare. Non sembrò essere molto contenta e dopo avermi detto qualcosa di incomprensibile, prese un asciugamano e si asciugò il vestito, rimasto però ancora umido del mio sperma…che figata!!!
Un giorno incontrai per strada un carissimo amico, Johnny, era appena arrivato da Las Vegas, lui per lavoro viaggia in continuazione spostandosi da un capo all’altro del mondo. Quando torna in città mantiene sempre quei tre, quattro contatti, per non annoiarsi. Mi chiese se quella sera volevo andare con lui, era stato invitato da una coppia, lei una 40 enne molto prestante con un marito che gode a veder la moglie scopata da estranei. Dopo aver informato che saremmo stati in due, il marito ancora più contento, confermò l’ora del ritrovo. Il mio amico dopo avermi spiegato alcune cose. mi disse: “guarda cosa faccio io e comportati di conseguenza”.
Erano le 21.00 circa, suonammo alla porta, il marito ci fece entrare, fui presentato, ci offrirono un whisky, parlammo di qualcosa e dopo circa 20 minuti ci fecero andare in una stanza ampia molto particolare, vi era un enorme letto circolare in mezzo alla stanza, una X in legno da una parte, un comò, specchi alle pareti e sul soffitto, una poltrona, una videocamera su un treppiedi, una vasca con idromassaggio in un angolo.
Dal comò spuntò fuori una serie di oggettistica da far invidia ad un sexy shop, ricordo che la donna volle che la penetrassi con un enorme fallo nero in lattice, molto venoso, fornito di polpetta, spinsi più che potevo, il cazzo di gomma era lungo 30-35 cm ed aveva un diametro di 7-8 centimetri, entrò nella figa facilmente, nel mentre la donna succhiava il cazzo del mio amico, quando la sentii venire premetti la polpetta facendo uscire il liquido caldo…ero eccitato al massimo…mi stavo toccando già da qualche minuto, poco dopo sfilandole il fallo nero fece uno squirting da sballo, trovandomi inginocchiato davanti a lei, strusciai due o tre volte la cappella viola sulle sue gambe bellissime, ma soprattutto lisce come il marmo levigato e prontamente esplosero le mie schizzate bagnandole le cosce, nel mentre il mio amico le venne in viso e sulle tette. Incredibile, tutto questo davanti al marito, che si smanettava, ma senza arrivare a godere, di lì capì che da noi voleva ancora vedere altro.
L’iniziativa come al solito, venne presa da Johnny…aprì un cassetto del comò e prese delle calze di nylon, una nera, una marrone e legandole prima una mano poi l’altra, la immobilizzò alla X di legno, il mio amico mi fece segno di prenderne altre due per legarle i piedi, così feci, il cassetto era pieno di nylon e seta, da far rizzare l’uccello anche ad un ottantenne.
Presi due calze marroni con la riga di seta e mi avvicinai ai piedi smaltati di nero, ero eccitatissimo, sia perchè le stavo toccando i piedi, sia perchè la stavo legando con un calza di nylon. Era una visione stupenda, da inginocchiato, potevo ammirarla dai piedi, salire per le gambe, guardarle il culo, la schiena, fino ai capelli neri corvini. Dopo circa 20 minuti dalla precedente sborrata, avevo il cazzo durissimo. Johnny si avvicinò e da dietro le mise il cazzo nella figa, poi nel culo, di nuovo nella figa, poi in culo, alternava il movimento con maestria. Il marito continuava a guardare lo spettacolo. La donna ansimava con notevole ardore. Non sapendo esattamente cosa fare andai dalla parte opposta della X per cercare di toccarla, quando la donna mi vide, mi fece capire che voleva farsi una bella slinguata, mi avvicinai e dopo aver vorticosamente usato la lingua, iniziò a leccarmi il viso, la cosa mi eccitava tremendamente. Quando il mio amico le venne nel culo mi fece segno di fare altrettanto, non mi feci pregare due volte, inserendo il cazzo nel culo sentivo la sborra calda depositata in precedenza da Johnny e dopo pochi minuti le venni nella figa, lasciando il cazzo all’interno fino a goderne gli ultimi spasmi. Finalmente il marito arrivo e sbrodolò sulle natiche della moglie.
Dopo nuovamente alcune parole, sorseggiando dello champagne, pensai alla serata ormai conclusa, ma mi sbagliai, la donna ci fece sedere, compreso il marito, sul letto, infilandosi un vibratore nella figa, iniziò a spompinarci uno alla volta, la scena mi fece ricordare un vecchio film con protagonista Moana Pozzi, era una situazione molto eccitante vederla leccare prima il mio cazzo, poi quello di Johnny, infine quello del marito.
Quando mi sentì venire, portò la bocca fino alla base dell’uccello, sentivo la gola, sembrava una figa, le venni dentro fino all’ultima goccia, poi mi fece colare lo sperma caldo sulla cappella. Esattamente nello stesso modo fece con il mio amico e con il marito. Un bel tris di pompe, non c’e che dire.
Parte Settima
Dovetti andare una sera, a fare delle consulenze tecniche, riguardo programmi di contabilità e di magazzino, da un cliente di mio fratello. Era titolare di un colorificio. Entrando nel retro del negozio, c’era l’ufficio, vi erano i computers, un fax, uno scanner, due scrivanie, degli armadi contenenti classificatori vari, ecc…mi diedi da fare…questo signore fu molto contento e fu così che mi chiese altre consulenze. Nell’uscire dall’ufficio mi sbagliai e presi una porta che conduceva ad un altro negozio, era una merceria…si proprio così, era una merceria…il signore mi disse che era il negozio della moglie. Questo ufficio in sostanza era una stanza in comune che si trovava tra il colorificio che dava su una strada e la merceria che dava dall’altra parte sulla strada parallela.
Feci varie consulenze, ma il massimo fu, quando una di queste sere, ricevette la telefonata del figlio diciassettenne che doveva essere recuperato da qualche parte, dopo la partita di calcetto. Insomma, sarei rimasto da solo per circa mezz’ora. Non potevo farmi cazzate, ma non riuscii a trattenermi nel curiosare la merceria. Avevo il cuore in gola, ero eccitato da bestia, il fatto di trovarsi in una merceria da solo, era fantasmagorico. Un sogno, che mi perseguiva da vari anni, era quello di trovarmi da solo, nel piano intimo di un grande magazzino, uno di quelli, dove sono esposte le più belle cose al mondo, per metri quadri e metri quadri. Reparti giganteschi, dove l’intimo è esposto in zone, con tonalità di colori di tutti i generi.
Per noi, amanti della lingerie penso che sia il più bel sogno che si possa avverare. Non ero in un grande magazzino, ma ero in una merceria di un certo livello, a giudicare dalle marche. Immediatamente, diedi un’occhiata al negozio ed individuai la zona dei collant, in particolare quella delle calze di nylon per reggicalze. Mi venne subito un idea, non dovevo perdere tempo, ma potevo prendere un paio di calze da ogni s**tola che ne conteneva 10 senza destare sospetti. Nere, marroni, blu, bianche, grigie, sabbia, ecc…questi furono i colori delle calze, tutte di taglia da poter essere indossate. Poi passai agli espositori dei collant che erano della Perla, Gerbe, Philippe Matignon, Bombana, Omero, Sisi, ecc…presi a vita bassa, 15 den, 20 den, corpino nudo, autoreggenti sensualissime, disegnate, di vari colori, prendevo un po’ da una parte, un pò dall’altra. Per comodità, quando ero per consulenze, portavo sempre una ventiquattrore, morbida, che andai a riempire varie volte svuotando il tutto in macchina parcheggiata lì vicino. Erano presenti in un angolo due s**toloni, in offerta, uno di soli reggiseni, uno di sole mutandine, non vi dico quanti capi presi per poterli indossare con tranquillità a casa. Non riuscii a prendere purtroppo, nessuna guepiere, nessun reggicalze, sarebbe stato troppo rischioso. Nessuno non si accorse di nulla. Quando abitavo con i miei, nascondevo i capi intimi in camera mia, fortunatamente, avevo una stanza molto grande, in cantina, in garage, non fui mai scoperto dai miei, ora da sposato, il luogo più sicuro rimane sempre la cantina, molto ampia, dove bazzico solo io.
Ora vi devo raccontare una stravagante, ma stupenda avventura, una serata trascorsa con un trans, con delle gambe, vi giuro, più belle di una top model. Premetto che sono eterosessuale, ma un forte desiderio, era quello di poter indossare dei capi intimi di un trans, insieme a lui e trascorrere del tempo in tranquillità.
L’avevo più volte adocchiato, facendomi coraggio, gli spiegai cosa volevo fare, lui contento, mi disse di salire sulla sua macchina, così saremmo andati a casa sua. Lo seguì salendo le scale, ero rimasto letteralmente abbagliato dalle sue stupende gambe. Entrai in casa, fuori faceva freddo, si mise a suo agio, ma quando lo vidi che si stava svestendo, gli dissi di non farlo, perché mi piaceva vederlo così, indossava delle scarpe nere tacco 12, calze color carne, gonna in pelle nera molto corta, sopra un gubbottino che lasciava intravedere nella camicetta le curve del seno. Mi fece entrare nella camera da letto e mi aprì un armadio a sei ante pieno di vestiti stupendi e affianco una scarpiera con circa una cinquantina di scarpe di tutti i colori e di tutti i tipi. Guardandomi prese alcuni capi e mi disse di provarli, io subito chiesi se aveva delle calze e un reggicalze da indossare, me li diede, iniziai a vestirmi davanti a lui, infilarmi le calze, color marrone scuro, sentendo il fruscio del nylon mi eccitai a 1000, mi aiutò ad abbottonarmi il reggicalze bianco, mi diede delle mutandine bianche trasparenti, le indossai, un vestito intero molto corto di colore blu petrolio, un reggiseno bianco imbottito, e mi disse di provare 2 o 3 paia di scarpe. Lui portava il 42 io il 44, quindi mi aveva già consigliato alcune paia che potevano essere portate dal sottoscritto. Avevano un tacco 16 cm aperte in punta color nero, appena indossate, il trans mi disse che togliendo qualche pelo di troppo, avrei potuto far ammirare alla gente, le mie gambe di una notevole bellezza. Iniziai a camminare nella stanza, mi sedetti su una sedia, accavallai più volte le gambe, in quella posizione il cazzo era così duro che rigonfiava la gonna. Il trans vedendomi seduto sulla sedia, mi si sedette sopra di fronte, si sollevò la gonna, spostò le mutandine e tirò fuori il suo uccello molto duro e lungo e fece la stessa operazione su di me, faticò a farmi uscire il cazzo dalla mutandine, era così duro che si era incastrato. Lasciai l’iniziativa a lei che non tardò ad avvicinare i due cazzi, uno contro l’altro e dopo averli lubrificati con un olio, li segava entrambi con le sue stupende mani…mmmm…mentre mi segava ogni tanto sentivo le unghie che essendo piuttosto lunghe mi graffiavano, la cosa mi eccitava non poco, si mischiava un leggero dolore al piacere che stava sempre più esplodendo.
Dopo alcuni minuti, eravamo tutti e due molto vicini all’orgasmo, lo sentì, si fermò appena in tempo, giusto per far uscire alcune gocce bianche trasparenti che si fermarono sulle teste delle cappelle da ambedue i cazzi. Con la mano spalmò tutto sui nostri uccelli…fu bellissimo…appena vidi il primo schizzo di sperma uscire dal suo membro, lasciai andare anche i miei, creando una esplosione a 360°. Fu un’altra bella esperienza che sentivo di dover fare e che così feci.
Parlando di puttane, devo raccontare un secondo episodio oltre a quello accadutomi da giovanissimo, (vedi inizio IV parte della mia storia). Nel corso degli anni, in Italia, si passò dalle prostitute italiane, alle africane, alle albanesi, alle rumene, alle ungheresi, lituane, ecc…
Devo essere sincero le africane non mi hanno mai eccitato molto, i miei gusti sono piuttosto rivolti a una donna “ariana”, vale a dire la classica donna con capelli biondi, occhi azzurri, alta, fisico slanciato, ecc…
A differenza di molti altri miei amici, non posso vantare, come loro, nottate ad Amburgo, Amsterdam, Bangkok, con ladyboy, ragazze asiatiche, cubane, ecc…però voglio soffermarmi su due ragazze ungheresi di 22 e 24 anni che conobbi…tramite annunci sui giornali. Fissato l’appuntamento con una delle due, in un appartamento in periferia, ero pronto a tutto. Suonai, entrai, potei ammirare la ragazza veramente, ma veramente, la classica figa ungherese, bionda con occhi azzurri e che soprattutto sprizzava giovinezza da tutte le parti. Mi fece sedere su un divano a fare qualche parola. Mi dette subito l’impressione di una ragazza che si, era una puttana, ma che comunque voleva veramente rendere a suo agio e felice il cliente. Era gentilissima, sensibile, educata, umana, parlava molto bene l’italiano. Nel frattempo sbucò da un angolo l’amica anch’essa strafiga, che mi salutò come se ci conoscessimo da una vita e dopo avermi salutato si ritirò in un’altra stanza.
Aveva un vestitino molto corto, naturalmente non indossava calze, era estate, peccato, mi chiese quale prestazione volessi intraprendere, poco prima vidi i suoi stupendi piedini smaltati e la cosa mi fece subito rizzare il cazzo. Le chiesi se era disposta, come preliminari, a farsi leccare i piedi, lei naturalmente fu d’accordo. Aveva dei piedi stupendi, annusai completamente tutti e due i piedi dal tallone alle dita, iniziai a leccare passando la lingua in mezzo ad ogni dito, sentivo anche lo smalto sulle unghie. Era un momento fantastico, un odore meraviglioso, ad un certo momento mi venne da chiederle se anche l’amica aveva dei piedi stupendi come i suoi, lei mi rispose di si e la chiamò dicendole di partecipare, rimasi annichilito, forse potevo soddisfare un’altra mia fantasia, quella di leccare quattro piedi bellissimi di due stupende ragazze.
Scandal
Mi chiamo Carlotta e con mio marito Luigi sto benissimo se non fosse che ho una piccola perversione: a me piace fare del sesso con uomini
molto più grandi di me. E a lui piace questa cosa, se possibile gli
adora guardare, altrimenti si accontenta dei mie resoconti.
Tutto iniziò quando avevo 19 anni, e per una scommessa più che per
reale interesse. Con Luigi eravamo fidanzati da 2 anni e stavamo benissimo insieme, lui continuava a ripetermi di essere una ragazza tanto bella e seducente
che l’avrei fatto rizzare anche ad un morto.
Io mi schernivo di questi suoi apprezzamenti e dicevo che non era
vero, che non ero così bella.
Ma lui insisteva e diceva che anche i vecchietti con me avrebbero
avuto la loro bella erezione.
Questo botta e risposta era diventato quasi un rituale, finché un
giorno io per sfida gli dissi “allora portami un vecchietto e vediamo
chi ha ragione”
Passarono settimane e io non mi ricordavo nemmeno più della sfida che
avevo lanciato, quand’ecco che una mattina mi disse che alla sera
avremmo avuto un incontro con un suo conoscente 58enne e che
sicuramente avrebbe vinto la sfida.
Io avrei potuto rifiutare, dire che era uno scherzo fare qualsiasi
cosa pur di evitare quel incontro, ma la mia testardaggine ed immensa
egocentrismo mi impedì di ritirarmi e di rimangiarmi la sfida lanciata,
così finsi di non fare una piega ma per tutto il giorno non ebbi altro
che l’incontro serale per la testa.
All’ora pattuita Luigi mi passò a prendere io mi vestii bene ma non
troppo sexy, non volevo dare subito l’impressione di una di quelle,
andammo da questo signore, ci aprì un uomo distinto, curato, in forma
anche se chiaramente mostrava la sua età, dopo un’ottima cena e
qualche parola nel dopocena l’atmosfera risultava rilassata, il
signore, Carlo, è loquace e simpatico.
Luigi con una scusa se ne va, io a questo fatto non previsto, sono
piena di collera con lui, mi lascia li come una sgualdrina qualunque
nella mani dell’avventore. Ma ancora il mio carattere mi impedisce di
abbandonare la battaglia e mi ritrovo seduta sul divano con un 58enne
piacevolissimo ma troppo intraprendente; in breve tempo si avvicina e
inizia ad accarezzarmi le gambe, ancora il mio carattere mi impedisce
di scappare urlando, ma sto al gioco, lo faccio avvicinare, mi faccio
toccare, in breve lui mi è addosso e si sbottona i pantaloni facendomi
vedere il suo attrezzo, io avevo fin’ora visto solo quello di Luigi:
questo era completamente diverso, mollo, raggrinzito e con le palle
molto allungate e depilato, cosa che mi ha sorpresa non poco. Dava
l’idea di tutto fuorché uno strumento per la penetrazione simbolo di
forza e virilità. Comunque Carlo insiste con le sue avances e
chiaramente me lo porta all’altezza della bocca, io nell’imbarazzo e
nella collera verso Luigi trovo il tempo di esultare per il fatto che
ho vinto io, non sono così bella come dice lui, a Carlo non è
diventato duro. Intanto che scaccio questo pensiero e cerco soluzione
alla situazione in cui mi trovo ecco che me lo ritrovo in bocca,
morbido pezzo di carne. E da vivo una sorpesa dietro l’alta: il suo
sapore mi piace, sa di fresco e pulito a dispetto delle apparenze, è
piacevole sentire in bocca qualcosa di non duro, non mi era mai
capitato di sentire un pisello mollo, me lo assaporo, Carlo poveretto
si da fare e me lo spinge dentro e fuori, cerca di farlo diventare
duro, ma i minuti passano e io continuo a sentire solo una cosa molla,
ripeto non ero affatto delusa, anzi, avevo appena vinto la scommessa,
ma cosa sorprendente era davvero piacevole sentirlo così mollo nella
mia bocca.
Nella mia mente abituata a volere tutto e non perdere mai si fa
avanti un altro obbiettivo, un’altra sfida, farlo diventare duro a
Carlo e farlo godere.
Ecco allora che la mia bocca quasi istintivamente smette di
assaporarla con gusto ma si serra di più sul membro molle, inizio a
pompare e a stare più attenta alle sue reazioni. Finalmente qualcosa
si muove, non è più così mollo, ancora qualche sapiente colpo di
lingua e il gioco è fatto: me lo sento duro in bocca, nella sua
erezione è bello grosso, certo non è di marmo come quello di luigi ma
si difende bene, ora lo estraggo dalla bocca, il suo aspetto è
completamente diverso da prima, non è più rugoso e perfino le palle
sembrano essersi rassodate.
Ma il breve tempo di osservarlo è già troppo e l’erezione sembra
scendere, mi affretto a riprenderlo in bocca, Carlo si muove sempre più
convulsamente e finalmente viene, il fiotto è abbondante ma poco
potente, il gusto è strano, a differenza di quello di Luigi è più– non
saprei come dire, forse più stantio.
Mi alzo e vado in bagno dove sputo nel lavandino, mi sciacquo la
bocca, saluto Carlo di fretta e imbarazzatissima, lui ha ancora i
pantaloni abbassati e l’uccello, tornato mollo, al vento.
Me ne vado, rossa di vergogna per quanto fatto e di collera verso
Luigi che mi ha lasciato lida sola, ma già questa colera è meno di
prima e sta svanendo sempre più di pari passi alla presa di coscienza
di quanto vissuto. Appena esco dal portone lo trovo li, dovrei
scagliarmici addosso, ma non ci riesco, in fondo quello che ho fatto
mi è piaciuto, e molto. È stato bello sentire il membro di un vecchio
dentro di me, ecco da dove arrivava il senso di vergogna.
Salgo in macchina con Luigi, per un po’ non parliamo, poi lui si
proclama vincitore, io glielo faccio credere, tanto io sono felice, ho
scoperto un mondo nuovo, non è che Luigi non mi attragga, anzi tutto
quello che ho vissuto nella serata mi ha eccitata, lo invito a
fermarsi in un posto isolato e facciamo l’amore come non mai.
Dopo gli confesso che mi è piaciuto avere che fare con un vecchio e
che vorrei riprovare, lui mi guarda e mi dice che non c’è problema,
per me farebbe qualsiasi cosa.
Oramai la nostra trasgressione è consolidata, è da qualche anno che
Luigi organizza incontri tra me e uomini molto maturi, con frequenza
altalenante in base ai nostri impegni.
È luglio ed è da più di un mese che non abbiamo week end liberi, ma
finalmente per il prossimo si prevede riposo.
Il venerdì sera quando Luigi ritorna a casa alle otto passate mi dice
“beh…. che fai ancora li? le hai preparate le valige?” allo stupore che
mi si legge sul viso risponde che ha organizzato il fine settimana in
un albergo in bassa montagna, al fresco, dove possiamo riposarci e
rilassarci, anche con l’aiuto delle terme annesse all’albergo stesso.
Io sono felicissima e gli do un bel bacio come ricompensa, in meno di
un’ora (record assoluto per me) ho preparato le valige e sono in
macchina pronta per la partenza.
Il posto è bellissimo e già il sabato ci godiamo massaggi e bagni
termali, l’albergo è davvero carino, non eccessivamente lussuoso ma
neanche troppo spartano: il giusto compromesso.
A pranzo guardando gli altri ospiti dell’albergo mi viene
un’illuminazione, il mio volto deve mostrare qualcosa perché Luigi
inizia ad abbozzare un sorriso che si tramuta in una risata profonda
e sincera.
Come ho fatto a non pensarci prima?? sebbene non siamo l’unica coppia
giovane, la maggior parte dei clienti è formata da persone avanti con
l’età e quindi il terreno ideali per coltivare il nostro gioco.
Il mio stato d’animo cambia radicalmente e inizio ad essere un po’
eccitata ed impaziente.
Il pomeriggio passa e a cena Luigi mi suggerisce di farmi bella, io
per non essere troppo fuori luogo scelgo un giusto compromesso per non
sembrare alla prima della Scala.
Mentre mangiamo osservo con attenzione gli altri ospiti dell’hotel e
a fine cena Luigi mi chiede se ho qualche preferenza, gli indico un
paio di persone, a mio avviso molto piacenti e lui con fare sicuro mi
dice di aspettarlo in camera.
L’attesa è lunga e io la passo come al solito a chiedermi come faccia
ad introdurre l’argomento e a convincerli che non sono né una
prostituta né che si tratta di uno scherzo, è un segreto che non ha
mai voluto dirmi, ma in fondo il risultato è quello che conta.
Alle undici passate finalmente sento dei passi che si fermano davanti
alla porta, bussano, io rispondo che si può entrare è aperto, compare
Luigi che mi invita a scendere giù al bar, non lascia trasparire nulla
su come è andata con le persone che ho indicato.
Arrivati al bar mi fa strada ad un tavolino, dove con mia grande
sorpresa vedo che ci sono entrambi i signori che avevo “segnalato” a
Luigi
Oltre ad essere piacenti sono pure molto simpatici, soprattutto
Giulio.
I nostri due compagni di serata sono Giulio appunto, 58 enne,
divorziato, avvocato, capelli bianchi ma ben curati e Antonio 64 anni,
celibe, pensionato, pochi capelli ma non calvo.
Dopo un’oretta di amabile conversazione vedo che Giulio e Antonio
cercano di accorciare i tempi, io mi diverto a tenerli un po’ sulle
spine e fingo di non accorgermi della loro impazienza, Luigi mi regge
il gioco benissimo.
Dopo essermi divertita a sufficienza mi allontano con Luigi un attimo
per confessare che non so chi scegliere, lui mi guarda e mi sorride
“perché scegliere?” io rimango un po’ allibita dalla naturalezza con
la quale dice questa frase e dalla proposta che mi ha fatto, non sono
mai stata con due uomini assieme, ma l’idea mi stuzzica.
Ritorniamo al tavolo dove io dico che devo recarmi un attimo in camera
per rinfrescarmi, i due evidentemente sono eccitati ma non capiscono
se è un due di picche oppure un invito a seguirmi, Luigi interviene in
loro aiuto prendendo la bottiglia che è sul tavolino e dicendo che
forse potremmo finirla in camera nostra, ovviamente se loro sono
d’accordo.
Arrivati in camera vedo che Antonio è particolarmente teso, e quindi
dedico subito a lui le mie attenzioni, mentre Luigi si gode la scena
dal letto.
Mi siedo infatti in braccio ad Antonio per sorseggiare lo spumante, e
la sua mano lentamente risale le gambe nude fino ad incontrare la
gonna dove si arresta, io con malizia mi muovo in modo da far salire
sempre più la gonna, mi accorgo anche che dalla sua posizione, Giulio
riesce a vedere benissimo le mie mutandine e non fa certo mistero di
apprezzare il panorama.
In breve tempo la mano di Antonio si fa più audace e arriva a toccarmi
l’interno della coscia, io lo rimprovero scherzosamente e lui ritrae
la mano per toccarmi il seno, il contatto con la sua mano vissuta,
seppur attutito dalla camicetta mi fa impazzire e con la mia mano
stringo la sua, come a sottolineare che voglio continui a toccarmi
A questo punto Giulio si avvicina e mi accarezza a sua volta le gambe
fino ad arrivare velocemente alle mie mutandine e mi accarezza il
sesso attraverso la stoffa.
È la prima volta che mi trovo due uomini addosso, mi sento
particolarmente disinibita ed eccitata, ma anche un po’ “zoccola”,
per fortuna lo sguardo beato di Luigi mi fa subito passare questo
brutto pensiero.
Le loro mani continuano a toccarmi sul seno e in mezzo alle cosce,
scendo dalle gambe di Antonio e mi inginocchio in mezzo a loro, apro
la patta di Giulio, mentre Antonio fa da sé, ecco che mi ritrovo i
loro due uccelli ad altezza viso: quello di Giulio è ancora moscio ma
è piuttosto generoso come dimensioni e i peli brizzolati intorno
stanno molto bene e creano un bel contrasto con la carnagione scura;
quello di Antonio è quasi interamente in erezione, la cappella è
lucida e gonfia, oltre che un po’ arrossata. Evidentemente è tutta le
sera che pregusta questo momento.
Io sinceramene sono un po’ in confusione, non mi sono mai trovata in
questa situazione, posso solo cercare di imitare quello che ho visto
fare nei film porno visti con Luigi, e quindi li spompino
alternativamente, mentre con la mano massaggio quello che non ho in
bocca.
I loro sapori sono diversi, più fresco quello di Giulio, più
sudato(forse per l’emozione?) quello di Antonio, ma nessuno dei due
sgradevole.
Mi concentro di più a prendere in bocca quello di Giulio un po’ perché
è quello che fa più fatica, ma soprattutto perché a me piace sentire
l’uccello mollo in bocca, è una sensazione stranissima che non so
spiegare, ma è bello sentire il salsicciotto non duro, ed ancora più
bello è sentire che ci mette del tempo a indurirsi e che ci vuole
devozione e impegno a farlo irrigidire, è una sorta di sfida tra me e
la forza di gravità.
Mentre continuo ad alternarmi i due cazzi in bocca le loro mani sono
instancabili e mi toccano ovunque, mi sbottonano la camicia e scoprono
il seno toccandolo poi con le mani rugose, la ruvidezza di quelle
mani mi fa impazzire e ogni volta che sfiorano il capezzolo gemo dal
piacere. Questa sensazione è particolarmente esaltata da Antonio, le
sue mani sono più dure e rugose di quelle di Giulio e ovunque mi
tocchi mi fa provare emozioni intense.
Vedo Luigi che si sposta dal letto per mettersi su una sedia che gli
offre una migliore visione, Giulio subito approfitta del letto libero
e mi solleva sdraiandomici, quindi inizia a leccarmi le gambe e
salendo rapidamente fino agli slip, li abbassa e inizia a leccarmi il
sesso già umido, le sue linguate sono forti ed esperte: mi fanno
impazzire. Mentre godo e mi contorco per le leccate di Giulio,
Antonio continua a farselo succhiare e a toccarmi il seno, sto
impazzendo non riesco a controllare tutti questi stimoli, Antonio
affonda il suo membro nella mia bocca con sempre più forza e velocità
poi si ferma di s**tto, fa per estrarlo ma è troppo tardi, un fiotto
di sperma caldo mi schizza in parte in bocca in parte sul viso, io
quasi non me ne accorgo tanto mi fa godere Giulio con la sua lingua.
Antonio finisce di scrollarlo sul mio collo e poi prova a rimettermelo
in bocca, è già afflosciato, ma è meraviglioso sentirlo nella bocca:
molle e umido di sperma; lo succhio con piacere e anche Antonio ne
prova, ma non riesce a ridiventare duro, io però sono estasiata
dall’avere in bocca il suo uccello mollo e sentire al contempo la
lingua di Giulio che si intrufola nel mio sesso.
Sto gemendo e ansimando, voglio essere scopata, imploro di esserlo e
Giulio coglie l’invito mettendosi su di me e facendo capire ad Antonio
di spostarsi.
Il cazzo di Giulio ora è bello duro e in tutta la sua erezione mi
accorgo che è davvero notevole, ecco, lo punta sul mio sesso e con un
colpo deciso entra senza problemi in me, mi sento piena, ma non ho
neanche il tempo di abituarmi a questa sensazione che Giulio inizia a
pomparmi con forza e regolarità, spingendolo sempre a fondo, una, due,
tre, dieci, venti, cinquanta volte e godo, urlo dal piacere, un
piacere profondo che nasce dal clitoride e si trasmette lungo tutto la
schiena fino al cervello.
Passato l’orgasmo mi rilasso ma Giulio continua a penetrarmi con
regolarità, io mi sto eccitando di nuovo, giro la testa di lato e vedo
Luigi che è estasiato dallo spettacolo, dall’altra parte c’è Antonio,
nudo, soddisfatto ma anche rammaricato di avere già finito, lo vedo
col suo cazzo moscio e non posso resistere, allungo la mano verso di
lui e lo tiro vicino alla mia bocca, lui capisce e si mette in modo
che possa succhiargli l’uccello, ora sono davvero estasiata: un bel
cazzo duro che mi sta scopando e uno mollo in bocca.
Il cazzo di Antonio, seppur molle o forse proprio per questo, è un
amplificatore delle sue emozioni, dei suoi fremiti, sento ogni
tentativo che fa di farlo rizzare, mi godo questi movimenti e mi godo
la sua consistenza.
Giulio ha aumentato la frequenza dei colpi e sta ansimando “vengo
vengo” urla e poco dopo sento un caldo liquido dentro di me mentre lui
si accascia sul mio corpo. Antonio continua a farselo succhiare e io
lo faccio con molto piacere, chissà se mai gli tornerà duro stasera
penso.
Giulio si alza dalla sua posizione si mette di lato a leccarmi le
tette, mi mordicchia e lecca il capezzolo facendomi sussultare dal
piacere; sento Antonio che si sta muovendo con sempre più frenesia,
sento il suo membro che si indurisce un poco, quasi
impercettibilmente, poi un sospiro e un’esclamazione di piacere;
nella bocca mi si riversa un po’ di liquido caldo e poco denso;
Antonio mi guarda quasi a scusarsi, io gli sorrido e lo succhio ancora
un po’ mentre il suo volto si rasserena.
Giulio continua a toccarmi e leccarmi il seno, con una mano prendo il
suo uccello e lo massaggio, si sta riprendendo, Antonio si stacca
dalla mia bocca e inizia a massaggiarmi la fica poi infila un dito, io
ansimo sentendo il suo dito che si fa strada, Giulio mi guarda e mi fa
sedere sul letto e me lo mette in bocca, è semi duro, sento il gusto
dei mie umori e del suo sperma.
Antonio continua a masturbarmi facendomi gemere mentre lo succhio a
Giulio che nel mentre mi tocca il seno, stiamo così per almeno 10
minuti, Giulio è tornato in tiro e Antonio mi sta facendo godere, sono
pronta per avere l’orgasmo ma ogni volta manca qualcosa, sto impazzendo
dal piacere e dalla voglia di godere: con il bacino cerco di
assecondare il suo movimento.
Ecco continua così si, godo; godo in modo meno intenso di prima ma il
piacere è più lungo più duraturo nel tempo.
Giulio mi guarda e sorride e mi accarezza mentre continua a far
entrare ed uscire il membro dalla mia bocca, è un gesto di una
tenerezza mai provata, simile a quello di un nonno con la nipote o di
un papà con la figlia, io per ricambiare gli massaggio le palle e la
base dell’uccello, lui se lo prende in mano, lo tira fuori e inizia a
masturbarsi venendomi in faccia, con una sborrata non molto abbondante
ma densa e forte.
Io sorrido, si china su di me e mi bacia, mi lascio andare sul letto,
Luigi è eccitatissimo, lo vedo dalla faccia e dalla protuberanza dei
calzoni.
I due sono stanchi e felici, anche io del resto lo sono.
Giulio e Antonio capiscono dagli sguardi tra me e Luigi che il loro
tempo è finito, una veloce rinfres**ta in bagno e se ne vanno.
Io resto li nuda sul letto bagnata del loro sperma, guardo Luigi e gli
dico che ho bisogno di una cazzo vero e duraturo, lui si spoglia, il
suo cazzo è di marmo, me lo mette prima in bocca e poi scopiamo in
tutte le posizioni, io godo almeno altre 4-5 volte, alla fine mi
addormento spossata. Quando mi sveglio al mattino dopo sono ancora li
nuda e schizzata dallo sperma di Luigi, Giulio e Antonio ma mi sento
davvero bene, sono rinata, proprio il week-end che ci voleva …
Fino in fondo
Mi chiamo Rosa, ho sessant’anni… e sono piegata sul tavolo della cucina di casa mia.
Ho i gomiti e gli avambracci poggiati sul piano, per sostenermi; le mani conserte, non giunte, perché non sto pregando! Al contrario… Forse sono in procinto di compiere il più inconfessabile dei peccati della vita mia.
Non so quanto questo contribuirà alla mia perdizione, ma sono ancora una bella donna. Alla mia età non si può più mentire, o illudersi: il fisico parla chiaro della tua salute, non della tua bellezza. Basta pesarsi; basta che gli acciacchi e i dolori dell’artrite non ti facciano procedere storta, o peggio. Le carni toniche, il culo sodo, i seni consistenti… se a sessant’anni sei così: allora sei, indiscutibilmente, una bella donna… ed io, fortunatamente, sto benissimo. E poi da giovane ero molto bella… è innegabile, basta osservare le foto, che conservo tanto amorevolmente. Nonostante questo, sono quasi certa che, la bellezza, sia solo l’ultima delle attrattive che potrebbero indurmi a essere complice di un esecrando peccato… e, di conseguenza, peccatrice io stessa.
La cosa che mi perderà, ne sono certa, è la cultura. L’amore, (che adesso maledico) per la lettura, la conoscenza. La passione per le arti e per i grandi artisti… poeti, pittori, scultori: amanti del bello, per forza di cose e pertanto, irrimediabilmente, lascivi, molli al peccato; promiscui, sessualmente confusi.
Maledetta! Se non avessi amato tanto la cultura, sarei stata di certo meno sensibile, meno permissiva; non mi sarei persa ogni volta in mille se e mille ma!
Probabilmente non mi sarei accorta di niente, oppure avrei gestito la cosa “a suon di ceffoni”. Come quelle belle mamme di una volta, che allevavano i figli alla maniera Spartana: o sopravvivevano, maschi e a****leschi, o restavano, per tutta la vita, imbelli, instabili, spesso froci.
Invece io, a furia di pensare, rimuginare, attendere, sperare, mi sono ridotta così.
Piegata, come si suol dire, a 90 gradi, o come ancor più volgarmente si definisce, “a pecora”, sul tavolo della cucina, in una complice penombra.
Per rendermi più disponibile, più comunicativa; per trasmettere il “messaggio” che la mia bocca non oserebbe mai profferire, ho cercato anche di abbigliarmi, in modo da farmi intendere.
Certo, non ho più nulla della lingerie che indossavo da giovane: apparecchiata, pronta per il piacere di mio marito, né la indosserei. Al posto delle collant contenitive, però, indosso le calze nere, autoreggenti, con la riga dietro. Le avevo in casa da chissà quanti anni, ancora intatte nella loro confezione. Ma comunque non si vedono sotto la gonna, nera e stretta, che mi arriva al ginocchio… chissà, forse stando così, piegata, la gonna dietro è salita un po’ più su? Di sopra porto solo una camiciola, ma niente di comodo, niente di ciò che adopero normalmente per starmene tranquilla, a casa mia.
Lo stesso vale per le scarpe col tacco, anche quelle, recuperate dal passato. Niente di speciale, per l’intimo, uso sempre lo stesso da anni: mutande classiche, elastiche, nere o bianche, e reggipetto robusto, indispensabile a contenere la mia quarta di seno. Avrei ancora dei vecchi slip e qualche perizoma, giusto per fare contento mio marito, qualche volta, ma mi sarei vergognata di farmi trovare così… se mai dovesse accadere ciò che temo di più.
Una cosa la posso dire, la posso giurare davanti al mondo: non l’ho mai desiderato! Mi sono sorpresa, indignata, divertita, persino sconvolta, ma non l’ho mai desiderato; non l’ho mai sognato, nemmeno nei più irraggiungibili meandri della mia psiche. Solo questa sera, solo adesso, solo in questa posizione di offerta, di attesa, di aspettativa… solo adesso, per la prima volta, nella mia pancia comincia a muoversi qualcosa. Un tramestio caldo, a ondate, non un vero desiderio ma… una specie di preparazione. Qualcosa di a****le e di incontrollabile, probabilmente ancestrale: per migliaia di anni, la femmina prona, si è sottomessa al suo maschio. Se ne stava lì, in quella posizione, a volte persino per strada, o nel bosco. Si piegava, e attendeva l’erezione. Si piegava e si posizionava favorevolmente, per rendere facile e rapida la penetrazione.
Fino in fondo, figlio mio 2
Sono passati quasi vent’anni da quando mi accorsi che qualcosa non andava…
La mia ragazzina aveva circa tredici anni e suo fratello due di meno ma lui era già curioso, attratto dal sesso, nonostante fosse così piccolo. Non perdeva mai l’occasione se si trattava di guardarmi, sotto la doccia, quando mi cambiavo, e faceva di tutto per toccarmi, o per strusciarsi sulla mia intimità. Non ci si faceva troppo caso, ci scherzavamo sopra e tutto finiva lì. Cose da ragazzi, mi dicevo, e pure mio marito la pensava come me. Crescendo, però, le manifestazioni fisiche aumentavano invece di diminuire. Troppe effusioni nei confronti della mamma per essere un ragazzo così cresciuto… e sempre, sempre, quel mettermi le mani addosso, come tentacoli di una piovra. Tant’è vero che, cogliendomi spesso impreparata, mi dava fastidio e, a volte, lo redarguivo.
Una volta, distratta dai lavori di casa e inseguendo chissà quali pensieri, entrai nel bagno senza bussare. La porta era appena accostata; avevo le mani impicciate e spinsi l’anta col piede per aprire. C’era mio figlio, dentro, ma ci misi qualche momento a capire ciò che mi si parava davanti agli occhi.
Il ragazzo era seduto sullo sgabello, il tronco all’indietro, le gambe allungate e aperte. In equilibrio precario e gli occhi socchiusi, stava venendo, masturbandosi, esattamente nel momento in cui realizzai ciò a cui stavo assistendo.
Sono certa che il poverino non mi vide, non fu per malizia che sborrò davanti alla mamma, almeno… non poteva prevedere che sarebbe accaduto. E’ molto probabile che si sarebbe fermato, ricomposto, se solo fossi entrata trenta secondi prima. Ma adesso, nel pieno dell’acme, gli occhi chiusi e il corpo rigido per l’emozione, non avrebbe potuto bloccare l’orgasmo. Infatti venne copiosamente, eruttava continuamente dal pene i fiotti bianchi, sembrava non finire mai… ed io, là, immobilizzata dalla sorpresa; incapace di decidere subito quale sarebbe stata la cosa più giusta da fare. Quando si riprese e si accorse di me, si raggomitolò su se stesso in preda al panico. Non lo sgridai… non feci niente: dovevo essere, a mia volta, uno spettacolo. Ferma sulla porta, con gli occhi sgranati, con tutti i panni che mi erano caduti dalle mani, sparsi sul pavimento. L’imbarazzo più totale ebbe il sopravvento… tornai sui miei passi senza nemmeno accostare la porta.
Quel giorno mi tenni pronta a rispondergli, qualunque cosa il mio ragazzo avesse detto a sua discolpa, ma lui non disse assolutamente niente; semplicemente, per quello e per i giorni successivi, fece del suo meglio per evitarmi. Soprattutto evitava accuratamente di guardarmi negli occhi, anche quando parlavamo tra di noi.
Di quell’episodio non trovai mai l’occasione per parlare a mio marito.
Il tempo passò ed io sperai che tutto fosse dimenticato, con la crescita e con le frequentazioni di un giovanotto. Il mio ragazzo era pieno di amici, simpatico e benvoluto. Questa per me era solo una grande gioia!
Ma una mamma vede meglio di un gatto, naturalmente… Così mi accorsi che alcune cose continuavano a capitare, ma adesso non ero più una sprovveduta. Tenevo un certo controllo della situazione; mi ero addirittura preparata dei “discorsetti” ad hoc, da adoperare in caso di bisogno, per rimettere in riga quel mio ragazzo, un po’ troppo innamorato della sua mamma.
E delle cose avvennero…
Qualche volta si masturbava in camera sua; qualche volta sotto la doccia. Quando ci capitava di restare soli, a volte lasciava le porte socchiuse e non soffocava con troppo impegno i suoi mugolii e i suoi sospiri. Io lo controllavo discretamente, tenendomi pronta a rintuzzarlo, ma non accadeva niente di più, niente che giustificasse un mio intervento troppo drastico o crudele. E così, combattevo la mia piccola battaglia sempre con la stessa arma: l’indifferenza. L’altra cosa che capitava, e sempre quando eravamo soli, era collegata a una sua vecchia abitudine: con l’arrivo della stagione calda, andava in giro, quasi sempre, con addosso solo gli slip. Ora che era grande, in casa ci stava molto meno ma, in compenso, quando circolava in mutande, era sempre, immancabilmente e visibilmente, in stato di erezione.
Fino in fondo, figlio mio 3
Una volta sì… una volta fui sul punto di intervenire sul serio, anche se non ero chiamata in causa direttamente. Una notte, in camera della sorella, i ragazzi, si masturbarono insieme, ognuno per sé, ma insieme. Probabilmente la conversazione che avevano tenuto era particolarmente eccitante… ma poi, lui si alzò e se ne andò in camera sua, senza nemmeno provarci a toccare sua sorella. Mi era difficile capire come comportarmi, ma mia figlia era grande e ci dicevamo tutto. Le parlai apertamente, un paio di giorni dopo… lei prima fece finta di niente, poi capì, e mi rassicurò.
«Mamma, è stato solo un caso… una cosa nata dall’intimità che ci lega,» disse «te lo posso anche dire, è successo qualche volta, da ragazzini, tu non l’hai mai saputo. Non so, forse la curiosità verso il sesso, l’intimità, l’affetto ma non è mai successo niente di più. È stato un momento… come dire? Confortevole, intimissimo. Ma nulla di più, sta tranquilla!»
L’altra cosa che notavo (e che tenevo per me), era che lui, e certamente lui, quando non ero in casa, curiosava tra la mia biancheria intima. Un uomo non può capire ma io mi accorgevo perfettamente di tutto. Faceva del suo meglio per rimettere tutto in ordine ma io capivo lo stesso se aveva frugato. Anche le calze toccava, e forse le prendeva. Sarò sincera fino in fondo… forse le indossava, di nascosto. Era una cosa che mi rendeva molto confusa. Ad esempio non ho mai voluto indagare, né controllare, se sbirciasse anche nei panni sporchi. Quella cosa mi dava i brividi.
Però tutto questo avveniva durante grandi lassi di tempo, non erano episodi concentrati ma sporadici. Forse per questo non sono mai arrivata a porre un punto fermo, con mio figlio.
Quando si fidanzò per la prima volta, quando divenne adulto, le cose ritornarono del tutto normali. Gli anni passavano, lui viveva la sua felice gioventù, io invecchiavo. Come i giochi dell’infanzia, anche questi episodi vennero sopiti o dimenticati. E, alla fine, chi ci pensava più, se non con tenerezza, da quando, il mio ragazzo, ha iniziato a mancarmi veramente tanto?
Aveva trovato la donna giusta, e così era andato a vivere con lei, nella loro nuova casa, per formarsi una loro famiglia. Stesso destino anche per la femmina, ormai sposata da qualche anno.
Ce ne stavamo sereni, io e mio marito, adesso soli nella nostra casa. Ci sono sempre piaciuti i giochi dell’amore: e questa è la migliore medicina per un matrimonio felice. Inoltre, e grazie a Dio, i nostri figli non vivono lontani, così, quasi ogni domenica, la casa si ripopola, con nostra grandissima gioia, visto che la famiglia si è arricchita con l’arrivo di un bel nipotino. Una famiglia perfetta! Non siamo gente ricca ma assai fortunata, abbiamo avuto il dono dell’amore reciproco e del rispetto. Ci vogliamo bene, siamo uniti, che cosa potremmo desiderare di più per vivere in pace?
E invece…
Invece eccomi qui, in posa, come una donnaccia, nella penombra della mia cucina, in attesa di ciò che non dovrebbe mai succedere… e che forse non accadrà, come spero con tutta la forza della ragione.
Perché?
E come si fa a spiegare perché? Non lo so nemmeno io; non ho giustificazioni morali, non ho alcuna teoria, nessuna filosofia che giustifichi quest’atto. Non me ne vogliate ma credo di essere qui, prostrata in questo stato, per amore, solo per amore.
Da un paio d’anni lui ha ripreso “le ostilità”. Proprio quando tutto sembrava finito, talmente lontano nel tempo, da farmi dubitare che fosse mai successo!
Lui ci prova, di nuovo, e non è più un ragazzino… eppure fa cose che, se depauperate della loro componente erotica, si potrebbero persino considerare infantili. Cerca sempre il sistema migliore per abbracciarmi, per toccarmi, e non solo: mi viola i seni, se può farlo, o le cosce, o i piedi… sempre con una scusa, sempre approfittando di un sotterfugio, ma… amore mio, come potrei giudicarlo? Per me è lampante che, se fa così, non è per stuzzicarmi. Si nasconde sotto questi “mezzucci” perché non riesce, non resiste più. In tanti anni non si è ancora rassegnato… questo può significare una cosa sola: questo chiodo fisso, questo desiderio impuro ma incontrollabile gli starà rovinando la vita.
Il mio ragazzo non è un maniaco. Non è uno sfigato; ha una vita serena, ha una bella ragazza vicino. Solo una bramosia più forte di una droga può ancora tenerlo legato alla sua vecchia madre. Una donna che adesso ha letteralmente il doppio dei suoi anni… non può essere attrazione; non può essere un’esigenza di sesso. Come un tarlo, questo desiderio malato se lo sta divorando il mio ragazzo. Ed io donna matura, esperta, spesso ritenuta persino saggia dai miei cari, non so trovare soluzione, non so dare spiegazione.
In questa cucina lustra che mi ha vista sposa fedele per tanti anni, potrei consumare un atto orrendo!
Mi sono decisa a muovere un primo, timido, passo per dare un segnale. Io ho trovato la sua traccia e sono certa che lui l’ha lasciata espressamente affinché la trovassi. Una settimana fa, i ragazzi sono stati a cena da noi. Alla fine della serata, tutti a casa; mio marito a letto, io da sola nel bagno, mi accingevo a far partire la lavatrice. Prendevo dalla cesta i panni asciutti e li passavo, uno per volta nel cestello, pronta a far partire il ciclo dei colorati. Mi sono accorta di avere le mani imbrattate, ma non era acqua, sembrava più sapone… strano. Spontaneamente feci il gesto che ogni donna avrebbe eseguito: portai le dita sotto il naso per sentire l’odore e… rabbrividii. Non potevo sbagliarmi, la mia mano era sporca di sperma. La scoperta fu talmente sorprendente e improvvisa che la prima sensazione che provai fu di repulsione. Mi ripresi e cercai di ragionare…
Com’era possibile? Da dove proveniva quella roba? Di certo era stata deposta da poco, infatti era ancora liquida, un po’ collosa. Con molte precauzioni tirai fuori, uno per uno, i panni appena caricati. La sborrata, copiosa, era stata perpetrata in un paio di mutande: le mie, le nere. Erano piene, sporche di bianco.
Non avevo alcun dubbio su chi fosse il colpevole. In quel momento il sangue mi salì alla testa, pensai mille cose, mille reazioni possibili.
Lo chiamavo? Aspettavo il giorno dopo per essere sola? E cosa gli avrei detto?
Ecco, lo sapevo, solo due parole… e ci saremmo capiti!
“Ma sei impazzito!?” oppure qualcosa tipo, “Ebbene? Cosa credi di fare?”
Ma il giorno dopo ero bloccata. Mi sentivo debole, inutile, indifesa e, soprattutto non avevo idea di come comportarmi.
Così, son passati i giorni, le emozioni non sono cambiate, affollando la mia mente, congelando la mia capacità di decidere, e così siamo arrivati a questo!
Oggi era il giorno propizio, siamo soli in casa: soli io e lui. Suo padre è fuori e tornerà solo dopodomani. L’ho fatto pranzare, come al solito. L’ho lasciato riposare sul divano, come fa da quando era un ragazzino. Ho rassettato tutta la casa; reso la cucina un brillante. Poi ho fatto la doccia e, con l’acqua, all’improvviso ho deciso di lavare via anche il mio ruolo di madre. Mi son rivestita come meglio ritenevo, come donna, lo ripeto, e non come madre. Devo ammetterlo, ma non me ne vergogno, mi sono vestita come avrei fatto per ricevere un amante segreto… Ma non per voluttà.
Non so come andrà a finire, adesso, i minuti passano, scorrono lenti, centellinati dal vecchio orologio, sul frigorifero.
Quando sono tornata in cucina; lui guardava la TV. Era concentrato, sembra avermi ignorata. nei giorni passati, dopo la scoperta nel bagno, non ha dato segni. Niente di speciale, del tutto indifferente, ma io non ci casco: sono sua madre e non ci casco. E’ stato lui. L’ha fatto apposta e voleva che io, prima o poi, lo scoprissi. Il suo messaggio era forte, deliberato.
Ebbene, eccolo accontentato. Ho evitato di accendere la luce grande, ma solo i due faretti, incastonati nella cappa sul fornello. Gli ho girato le spalle e mi sono appoggiata al tavolo, come fossi lì, a pensare ai fatti miei.
Ma niente è “normale” questa sera. Io non vesto mai per casa come se dovessi uscire la sera. Non prendo mai una posizione del genere, in casa mia…
E adesso aspetto. È quasi una sfida. Sono più di dieci minuti che sono là, comportandomi come se non ci fosse… Poi, all’improvviso, sento che qualcosa si muove. È lui! Resto ferma, non mi volterò, è deciso; lascerò che accada quel che accada, pur di spezzare quest’incantesimo maligno, in un modo o nell’altro.
Ha abbassato l’audio della Tele, lo sento che si aggira per la stanza, sembra indeciso. Si muove come un gatto attratto da un boccone succulento ma anche pauroso di essere sorpreso sul più bello. È circospetto… di certo non sa cosa pensare: chissà quante volte ha sognato un momento simile ma, probabilmente, lui stesso, ora che il sogno potrebbe avverarsi, è abbastanza scettico, incredulo.
Ha spento la luce. Ora la stanza è illuminata solo dagli sbalzi soffusi, lontani, del televisore a LED.
Lo sento alle spalle, si è avvicinato, percepisco la sua presenza ma non mi volto. Non mi tocca. Di certo mi sta osservando… sento i peli sulla nuca rizzarsi.
Credevo, nella mia follia, di poter sopportare la situazione, invece, in meno di un secondo, sono diventata rossa come un peperone. Lo so perché le mie guance bruciano, mentre il resto del corpo lo sento raggelarsi.
Com’è strano: quando ci accade qualcosa che riteniamo del tutto impossibile. Siamo sempre stati sicuri di non poterlo mai affrontare e invece, misteriosamente, siamo lì a sopportare l’incredibile e, forse, persino a passarci attraverso.
Resto ferma come una statua di sale… è già troppo quello che faccio… quel che “provo” ad offrire. Sì, provo! Perché non sono assolutamente sicura di res****re; non posso sapere fin dove ci spingeremo. Non posso garantire sulla mia reazione fisica. Adesso, anche se siamo così vicini, non provando nessun piacere, i miei sensi non sono ottenebrati, quindi il sentimento più potente che mi sovrasta è la vergogna. Una mortificazione doppia, che aumenta sino all’insopportabile, perché ho vergogna oltre che per il possibile atto, osceno di per sé, anche per la mia età. La differenza mi avrebbe fatto sprofondare, chiunque ci fosse stato, quella sera, alle mie spalle… dal garzone del salumiere al migliore amico di mio figlio. Un ragazzo addosso a un’anziana signora; questo era! L’innegabile, squallida realtà.
Potrei essere una bella signora per un coetaneo; posso piacere ancora a mio marito, ma se giaccio con un trentenne già questa, questa sola, è una depravazione. Però, dietro di me non c’è un ragazzo qualunque: c’è mio figlio! E la cosa è assai più complicata… imperdonabile. Ha un nome, un nome che, da solo, fa venire i brividi… una parola che ho evitato di formulare nella mente per quasi vent’anni: si chiama i****to.
Avrei voluto restare immobile ma non sono riuscita a non sobbalzare; sorpresa, mentre divagavo persa in mille angosce, ho avuto uno scarto spontaneo, quando le sue mani si sono poggiate sulle mie spalle. Ora sono ferma, di nuovo.
Lui ha avvertito il mio s**tto. Ha ritirato le mani come si fosse scottato, ma poi le ha poggiate di nuovo; forse più deciso, più sicuro di sé.
Piano, delicatamente, mi si china completamente addosso: le mani sulle spalle, il petto sulla schiena, il pube sulle grosse chiappe. Non ho sentito la sua virilità e ne sono felice. Un pensiero cretino mi attraversa il cervello, quasi sorrido… certo d’imbarazzo. È mio figlio, lo conosco bene, e so perfettamente che se il suo membro fosse duro lo sentirei, lo sentirei molto bene, visto che ha “un’attrezzatura” notevole; qualche volta persino oggetto di scherno, in famiglia. Il suo pene non mi faceva certo impressione: nonostante sia adulto, all’occorrenza, lo avrei guardato o toccato mille volte, senza tema, moscio o rigido che fosse… per lavarlo, per curarlo, per un’esigenza, un aiuto di qualsiasi genere. Ma pensarlo in vagina, no! Quello proprio non ce la facevo, mi sentivo svenire.
Si è appoggiato su di me, tenerissimo, fa di tutto per non pesarmi; sento il suo fiato, veloce e alterato, dietro l’orecchio… Ho lavato anche i capelli. Ho fatto bene!
Passano i minuti. Per fortuna non mi parla, non sarei in grado di rispondere.
Adesso si alza, mi resta pressato solo sul sedere. Con le mani inizia a massaggiarmi la schiena. Mi piace tanto e mi aiuta a distendermi: “Ah, se tutto finisse così…” penso tra me ma non ne sono convinta. Mi stringe le spalle con le dita e le manipola, poi scende, piano ma deciso, lungo i fianchi e i reni. Come sto bene. Continua scendere e salire, poi stringe le mani verso la spina dorsale. Dio solo sa quanto è gradevole, per la mia povera schiena, di madre che lavora sempre.
È tutto solo piacere intenso, potrebbe persino restare innocente. Il suo pene ancora non lo sento. “Buon segno”, mi dico “forse sfuggiamo a questo tremendo destino.”
D’improvviso lo sento più deciso, si intuisce che ha preso coraggio, ora le sue mani s’infilano sotto la blusa. Le mie sensazioni cambiano quando torna a massaggiare il centro della schiena, ci passa il pollice, preme, e io mi scaldo. Al secondo passaggio, inesorabile, lungo tutta la schiena, m’inarco come una gatta, indipendentemente dalla mia volontà.
La “botta” di calore mi prende come uno schiaffo potente dietro la nuca! Succede quando, per non essere più intralciato dall’elastico, mi sgancia il reggipetto: la molla s**tta, i seni precipitano, molli e osceni. Non è più un gioco. Le tempie mi bruciano. Lui riprende a manipolarmi con i suoi massaggi… ma non è come prima: non sono lievi carezze, per quanto tenere e piacevoli.
Non poteva essere altrimenti… lui va avanti e io immobile, calda, non so più a cosa aggrapparmi per res****re; anche se gli rimango sotto non vorrei provare niente se non amore. Ma lui, si abbassa di nuovo su di me e mi abbraccia, ma l’abbraccio gli permette di prendersi in mano i miei grossi seni e di martoriarli dolcemente, con bramosia. È evidente che sta soddisfacendo un vecchio desiderio, perchè è smanioso, incontenibile: gioca con i capezzoli grossi, che, mio malgrado, gli si inturgidiscono tra le dita, riempiendolo di foia.(*)
Gli piace da morire. Lo sento, mi stringe: è pazzo di me; è reso folle da quello che sta accadendo… adesso è solo un maschio e mi vuole a tutti i costi.
“Chissà se gli piaccio, come donna…?” un pensiero sciocco dettato dai miei sensi, anch’essi alterati.
Più il tempo passa, più ci avviciniamo al peccato, lo so, ne sono certa e senza ipocrisia. Andremo oltre: lui non ritornerà sui suoi passi, io non saprò fermarlo, né fermarmi. Eppure, forse, potrebbe anche terminare adesso!
La sorte: una telefonata provvidenziale; la vicina che bussa per qualche motivo… qualsiasi cosa. Un’interruzione, un segno, persino una sveglia che suona nel momento sbagliato. Probabilmente ci fermerebbe, ci lascerebbe tornare a vivere le nostre esistenze, con un piccolo segreto, l’accenno di un peccato; con l’alibi dell’indecisione e, segretamente, col rimorso di quello che era stato e di quello che avrebbe potuto essere… Ma il fato non interviene, e lui, mi mette la mano dietro le cosce.
Si è accovacciato dietro di me, dietro il sedere, ha poggiato il palmo sul retro delle mie ginocchia. Tengo le gambe unite, strette, come se quest’ultimo baluardo di decenza potesse salvarci. Lui è li dietro per un motivo; la mia gonna nera è stretta ma scivola lentamente sulla seta delle calze, poi sorpassa l’orlo delle autoreggenti, ma lui continua a guidare l’indumento verso l’alto. La gonna diventa una fascia, poi quasi un nastro, un pezzo di stoffa inutile. Sono nuda, difesa solo dalle mutande elastiche nere, con mio figlio talmente vicino al mio sedere e alla mia intimità, da poterne aspirare l’odore segreto: sono perduta! Siamo perduti.
Tutto è cambiato. In lui rimangono tracce della sua dolcezza e del suo amore, ma da come mi tocca e da come mi pressa, adesso sento il maschio. Ha voglia, ne ha tanta. Mi affonda col naso, col viso tra le natiche e preme, come volesse mangiarmi, più che baciarmi. Continua a strusciarsi con forza sulle mutande, gira il volto a destra e a sinistra, forse desidera invischiarsi del profumo segreto di sua madre.
«Basta… basta, ti prego…» riesco a profferire con un fil di voce, ma tremo. Provo a oppormi ma non a lui… a me, perchè, finalmente, mi sto bagnando. Non immaginavo che quel segnale impudico sarebbe arrivato, in questo frangente, e non immaginavo di sentirmi morire al solo pensiero che lui se ne sarebbe accorto, di sicuro. Prego con tutta me stessa che non mi tocchi lì, con le dita. Invece, si rimette in piedi e, con calma, come se si godesse tutta la scena, mi cala le mutande.
Che vergogna, che follia! Al solo pensiero che stia osservando il mio grosso culo, certo non più quello di una ventenne: esposto, chiaro, mi sento venir meno. La mia carne e soda ma non come una volta… mi sento male. Lui lo tocca, mi tocca tutta. Fa piano, piano, quasi temesse di farmi male, però… fa!
Mi scorre col palmo le natiche e le carezza, amorevole, ma il suo pollice insiste nel mio spacco e non si frena davanti all’orifizio dell’ano, nemmeno lo evita. E poi di nuovo: su e giù, allargandomi. E poi… l’inevitabile: le dita dell’altra sua mano, favorite dalla divaricazione che già sta attuando, si poggiano sulle grandi labbra pronunciate, mi scavano tra i peli, controllano l’umore e, infine, mi spaccano e affogano nel mio liquido di femmina matura. La figa è larga, ne mette due insieme, di dita; scava e tira verso l’alto, agganciandomi la cavità più intima. Mi sbrodolo come una scolaretta; credo di non avere più sangue nel corpo, me lo sento tutto in testa, e le tempie pulsano per la pressione.
Non vorrei, non lo vorrei assolutamente, e invece provo piacere.
Comincio a essere stanca e scomoda, non sono a mio agio ma lui, lo so, non ha finito con me, anzi. Lo sento chinarsi di nuovo; ho i brividi, non posso pensare che, inevitabile, potrebbe arrivare in contatto. Il contatto della penetrazione! Orribile, contro natura… un figlio, di lì, deve uscire, ma per non rientrarci mai più.
Quando mai potrò più andare in una chiesa? A chi potrò affidare la mia confessione? No, non accadrà mai, non sarei mai capace di trovare le parole per raccontare tutto questo.
Ma lui non mi penetra. Si è spinto in avanti per cercare la mia mano; la prende, la tira delicatamente verso sé. Compie quei gesti come facessero parte di un rituale; non posso saperlo, ma mi convinco che sta riproducendo, sul mio corpo, tutti quei sogni che lo hanno reso pazzo di me, di sua madre, che poi ci hanno portato a questo inenarrabile atto di amore, ma nero, nero come la pece. La mia mano tesa riceve nel palmo il pene e la sacca con le sue palle. Una meravigliosa, morbida massa calda, lievemente umidiccia; distinguo perfettamente il suo coso, una specie di spesso serpente, lo stesso che, da piccolo, gli lavavo tutti i giorni, spesso prendendolo in giro. Adesso non è rigido come avrei creduto ma, pur se morbido, è spesso, e lungo. Lui l’ha sempre avuto bello grande!
A tenere il pene in mano e a sentirmi frugare in figa, mi perdo definitivamente… non sono fatta di legno! La menopausa è passata da un pezzo, sono oltre sette anni che ho ripreso il controllo definitivo della mia femminilità.
Adesso grondo dalle grandi labbra, lui continua a ispezionarmi dentro e sento che l’amore lascia il posto alla lussuria, infatti va avanti e indietro, in fretta, poi piano; poi esce e mi preme il clitoride, per stuzzicarmi: vuol farmi venire. Il cazzo gli diventa enorme e durissimo, lo stringo tra le dita, vibrando per le potenti emozioni.
Arretra… ma ancora non mi prende. Vuol farmi venire, e ci riesce in poco tempo, perché mi sorprende, cogliendomi impreparata: si abbassa, come se sapesse cosa mi rende folle di piacere. Affonda il suo viso nella mia “natura”, si bagna di me. S’imbratta la bocca e lo sento sguazzare felice, dietro il sedere, si muove in fretta con tutto il viso, ma con le labbra e la lingua mi marca come un forsennato. Succhia forte le piccole labbra e il clito, è questione di un attimo, poi perdo ancora il controllo e cado nell’orgasmo. Cedo, divarico le cosce, lascio che la mutandina raggiunga il pavimento e la allontano con il piede. Sono aperta: gli vengo sulla lingua, che non si ferma più. Con uno sforzo inaudito, faccio del mio meglio per non farmi sentir mugolare; mi mordo le labbra a sangue… ma intanto tremo tutta. Lui è grande, lo sa che sto venendo. Pazza di piacere, vorrei morire.
Non ci fermeremo più…
Come faccio a dire che non voglio che accada? L’atmosfera, nella mia cucina, si distende un poco; mi da il tempo di riprendermi. Posso mai fermare tutto adesso? Che differenza fa, ormai? E’ successo quello che non doveva mai succedere. Credevo di sacrificarmi per il suo piacere, invece sono io, soltanto io, colpevole, adesso.
Forse a quarant’anni, forse con il marito lontano; una donna nel pieno del vigore, forse si poteva tentare di giustificare… non una “vecchia” come me. Non ho giustificazioni, Adesso che sono appagata, comprendo la situazione con estrema lucidità… ma lui mi impedisce di pensare ancora.
Non posso trattenere un piccolo grido. Senza preavviso mio figlio approfitta di quanto sono lubrificata dagli umori, per infilarmi col cazzo, di botto. Mi ferma l’aria nei polmoni! Sono tutta piena di lui, e com’è grosso… mi ha divaricata di brutto. Altro che pensare con lucidità… io mi sento svenire dalla lussuria.
Dopo lo smarrimento di entrambi, nel sentirci uniti da quel tubo di carne, lui inizia a scopare e io mi pongo a favore delle sue penetrazioni continue. Mi tasto con la mano di sotto, apro le dita sulla vagina e identifico il palo bagnato che mi affonda dentro l’anima. Perdo di nuovo il controllo, incapace di frenarmi, mi masturbo il clitoride: è un gesto spontaneo… a che servirebbe ormai tenersi o lasciarsi andare? È tutto finito, è tutto accaduto. Mio figlio sta scopando sua madre, probabilmente dopo averlo sognato per anni.
Scopa a lungo senza fermarsi; non mi interessa più niente, e vengo ancora, aiutandomi con le dita. Stavolta non copro i miei gemiti, e lui si ferma dentro per consentirmi un piacere maggiore.
Dopo, mi rendo conto che quella posizione mi sta veramente uccidendo… non so cosa fare per fargli capire che non voglio dargli fretta, ma che sono stanca. Un suo gesto inatteso, mi fa allertare tutti i nervi. Mi decido ad agire, proprio a causa di quello. Infatti, visto che il suo pene non da segni di cedere, lui mi è uscito dalla vagina e, dopo una serie di carezze fin troppo umide, mi allarga con le dita e col glande mi punta l’ano, e preme.
«No, questo no!» dico decisa e lo fermo, bloccandolo con la mano sulla pancia. Mi alzo dal tavolo e quasi incespico per la stanchezza, dovuta alla posizione. Sono nuda, indosso solo le scarpe e le calze. Giovane o vecchia, sono una femmina e so di essere eccitante davvero, nella penombra. Non fa niente, ormai, abbiamo valicato ogni limite della reciproca confidenza.
Lo prendo per mano e lo porto con me, lui mi segue docile nella camera da letto. Gli tolgo i pantaloni e lo faccio stendere al posto di suo padre. Il cazzo è sempre in tiro, il glande scoperto e liscio come seta. Mi pongo sul letto al suo fianco; decisi a dargli una gioia speciale, gli scendo sulla pancia e m’inghiotto il cazzo. Lo tengo ben fermo con la sinistra, e gli faccio provare cosa sono capace di fare, come donna. Lui mugola per il piacere, finalmente anch’egli perde il controllo: adesso tocca a me prendermi cura del mio ragazzo. So cosa fare e glielo faccio bene! Farlo con la bocca è una delle cose più eccitanti e mio marito non si può lamentare, non so quante volte l’ho spompinato nella nostra vita.
Glielo succhio per alcuni minuti e quando capisco che si avvicina al godimento, mi fermo e mi volto su un fianco, lasciandomi il mio ragazzo alle spalle. Con tranquillità e senza affannarsi, in quella posizione comoda, lui si accoccola dietro di me, e aiutandosi con le mani, mi cerca l’anfratto. Per aiutarlo, con l’avambraccio mi tengo su la coscia, così sono tutta aperta.
Chiedo perdono al mondo… ma è meraviglioso!
Mi si abbarbica addosso, mi tiene i seni, si stringe a me e fotte, piano e profondamente. Ancora pochi colpi e viene dentro, eiaculando a fiotti; pazzo di piacere, vibrando e pronunciando parole sconnesse.
Scaricare il suo seme non basta ad abbassargli l’erezione: il cazzo sguazza in tutto quel liquido, il rumore acquoso e lubrico mi attanaglia.
Sono colpevole, lo so, ma mentre lui ancora non si decide a fermarsi, gli vengo per l’ennesima volta sul cazzo.
Sonia oggetto
“Tu sei mia adesso, Sonia cara, sei mia, e per almeno tre buoni motivi:”
La Sua voce la fece trasalire, e riaffiorò da quel torpore ospedaliero in cui era ancora immersa, con un terribile sapore amaro in bocca.
“Primo, perché sei in mio potere, completamente e senza alcuna possibilità di fuga, te ne renderai conto col tempo, ed Io intendo esercitare questo potere a fondo, come scoprirai presto invece…”.
È solo a quel punto che le cose attorno a lei cominciarono a rivelare l’assoluta atipicità della situazione: La stanza attorno a lei non era più quella dell’ospedale… Era da qualche altra parte… Ma dove?
E poi le cinghie di costrizione, non erano come quelle che lei già conosceva: I suoi polsi erano fissati in alto, non di fianco a lei. Sonia era legata a braccia larghe sopra la testa, ai lati della spalliera del letto: era legata per essere esposta, non per essere contenuta!
Il letto, come quelli dell’ospedale, era piegato verso l’alto alla mezzeria e le sollevava di circa 30 gradi tutta la schiena, la testa e le braccia.
Ed anche le sue gambe erano legate in modo strano, mai provato in nessun ospedale prima di allora, neppure quando era in crisi isterica: le sue caviglie erano legate alle barre laterali del letto, ed altre due cinghie passavano attorno alle sue cosce, subito sopra il ginocchio, tenendole sollevate e ben allargate, costringendola così ad assumere una posizione tanto oscena quanto umiliante, un po`da partoriente, peggiorata ulteriormente dalla sensazione della camicia da notte ospedaliera che a causa della posizione a gambe larghe le era risalita leggera fino all’altezza delle mutandine… Mutandine che però non indossava più, qualcuno, forse nella sua stanza d’ospedale, forse lì, dovunque si trovasse, gliele aveva tolte. L’unico effimero conforto le veniva dalla protezione offerta dalla coperta, per quanto fosse una copertina molto leggera e fosse tirata solo fino a mezza vita o poco più su.
“… Secondo, perché ho rischiato molto in prima persona quando ti ho rapita dall’ospedale per portarti qui…“.
Rapita? Era stata rapita? No! Non poteva essere vero! Non era vero! Sonia si rifiutava di crederlo, nonostante l’evidenza della situazione, ma la cosa che le fece definitivamente realizzare il fatto di essere stata rapita era il bavaglio, quello strano bavaglio che aveva sulla bocca, e dentro la bocca: uno strano inserto rugoso dal sapore di caucciù la invadeva fino all’altezza dei molari. Era così grosso che Sonia era costretta a tenere la lingua schiacciata in basso e… la sua lingua! Le faceva male la punta della lingua! Era attaccata a qualcosa ! non poteva ritirarla indietro!
La sua lingua era stata perforata! Un piercing o qualcosa di simile gliela trapassava e poi era ancorato da qualche parte… Sì… la lingua era ancorata al bavaglio ! Poteva sentire un filo o cos’altro che gliela teneva distesa.
Un’ondata di paura raggelante percorse improvvisamente tutto il suo corpo e dalla sua gola scappò un lungo gemito disperato.
Con un sorrisetto compiaciuto Lui riprese a parlarle,
“Ma soprattutto, terzo, perché tu ti sei gettata via! Hai tentato il suicidio già tre volte, e lo hai fatto sempre sul serio, non volevi “attirare l’attenzione” come si dice di solito quando le ragazzine in crisi ormonale fanno le sceme.
No! Ho analizzato bene i tuoi trascorsi e tu sei veramente viva per miracolo, anzi, per almeno tre miracoli consecutivi… Sembra che la sorte ti abbia mantenuta viva sufficientemente a lungo per permettere a Me di “trovarti”, rovistando tra i rifiuti, tra i quali tu stessa ti sei voluta gettare.
Sai, appena ti ho vista ho pensato che era un vero spreco gettare via una bella come te! E se a te la tua vita non interessava, perché non prendertela.
Vedi Sonia, se trovo nel cassonetto dei rifiuti qualcosa che è stato intenzionalmente gettato via dal legittimo proprietario, questo qualcosa diventa di diritto di mia proprietà.
Ed è così anche nel tuo caso: tu ti sei gettata nel cassonetto, e rovistando Io ho scelto un rifiuto come te, ed ora tu… mi appartieni!”
Piangere! È l’unica cosa che poteva fare. Piangere per la follia di quelle parole, ed anche per l’innegabile fondo di verità nascosto in quel delirio. Piangere per la paura che quel Pazzo lucido le incuteva.
“Forse tu pensavi che il suicidio per te fosse l’unica possibile via di fuga da una lunga serie di problemi personali e di disagi esistenziali, di sofferenze psicologiche, e così via un sacco di toccanti questioni che hanno tutte “-TU-” come soggetto principale.
Ma vedi Sonia, Io non ti ho pes**ta dal cassonetto dei rifiuti per recuperarti alla società, per reinserirti, per curare la tua identità sociale, per ridarti una tua dignità e tutte queste balle… Assolutamente no!
Quando tu ti sei buttata via, hai buttato via sia il tuo corpo, che la tua persona, e adesso sono entrambi miei e ci farò tutto quello che voglio, senza limitazioni, a mio esclusivo vantaggio, senza alcuno spazio per il tuo ego… Cara Sonia – TU – non esiste più! Subirai un controllo assoluto, non avrai più nessuna delle preoccupazioni che ti affliggevano fino a ieri, saranno tutte sostituite con le preoccupazioni, e le certezze, che Io ti imporrò d’ora in avanti!
… Sonia Sonia, vedrai, qui con me ritroverai perfino la gioia di vivere, o meglio, non proprio la gioia, quanto, direi, un ritrovato istinto di sopravvivenza, anche se oramai non ti sarà più possibile rivolgere questa gioia ritrovata a te stessa… Potrai e dovrai rivolgerla al tuo Padrone, la rivolgerai a ME!”
Ma che dice questo Idiota ?
Il suo respiro si era fatto corto ed affannato. Il suo seno, bello, pieno, tutto naturale, pesante nonostante le braccia alzate, sobbalzava ritmicamente sotto il sottile strato di tessuto sintetico ospedaliero, mentre le punte dei suoi capezzoli, stimolate dallo sfregamento col tessuto leggero, sembravano volerlo perforare per mostrarsi all’aria aperta. Impossibile res****re, le Sue mani si protesero e con la naturalezza con cui si carezza il proprio gatto, usando le palme e le quattro dita soppesò entrambe le tette di Sonia, scorrendo avide fin sotto le ascelle, mentre i suoi pollici cominciarono a giocherellare impudenti con le punte erette dei suoi capezzoli.
Sonia trasalì. I suoi seni grossi e sodi erano sempre stati molto sensibili e mai a nessuno era stato permesso di manipolarli così impunemente. Sonia in passato aveva sempre fermato le mani dei ragazzi cui si era concessa, e solo a coloro che si erano dimostrati i più delicati aveva permesso di farsi tastare le tette ed i capezzoli, ma sempre con le mani di lei a guidare e controllare ed a limitare quelle dell’amante. Adesso la situazione era ben diversa. Sonia poteva solo agitarsi dal disagio, completamente impotente sia di fermare che di condurre quelle mani.
E fu mentre cercava istintivamente di guardare in basso, nella disperata illusione di poter controllare con lo sguardo i movimenti di quelle mani estranee ed invadenti, che Sonia si accorse del collare attorno al proprio collo.
Era rigido, ma imbottito, perché sentiva qualcosa di morbido contro la sua pelle.
Ad imprigionarle il collo era infatti un collare metallico alto 4 cm in tutto, ricoperto internamente e con i bordi protetti da materiale sintetico antiallergico e confortevole… Ma Questo è un PAZZO DEPRAVATO!!!
“Hai proprio delle gran belle tette Sonia. Belle grosse, ma non esagerate, che taglia porti? Direi più di una quinta… direi quasi una sesta … Sì, una coppa D o DD Americana… Una bella coppa! Non ho avuto tempo di controllare i tuoi vestiti… Sono rimasti in ospedale. Ma la cosa più bella è la loro forma: sia a goccia che a pera… magnifiche… Le legherò strette !”. Si stava proprio godendo quei due bei balocchi che si era appena regalato, li manipolava con gusto, e ad ogni palpeggiata le sue dita ingorde affondavano sempre di più in quelle tiepide sacche di piacere, mentre Sonia trasaliva per il forte fastidio, per la prima volta senza potersene sottrarre.
Aumentò la forza con cui le stava stringendo ed il forte fastidio diventò una fitta di dolore intenso, che le fece emettere uno strillo soffocato sotto il bavaglio, e a quel punto “E che bei capezzoli appuntiti che ci sono qui !” Mentre la Sua mano sinistra continuava a farla gorgogliare di dolore attorno al caucciù intrappolato in bocca, la Sua mano destra aveva cominciato a stropicciare e tirare in tutte le direzioni il povero capezzolo sinistro di Sonia attraverso la camicetta da notte. Poi ricominciò a soppesare delicatamente quelle belle e gonfie tette, una per ogni mano.
Avrebbe dovuto capire che non era il caso di contrariarlo, ma Sonia aveva deciso la propria linea di condotta e continuava a tentare di divincolarsi violentemente dalle amorevoli cure del suo nuovo Padrone. I gorgoglii e i mugolii disperati di dolore diventarono chiari insulti ed invettive di ogni tipo… anche se era impossibile distinguere le esatte parole.
La sua espressione da spaventata e disorientata era diventata rabbiosa ed ostile… Come se avesse avuto una qualunque possibilità di intimidirlo!
Uno schiaffo deciso, per farsi ascoltare: “Sì Sonia, comprendo la tua reazione, è naturale: sei appena arrivata; ma è comunque inammissibile che una schiava si rivolga così al proprio Padrone!”. Padrone, ha detto Padrone ???
Sonia interruppe le sue invettive quando Lui con un primo gesto tirò via la copertina che ancora la stava illusoriamente proteggendo, e con un secondo gesto le strappò di dosso la camicia da notte ospedaliera, lasciandola completamente nuda ed ancor più esposta… E finalmente quegli impudenti capezzoli potevano farsi ammirare liberi.
Dove Lui avesse preso il frustino per cavalli Sonia non lo sapeva, ma la fitta lancinante che sentì quando le arrivò il primo colpo secco sulla delicata pelle dell’interno della coscia destra le tolse il fiato per quei pochissimi istanti che le servirono ad abbandonarsi al suo primo disperato ululato di dolore, forte, forse mai provato prima… Povera Sonia, ancora non lo sapeva, ma di lì in poi la sua vita sarebbe stata un susseguirsi di nuovi primati personali nel campo della sofferenza fisica.
Al dolore alla coscia si era anche aggiunta una fitta alla lingua, che Sonia aveva istintivamente tentato di ritrarre, mentre il piercing gliela aveva impietosamente mantenuta ben distesa lungo il caucciù, come Lui aveva imposto.
Ma era fortunata, perché la vista di quel bel ciuffo di peli scuri che le coprivano la parte centrale del Monte di Venere Lo distrasse al punto da fargli posare il frustino dopo appena il primo colpo. “Ti radi anche i peli della fica ? E con molto stile, vedo! Le labbra sono belle lisce mentre qui sopra lasci questo eccitantissimo ciuffo… Tu sai come eccitare un uomo, Sonia”. Mentre Sonia ancora singhiozzava e gemeva per il dolore, lui si era chinato col viso tra le sue cosce allargate, tanto vicino al suo sesso da poterlo annusare, mentre con le dita sfiorava affascinato le parti che stava descrivendo.
“Era già un bel pezzo che tenevo d’occhio gli ospedali per cercare una bella ragazza da rapire e portare qui… Ma tu sei stata veramente un colpo di fortuna inaspettato… Mi sarei accontentato di molto meno di una bella come te… Comunque… meglio per Me !”
Sonia, sconvolta da tutto quello che le stava accadendo, ancora non riusciva a focalizzarsi su quale fosse il modo più opportuno di comportarsi per minimizzare … I problemi. E riprese a divincolarsi violentemente e ad inveire da dietro il bavaglio contro il suo Padrone.
“Bene Sonia, mi dai un buon motivo per fare gli onori di casa… Ma non avercela troppo con te stessa… Li avrei fatti comunque, solo che con un buon pretesto sarà solo molto più divertente!”.
Cominciò allora a girare lentamente più volte attorno al letto mentre una serie di una ventina di rapide squillanti sferzate investivano le braccia, le cosce e l’addome della povera Sonia, arrivando da ogni direzione e lasciandole la pelle delicata e candida tutta striata di ardenti segni rossi e senza neppure più il fiato per urlare da dietro il bavaglio.
Quando finalmente lei riuscì a trovare lo spazio per cominciare il suo disperato lamento, il suo Padrone si spostò ancora, e nel centro del cervello di Sonia esplosero le tre secche frustate che le aveva rapidamente assestato sotto le delicate piante di entrambi i suoi piedi nudi.
Sonia era persa in un’agonia così profonda che non avrebbe potuto rendersi conto di null’altro, e quindi Lui si fermò, ed attese che Sonia si calmasse un poco, perché non voleva che lei si perdesse nulla!
Quando Sonia smise di agitarsi, in preda a pianto e singhiozzi, allora le si chinò di nuovo tra le cosce, ad ammirarle la fica, riprendendo esattamente da dove era stato interrotto.
La lezione era chiara: Si fa come dice Lui !
Le Sue dita dapprima ripresero a sfiorarla delicate, su e giù lungo le labbra semiaperte, quasi a chiedere il permesso di entrare… Ma non avendo alcun bisogno di alcun permesso, a loro piacimento entrarono, curiosarono, cercarono ed infine stanarono la loro povera piccola delicata ed indifesa preda. … “Bene Sonia, vedo che sei molto sensibile anche qui… Il tuo bottoncino reagisce subito, come i tuoi capezzoli… ci divertiremo, vedrai… Troietta !”. Quel gioco era tanto appassionante che le si avvicinò ancora di più e cominciò a leccarle ed a succhiarle la clitoride, con gusto, mentre Sonia, ipersensibile, sussultava e gemeva impotente.
I singulti di Sonia erano un misto di paura, disperazione ed umiliazione, ma non poteva che continuare fare ciò che stava già facendo: subire remissivamente senza tentare inutilmente di contrariarlo.
Il collare metallico stava svolgendo egregiamente la sua funzione, impacciandole a tal punto i movimenti, che gli sforzi di Sonia di controllare almeno con gli occhi quello che le stava accadendo tra le gambe risultarono infine in un suo totale abbandono sul materasso. Sonia era costretta a delegare al suo nuovo Padrone ogni diritto, anche quello di controllore. Cercava solo di trattenere per quanto le fosse possibile gli spasmi involontari che attraversavano il suo corpo a causa di quella stimolazione alla sua sensibilissima clitoride.
Solo quando sentì il morso, Sonia sobbalzò nuovamente su, strillando, ma sebbene avesse per un attimo temuto il peggio, si rese subito conto che non ci sarebbero state conseguenze, anche se una delle sue grandi labbra per un po` avrebbe continuato a dolerle, tutto sommato non le avrebbe neppure sanguinato… lo Stronzo si era solo voluto divertire a spaventarla!
“Per ora basta così, lo so che desidereresti che continuassi, il tuo corpo si agita tutto mentre te la lecco, ma volevo solo sentire che sapore hai, e devo dire, cara schiava, che sei molto, molto buona. Adesso ti libero”…
“Liberare” non esattamente:
Aveva attaccato uno spezzone di fune ad uno dei 4 semi-anelli (a forma di D) del collare di Sonia ed aveva fatto passare l’altra estremità della fune attorno alla barra della testiera ai piedi del letto. Poi aveva disconnesso dal letto i due bracciali che Sonia portava ai polsi, bracciali di fattura del tutto simile al collare, con struttura metallica pesante, ricoperti internamente e sui bordi con sintetico anallergico ed anelli a D giro giro che gli avrebbero permesso di incatenarla con facilità, a piacimento, in qualunque modo, in qualunque momento, quanto a lungo a Lui avesse fatto piacere.
Le sue braccia erano adesso libere di muoversi, ma che cosa avrebbe potuto fare?
Ancora afflitta dai tremiti per il dolore delle frustate, sentì il suo collare trascinarla con decisione in avanti, fino a piegarla in due, causando nuovo dolore sia al collare che ai legamenti delle gambe, ancora assicurate alle barre laterali del letto.
Sonia appoggiò istintivamente entrambe le mani sulle barre laterali del lettino, proprio dove le cinghie le intrappolavano le ginocchia nel vano tentativo di spingersi su, ma ovviamente senza risultati apprezzabili… ma non c’era altro che potesse fare o tentare…
Peraltro, in quella posizione le tettone di Sonia stavano dando un nuovo spettacolo al quale il Parone sembrava non essere preparato, e si era distratto: Ammirato avvolgeva con entrambe le mani prima uno e poi l’altro di quei due frutti prelibati, passando indisturbato le proprie braccia attorno al braccio di Sonia, ignorando gli s**tti involontari che il Suo tocco induceva sul corpo nudo di Sonia. Penzoloni, quelle tette sembravano volersi staccare dal corpo. La loro dimensione si era leggermente assottigliata in prossimità del torace mentre tutta la loro massa puntava verso il basso, tra le ginocchia.
Le poteva afferrare alla base, non potevano scappare, ne aveva preso il totale possesso. Affascinato ed eccitato al punto da avere quasi un giramento di testa “Sonia ! Sono meravigliose e meravigliosamente indifese ! Pendono, ma sono sode al tatto… Le legherò ! Le legherò strette ! Urlerai ! Urlerai per me !”.
Sonia comprendeva solo in parte cosa stava succedendo, in quel momento il dolore ai tendini delle gambe aveva il sopravvento su tutti i suoi pensieri. Se avesse potuto avrebbe implorato il suo Padrone di allentare quella nuova agonia, ma non poteva che mugolare indistintamente mentre Lui giocava indisturbato con le sue tette deliziose e sensibili. Ed anche se avesse potuto rivolgersi al suo Padrone…
“Non ti lamentare per così poco Sonia. Ci sono posizioni ben più impegnative in programma per te, vedrai, molto presto! Comunque adesso intendo farti stare un po’ più sollevata, certo, ma mi aspetto che poi tu ti comporti da brava bambina… Che mi dici Sonia?”.
Sonia era troppo presa per capire bene cosa Lui le stesse dicendo, ma quando sentì quella forte pacca abbattersi sul lato della sua anca destra e contemporaneamente quell’urlo nel suo orecchio “ALLORA ? RISPONDI ! FARAI LA BRAVA BAMBINA SE TI TIRO UN PO’ PIU SU LA SCHIENA ?” cominciò immediatamente ad assentire muovendo la testa in alto ed in basso più che poteva, impacciata com’era dal collare metallico… e forse in mezzo a tutti quei gemiti di strazio al Padrone sembrò di distinguere un Sììììì.
Mentre scuoteva la testa per assentire al suo Padrone, un tintinnio fece notare a Sonia che collegata al metallo del suo collare c’era anche una catena che arrivava dal soffitto disegnando un’ampia ansa verso il basso per poi risalire fino alla sua nuca. Era spessa ma Sonia poteva calcolare che stranamente non era affatto pesante come appariva alla vista…
Lui allentò il nodo alla barra del letto ai suoi piedi e filò un po’ di corda, finché la schiena di Sonia non si riportò quasi verticale, ancora solo un po’ tesa in avanti, quasi a fare un inchino rispettoso.
Neanche le passò per la testa di opporsi quando Lui le condusse le braccia dietro la schiena. Sonia si era abbandonata ad un pianto pietoso e singhiozzante.
La combattività di poco prima sembrava essersi sopita nella disperazione.
Intanto Lui continuava a dilettarsi a spostarle le braccia su e giù, disponendogliele in varie posizioni dietro la schiena, senza forzare:
prima portò ciascuna delle mani di Sonia ad afferrare il gomito opposto, poi le ri-distese per accostare fra loro i gomiti, che in scioltezza arrivarono ad una distanza tra loro di meno di 5 cm.
Poi, con fluidità, ancora senza forzare, le guidò entrambi i polsi più in alto, e con quella che potrebbe essere interpretata come una carezza, le dita del Pazzo si infilarono e dischiusero le mani di Sonia, continuando a sospingergliele gentilmente lungo la schiena. E quando arrivò a farle sfiorare le unghie mal curate e smangiucchiate sulla base del suo stesso collo, esclamò soddisfatto “Sei scioltissima Sonia! Le tue braccia permettono tranquillamente le posizioni in assoluto più erotiche senza sforzi: I gomiti legati insieme, la preghiera invertita … Non avrai molte difficoltà ad abituarti a portarle per lunghi periodi, e non ci sarà nemmeno rischio di lussazioni ! …Dovrò frustarti di più, per compensare, o mi inventerò qualche altra cosa… ho un’infinità di opzioni… Vedremo! Intanto per oggi ti metto in preghiera invertita, ma allentata, senza forzare troppo… in fin dei conti siamo solo agli inizi … Abbiamo tanto tempo!”.
Entusiasmato, agganciò ognuno dei bracciali di Sonia alle estremità di una catenella lunga meno di 50 cm, che però passava all’interno dell’anello posteriore del collare, lo stesso anello del collare dove terminava la strana catena che scendeva dal soffitto. La catenella tra i polsi di Sonia era però libera di scorrervi attraverso. Quando Lui le lasciò andare le braccia, per minimizzare la tensione i polsi incatenati di Sonia si disposero alla stessa distanza dal collare, con le mani sovrapposte, quasi incrociate.
“Comportati bene Sonia, SEMPRE, perché ho mille modi per convincerti a fare ciò che voglio, uno per esempio è questo semplice movimento…” le afferrò il polso destro e lo trascinò verso il basso, facendo scorrere la catenella attraverso l’anello dietro al collare e costringendo il polso sinistro di Sonia a scorrerle più in alto lungo la schiena, fino a procurarle un dolore tanto forte alla spalla che Sonia pensò che si sarebbe rotta… ma non accadde. Per tutto il tempo, che a Sonia parve infinito, che il suo Padrone mantenne la presa, Sonia non riuscì neppure a pensare.
“Col tempo questo esercizio ti risulterà sempre più facile, e potremo accorciare la catena… Con braccia così flessibili arriveremo a farti assumere posizioni così erotiche che poi scoparti ne sarà solo la naturale conseguenza”.
“Adesso ti libero dal letto e te ne potrai andare in bagno nell’altra stanza a fare i tuoi bisogni, se ti va. Poi vengo io a lavarti… Non fare stupidaggini, se ti lascio andare da sola è perché ho preso tutte le precauzioni… Non puoi fare nulla che io non abbia già stabilito che tu possa fare”. Mentre parlava le lasciò andare il polso destro, che Sonia filò subito più in alto per alleviare il tormento della spalla sinistra. Poi le sganciò le caviglie dal letto e condusse i piedi di Sonia ad avvicinarsi tra loro a circa 20 cm, mentre le sue cosce erano ancora trattenute allargare dalle 2 cinghie del letto. Sonia poté notare che anche alle sue caviglie erano avvinghiate due cavigliere metalliche con anelli a forma di D giro giro, come quelli del collare e dei bracciali. Tra due di questi anelli, uno alla cavigliera destra ed uno alla sinistra, il Padrone agganciò un altro spezzone di 30-35 cm di catenella con altri due piccoli lucchetti lucenti e robusti che s**ttarono con sordi Click, ratificando ancor di più la totale impotenza di Sonia.
Poi il Padrone armeggiò ancora alle catene dietro le spalle di Sonia: La catena che arrivava dal soffitto disegnando un’ampia ansa a mezz’aria, era solidamente collegata al collare di Sonia, ed Il Padrone infilò un moschettone ad un anello di questa catena a circa 30 cm di distanza dal collare e poi fece s**ttare lo stesso moschettone anche attorno alla catenella tra i polsi di Sonia.
Adesso la catenella tra i polsi di Sonia scorreva sia attraverso l’anello dietro il suo collare, sia attraverso il moschettone.
Solo a quel punto il Pazzo liberò il collare dalla fune e sganciò le fibbie delle cinghie che ancora costringevano le cosce di Sonia a stare allargate sul lettino.
Sonia era … libera … di alzarsi e di lasciare il letto, ma dove poteva scappare?
Lo guardò con gli occhi ancora piangenti e rossi… molto meno aggressivi di pochi minuti prima.
La natura di una vecchia puttana
Erano le tre di un sabato pomeriggio e la città pareva deserta.
Fuori c’era un bel sole e George se ne stava seduto fuori dal bar a sorseggiare una coca. Sul tavolo teneva spalancato il suo portatile con il programma di video scrittura aperto. Il foglio era bianco. Non aveva voglia di scrivere nulla e nulla gli veniva in mente. Probabilmente sarebbe stato lì per un bel po’ sfogliando i giornali ormai certo che non avrebbe prodotto nulla di concreto.
Non che ne avesse davvero bisogno. La rubrica si scriveva quasi da sola e la sua antica ambizione di scrivere un romanzo era sempre più un sogno infranto. A ben guardare poteva anche starsene per i fatti suoi a poltrire fino a lunedì e nessuno gliene avrebbe fatto una colpa.
Ma la situazione era destinata a cambiare.
Il cambiamento si presentò sotto forma di una biondina venticinquenne non bellissima ma con una minigonna da paura che passandogli davanti gli chiese “Scusi, sa dov’è la farmacia?”.
George non poté fare a meno di alzare infastidito gli occhi dal pc. Poi la guardò… Guardò con calma le piccole tettine sotto alla camicetta nera, le lunghe gambe affusolate fasciate in un collant a rete nero, i lunghi tacchi a spillo e l’espressione idiota da oca che aveva sul volto.
Che fosse un oca era una certezza… A meno di cento metri alla sua destra c’era una croce verde di tre metri per due con scritto farmacia che luccicava alla luce del neon.
Solo un cieco… o un idiota non l’avrebbe vista.
“E’ qui vicino se vuole la accompagno” disse lui.
Lei tolse gli occhiali da sole per guardarlo meglio. Aveva una faccia che pareva schiacciata su se stessa, come se correndo troppo veloce avesse sbattuto contro un muro. Occhi chiari.. trucco marcato sulla bocca e sulle guance… Sempre più pungente l’odore di fiori del suo deodorante mano a mano che gli si avvicinava.
Prima ancora che lei ribattesse, approfittando della sua indecisione fece un rapido gesto al barista di segnare sul conto la consumazione e fatto sparire il pc nella sua borsa si alzò in piedi.
Appena il tempo di fare tre passi e anche alla ragazza bionda, che disse di chiamarsi Maura, fu lampante l’insegna della farmacia.
“Eccola eccola lì ” strillò con una vocina da gattina.
“Già” annuì lui.
Senza neanche far caso al fatto che avrebbe potuto trovarla da sola con estrema facilità. Senza forse nemmeno capire che accompagnarla era solo una scusa lo ringraziò con un pallido “Grazie” e affrettato il passo si affrettò verso il negozio mollandolo al suo destino.
Non gli piacque molto. Vederla ancheggiare via con quel culetto a mandolino che ancheggiava ad ogni passo gli stimolò solo il desiderio di portarsela in fretta a letto.
D’altra parte lui non era il tipo che amasse supplicare le donne. Non ne aveva mai avuto bisogno e non avrebbe certo iniziato oggi.
Se la troietta bionda l’aveva snobbato tanto peggio per lei.
Ora però aveva un incredibile desiderio in corpo e una mezza erezione tra le gambe che andavano placate.
Era deciso: “la prima che passa me la porto a letto”.
Girò la testa. Alle sue spalle c’era una vecchia minuta coi capelli bianchi che doveva già aver passato l’ottantina e accompagnava il suo incedere lento con un bastone nero.
Forse doveva anche averlo sentito perchè lo guardava con una strana espressione mista fra curiosità-divertimento e stupore
“Facciamo la seconda che passa và” si corresse in fretta.
La vecchietta non fece commenti e continuò per la sua strada.
La seconda a passargli davanti era una signora bassetta con lunghi capelli marrone chiaro, spesse lenti rotonde sul viso rubicondo che avrebbe in teoria avuto il classico stile da massaia. Solo gli stivali di pelle neri fino a sotto il ginocchio e uno strambo collant verde acqua stonavano un po’ con l’idea da donna per bene che aveva sul volto. Di solito, regola acquisita dal ragazzo in anni di chiavate, le donne mature che mettevano in mostra e sottolineavano le tette con scollature vertiginose o le gambe con gonne troppo corte lo facevano per un unico motivo…Già fantasticava su quanto sarebbe stato eccitante toglierle la gonna, strapparle un varco bnei collant e fottersela così senza farle togliere neanche gli stivali.
Per di più, guardandola meglio, come spesso accadeva alle donne piccole e tozze aveva le tette molto grosse nascoste sotto alla giacca.
C’era un unico problema. Non era sola.
Sottobraccio aveva una ragazza, certamente maggiorenne, alta e tonda come lei, rubiconda in viso come lei e con occhiali molto simili ai suoi. Certamente la figlia.
Indossava jeans e camicetta che non mostravano alcunchè di sessualmente interessante ma aveva ai piedi stivaletti col tacco identici a quelli della vecchia.
Decise di seguirle.
Dieci minuti più tardi entrarono uno dietro l’altro in un centro commerciale. La ragazzina, che apprese dalle loro parole si chiamava Nunzia doveva comprarsi un giubbotto di pelle nuovo.
La madre, di cui non sapeva il nome l’aveva accompagnata perchè scegliesse con calma.
Decise di giocare d’attacco.
Mentre la donna fissava la figliola che sfilava e infilava una lunga sequenza di giacche le poggiò la mano sulla coscia, appena sotto a dove terminava la gonna.
La poggiò e la lasciò li.
Lei lo sentiva certamente, anche se non poteva vederlo alle sue spalle, lo sentiva benissimo… e non disse nulla.
Lui iniziò ad accarezzarla.
Lei non disse ancora niente.
Lui salì e arrivò finò a sotto alla gonna.
Lei continuava a guardare la figlia.
Lui òle palpò il culo con decisioone.
Lei fece un sorriso e sospirò.
Le tolse le mani dal culo solo quando sentì la figlia che tornava con la giacca che aveva scelto. Così ne apprifittò, si voltò e lo guardò.
Non fece commenti negativi, anzi….
Le piaceva.
Lui le strizzò l’occhio.
Lei sorrise.
La figlia era ormai in mezzo ai coglioni. “Andiamo a pagare?”.
“No?”.
“Perchè no?” chiese la ragazza delusa temendo che la madre avesse cambiato idea.
“Ho visto dei tailleur al piano di sotto e voglio provare se ne trovo uno che mi va…”.
La cosa non pareva entusiasmare la ragazza.
“Non sei obbligata a venire. Anzi fai così vai su al terzo piano e noleggia un film alla videoteca così poi andiamo a casa a vederlo ok”.
“Ok” annuì la ragazza e partì in quarta.
“Ci metterà una vita” commentò guardando George.
“Benissimo annuì lui” e avvicinatosi le fece una carezza sul volto “Io sono George”.
“Marilena” disse lei e porse la mano.
Lui se la portò alla bocca e le succhiò il mignolo.
Si infilarono in un camerino.
Marilena si mise con le mani poggiate al muro cercando di arcuare il più possibile il sedere mentre la gonna le calava fino a terra.
Lui con un gesto deciso trovata la cucitura aprì un lungo strappo nel collant….
Sorpresa sorpresa la “signora” non aveva gli slip.
Brava la signora pensò e vistosi la carne pronta all’uso, senza altre indecisioni si sfilò il cazzo e glielo infilò nella vulva già bagnatissima per l’eccitazione.
“Ommadonna ma cos’hai li sotto” sbottò lei col fiato mozzo mentre lui la impalava con vigore.
Sforzadosi di non urlare di gioia si lasciò fottere per bene sentendo le palle gonfie di George che le sbattevano sulle coscie… sentendolo dentro completamente come un serpente rabbioso che la sfondava colpo su colpo.
Era una sveltina in un luogo pubblico non si poteva esagerare. Dieci minuti, dodici, quindici e poi basta.
Bisognava chiudere.
Marilena si era fatta due orgasmi ravvicinati ed era soddisfatta… Lui aveva tanta sborra da scaricare.
Bisognava chiudere se non volevano trovarsi la ragazzina tra i coglioni.
“Dai vieni, vieni deciso che è tardi”.
“Ok… ok vado?”.
“Vai senza problemi che tanto prendo la pillola”.
E brava la mammina. Prendeva la pillola… E una massaia che prende la pillola significa una cosa sola…. che prende anche parecchio cazzo….
Come un fuoco le inondò la vagina e gli ci vollero quattro pompate decise per scaricare di dosso tutto lo sperma che aveva accumulato.
Era soddisfatto.
Si rivestirono in fretta.
Marilena si pulì la fica appiccicosa meglio che poteva quindi si reinfilò la gonna…. tutto pareva a posto anche se sotto aveva uno squarcio nel collant che andava dalla vulva al buco del culo.
Si scambiarono i numeri di telefono, perchè era certo che Marilena meritava un controllo più accurato…
“Non passare su pavimenti lucidi” le disse “altrimenti ti vedono il gatto”.
Lei ridacchiò divertita e se ne andò. La figlia era già in fondo alle scale. La giacca di pelle sul braccio e due dvd a noleggio in mano.
“Andiamo?”.
“Andiamo” annui la mamma sperando che la figlia non notasse quanto era sudaticcia e puzzolente.
Tornando verso casa ripassò dal bar a regolare la consumazione del pomeriggio.
“E’ passata una signora appena sei uscito e ti ha lasciato questo” disse il barista mentre metteva via i soldi.
Era un bigliettino… Lo aprì…. C’era un numero di telefono.
Di colpo gli ridivenne duro.
Forse dare indicazioni alle stupide passanti aveva avuto un effetto ritardato….
Ripensando al bel culetto della biondina fece il numero e la chiamò.
Poche parole decise e si accordarono per vedersi quella stessa sera a casa di lei.
Aperta la porta dell’appartamento si presentò con un body nero, reggicalze e calze nere. Truccata occhi e bocca con un pesante dose di rossetti e affini che la facevano sembrare una vera puttana.
Gli aveva già afferrato il cazzo tra i pantaloni ancor prima di dirgli ciao.
Raggiunsero la camera da letto, lui si spogliò in fretta, lei aveva già la fica in bella mostra…
Non era la fica bionda della ragazzina… ma poco importava… quel vecchio ciornione ingrigito di un ottantenne porca e ancora vogliosa era comunque li per esser sfondato.
La vecchia col bastone aveva davvero sentito la sua esclamazione in strada.
La vecchia col bastone, che si chiamava Lina, ci aveva davvero creduto….
La vecchia col bastone era una vera troia a secco da troppo tempo….
Al diavolo la troietta bionda pensò George e non appena la vecchia Lina si fu tolta la dentiera si godette un pompino con ingoio favoloso preludio delle tre ore di sesso che ne seguirono dove la vecchia puttana settantenne non gli negò ne fica ne culo fino a che lui ebbe la forza di farselo tornar duro.
Alla faccia della biondina idiota che snobbandolo non sapeva ne avrebbe mai saputo che cosa si era persa.
George era sempre stato diverso dagli altri.
Orfano di madre che lo aveva lasciato solo dandolo alla luce e di padre che non aveva mai conosciuto. Così adottato amorevolmente dalla nonna materna e da sua sorella George era cresciuto tra le braccia di queste 2 donne mature che parevano fare a turno per coccolarsi il piccolo e bellissimo George.
Certo era davvero un bel ragazzo con quegli occhioni azzurri e i capelli neri e soffici ma questa era solo una delle sue particolarità. L’altra più nascosta ma anche più intrigante stava nelle proporzioni del suo pene. Un tronco di carne decisamente fuori dal comune.
E poi c’erano gli istinti. Di giorno in giorno ossevava sua zia e sua nonna sempre con maggior attenzione.
Zia Vera con le tette così enormi che spesso vedeva i suoi capezzoloni pulsare da sotto come se volessero esplodere. Nonna Irene che ogni volta che si sedeva in poltrona divaricava così tanto le gambe da far sollevare la gonna quanto bastava per vedere gli elastici del reggicalze provocandogli delle immediate erezioni.
Insomma il modo di fare delle 2 tardone era quantomeno sopra le righe.
Basti pensare che la sera avevano l’abitudine di spogliarsi quasi completamente l’una dopo l’altra in salotto e solo quando restavano praticamente nude andavano poi in bagno a lavarsi e a infilarsi pigiami o camicie da notte. Lo spettacolo di zia Vera che lentamente si calava le calze nere davanti a lui o di nonna in reggiseno e mutandine con quelle boccione dondolanti. O peggio quando Vera il reggiseno se lo toglieva proprio restando con le sole mutandine di pizzo e solo un braccio a coprirgli i seni non potevano lasciarlo indifferente. Così, cresciuto abbastanza da esser uomo attento a questi spettacoli e con un cazzo cresciuto altrettanto in fretta tanto che ormai da duro superava di molto i trenta centimentri e pareva più quello di un toro che di un ragazzo George eccitato si addormentava segandosi allegramente fantasticando sulla zia e sulla nonna.
Dopo la sborrata se ne vergognava un poco ma l’impulso era troppo forte, troppo impellente per potervi res****re.
Un giorno poi che lui e nonna erano soli in casa accadde un fatto strano. Nonna Irene si era assopita in poltrona di fronte alla tv e lui seduto sul divano aveva iniziato a sentirla russare, così si era voltato a fissare quel rumore fastidioso e l’aveva vista…
La nonna si era sdraiata così malamente che la gonna le si era quasi del tutto sollevata sui fianchi e le gambe erano così spalancate che poteva vedere tutto.
Certo dal divano ne notava appena l’ombra ma se solo si fosse avvicinato qualche metro.
Lo fece, cercando di essere il più silenzioso possibile e piano piano la sua curiosità ebbe soddisfazione.
Per dio! Sbottò stupito rendendosi conto di cosa aveva di fronte. Non riusciva a crederci.
Nonna Irene non aveva le mutande. Sotto la gonna c’era solo una bella ficona pelosa.
Era la prima volta che ne vedeva una tanto da vicino e iniziò ad eccitarsi come un matto. Quel pelo nero rado con alcuni ciuffetti bianchicci era quanto di più bello avesse mai potuto vedere. Aveva un irresistibile voglia di toccagliergliela e se non fosse stato per la paura lo avrebbe anche fatto.
Si contentò di toccare se stesso.
Delicatamente si tirò fuori il cazzo super indurito per l’eccitazione e con colpi sempre più veloci prese a segarsi come un pazzo senza perdere un dettaglio della fica della vecchia. Oltre ad avere una fica tanto vicino agli occhi era l’idea stessa che sua nonna non portasse biancheria intima a farlo eccitare quasi che quella mancanze ne sottolineasse in parte la sessualità o perchè no anche una certa disponibilità…
Era quasi al culmine e sentiva lo sperma salirgli dai coglioni per esplodere. Ben conscio che, proporzionalmente alla grandezza del cazzo, le sue sborrate erano sempre piuttosto fluenti si mise una mano a coppa davanti alla cappella continuando a segarsi con l’altra.
Doveva stare attento se non voleva che gli schizzi piovessero addosso alla vecchia.
Per quanto l’idea lo eccitasse non era propio il caso.
Sentì che stava venendo.
Un orgasmo fantastico, inarcò le gambe per il piacere pronto a metter via il suo grosso attrezzo appena compiuta l’opera.
Propio in quell’istante Irene aprì gli occhi.
Lui se ne accorse e provò velocemente a nascondere il cazzo. Ma era tardi, troppo tardi. Sotto gli occhi inespressivi di sua nonna George sborrò come un cavallo da riproduzione senza poter più fare nulla. “George ma che cazzo fai?” sbottò la nonna mentre la sborra le schizzava addosso. Lui pietrificato dalla vergogna sperò solo che fosse un sogno.
Fissava la nonna e lei fissava il ragazzo. Aveva ancora il cazzo in mano umido e pulsante. Vedeva chiaramente lo sperma in terra senza sapere cosa aspettarsi o augurarsi.
E non si era ancora reso conto della cosa peggiore.
La notò solo quando vide nonna Irene passarsi un dito sulla guancia umida. “Ma ti piace propio sborrarrmi in faccia?”.
“Nonna io…”.
“Certo dall’ultima volta che l’ho visto è cresciuto parecchio”.
“Si nonna è grosso vero?”.
“Il più grosso che io abbia mai visto” sgranò gli occhi la vecchia e quasi d’impulso aprì anche le gambe. Ora non era un caso poterle vedere la vulva.
“E vorresti toccarlo?” ammiccò lui.
“Farei di peggio te lo prenderei anche in bocca per sentire che gusto ha”.
“Si chiama pompino nonna”.
“Si lo so benissimo.”
“Sapessi le seghe che mi tiro immaginandoti….”
“Lo so bello di nonna guarda che le tue lenzuola le lavo io”.
“Scusa”.
“Ma figurati. E’ normale che con quell’uccellone da cavallo ne sborri secchiate”.
“E comunque ci sarebbe un bel modo per smettere di segarsi” ammiccò lui mentre ormai aveva raggiunto la massima erezione.
Fece un passo avanti.
“Nonna io non so come dirtelo”.
“Non dire nulla” lo tranquillizzò lei mentre con la mano iniziò a massaggiarlo delicatamente.
“Oddio nonna”.
“Ti piace?”.
“E’ una sega bellissima” mugugnò lui mentre le sue mani scivolavano pian piano sul corpo della vecchia.
Timidamente ma poi sempre con maggior decisione George le infilò la mano sotto alla maglia e le afferrò un seno. “Posso?” domandò dolcemente strizzandole un seno.
“No. Aspetta” disse Irene e sfilatasi in un lampo la maglia e il reggiseno bianco gli mostrò le grosse bocce in tutto il loro splendore.
“O nonna” sospirò lui afferrandole i seni mentre lei aveva ripreso a segargli il cazzo.
“Ti piacciono?”. “Si nonna sono belle, belle come la tua fica”.
“Perchè tu è quella che vuoi vero?”.
“Si nonna la voglio si” ululò mentre lei si portava il suo uccello alla bocca e lo lappava delicatamente sulla cappella.
“Nonna succhi da vera maestra”.
“Vuoi venire in bocca?” chiese lei tra una leccata e l’altra.
“Noo. Ti voglio tutta. Tutta!!”.
“Allora datti da fare no” lo invitò lei.
Preso coraggio non ci mise due volte. Si chinò carponi sulla poltrona e poggiò la testa fra le gambe della vecchia. Esitò a fissarla un istante. “Che hai?” chiese lei impaziente che già bruciava di desiderio.
“Non l’ho mai fatto nonna non vorrei fare errori”.
“Ma figurati. Devi solo leccare. Dai tira fuori la lingua vedrai che sarai bravissimo”.
Ma George era ancora in grandissimo imbarazzo. Neanche in sogno aveva mai leccato la fica alla nonna.
“Aspetta facciamo una cosa. Sdraiati a terra sul tappeto”.
Lui obbedì. Appena fu a terra la vecchia toltasi anche la gonna e rimasta con le sole calze autoreggenti chiare gli si accucciò sopra. “Vedi questo è un 69. Tu fai quel che senti che ti faccio io e vedrai che non sbagli”.
“Nonna?” si bloccò lui rosso di vergogna ma appena sentì le labbra calde della vecchia sulla cappella fu pronto ad obbedire a qualsiasi ordine.
Andarono avanti a sbocchinarsi per un tempo che parve infinito e sentì chiaramente che la nonna veniva un orgasmo dietro l’altro ad ogni suo colpo di lingua. Man mano che la sentiva gemere capiva dove la vecchia godeva di più e affinava la sua tecnica di leccata di fica rendendola sempre più perfetta finchè non potendone più esclamò “SBORRO!” e le venne dentro la gola con un unico fiotto rovente.
Stupendolo ancora una volta la nonna non accennò a staccare la bocca dal suo tubo di carne e anzi succhiò con ancor maggior convinzione. “Che buona la tua sborra”.
“Nonna ma che dici?”.
“C’è qualcosa di male se mi piace la sborra?”.
“No nonna”.
“E se mi piace il cazzo?”.
“No anzi anche a me la tua fica piace tanto”.
“E se ora ti dicessi che il tuo cazzo lo vorrei provare in fica?”.
“Che se allarghi le gambe ti servo subito nonna” sosprirò lui e senza tergiversare ancora la fece mettere sotto di se e guidandoselo con la mano glielo infilò dentro un centimentro alla volta.
Da quel pomeriggio George non smise più di fottere.
Gli piaceva. Era la cosa più bella del mondo specie con una vecchia porca assatanata come sua nonna.
Così da quel momento non faceva altro che cercare un occasione propizia per restar soli e tirasi fuori il suo enorme cazzo duro tanto più che avendo saputo che quella vecchia bagascia era sempre senza mutande gli pareva ancor più facile prenderla come e quando meglio voleva.
L’unico intrallazzo erano zia Vera che praticamente non usciva quasi mai di casa e quindi era sempre in mezzo ai coglioni nel momento meno opportuno.
Eppure voleva fottere Quindi doveva trovare un posto tranquillo per farlo. Il cesso gli parve ideale. Difficile credere che la zia entrasse a guardare la sorella che pisciava quindi erano soli.
Appena la nonna si avviava verso uno dei cessi della casa (per fortuna ce n’erano quattro) lui sgusciava subito dietro di lei chiudendosi la porta a chiave alle spalle.
La prima volta lo fece con una certa paura temendo che la nonna si arrabbiasse ma appena entrato quando la vide seduta con la tazza, senza gonna a gambe larghe con quelle eccitantissime calze a rete autoreggenti capì che lei lo aspettava.
“Pisci sempre mezza nuda”.
“Solo quando mi guardano” disse lei e senza giraci tanto attorno gli si avventò fra le gambe iniziando a spompinarlo.
Soddisfatto la vecchia si girò di schiena con le mani poggiate sulla porcellana della tazza e si lasciò prendere all’impiedi mentre le strizzava i tettoni grossi e mollicci sotto alla camicetta. La porca soffocava a stento il suo orgasmo lui pompava e sborrava a raffica… Sapeva che fuori c’era la zia Vera che girava ma in quel momento non gliene fregava niente. Aveva solo voglia di farsi la nonna e non avrebbe smesso fino a quando non avesse raggiunto la sborrata.
Quando usciva dal bagno pareva soddisfatto ma dopo pochi minuti la guardava di nuovo.
Guardava le sue calze a rete, guardava la gonna sapendo che non c’erano mutande, guardava le grosse tettone mal celate dalla camicetta e gli tornava duro. Peccato che li sul divano accanto a lei ci fosse Vera. Guardandola con ancora il cazzo soddisfatto dalla fica di nonna Irene non potè fare a meno di chiedersi se anche lei fosse altrettanto brava.
Le tette grosse parevano una caratteristica di famiglia, Nonna Mary aveva un bel balcone, con due ottime mele dai grossi capezzoloni ma era zia Vera il fenomeno della natura. Se quelle di Irene erano mele lei aveva almeno due angurie.
Le aveva così grosse che doveva farsi fare i reggiseni su misura e spesso neanche li metteva lasciando quel ben di dio spenzolare felicemente in giro.
Guardandole, guardando le tettone e la gonna molto corta che svelava ampie porzioni di coscie eccitanti non potè far a meno di desiderare di saltare nudo in mezzo a quel divano e chiavarsela senza pietà.
L’altro momento intimamente tranquillo era la notte, quando tutti dormivano. Nonna Irene lo sapeva e non si faceva sfuggire l’occasione. Ogni sera passata la mezzanotte andava in bagno e sulla via del ritorno gli entrava in camera, scivolava sotto alle lenzuola e trovatolo già nudo ed eccitato gli si sdraiava sopra cavalcando il suo cazzo fino a farlo venire.
Era una posizione fantastica dove lui poteva vedere e sentire in pieno le tettone della nonna sbattergli sul petto mentre la sua fica calda lo avvolgeva in un orgasmo bestiale.
D’altro canto era anche una posizione che faceva stancare in fretta la vecchia e quindi si passava velocemente ad una comoda pecorina dove lui poteva pompare senza sosta spaccandole la vulva ad ogni colpo.
Fu propio mentre era in quella posizione, quando era già più di un mese che scopavano insieme che la vecchia senza peli sulla lingua gli chiese “Vuoi infilarlo nel culo?”.
Era la sua prima volta.
Fino a quel momento era talmente preso dallo scopare in fica che neanche ci aveva ancora pensato.
Lei invece lo desiderava tantissimo.
Avrebbe dovuto farlo lentamente e con delicatezza dopo averla fatta bagnare un pochino ma non lo fece.
Preso coraggio poggiò la cappella tra le chiappe della vecchia ed entrò fino ai coglioni con due colpi secchi.
Meno male che la vecchia era una parecchio aperta dai vibratori che usava abitualmente.
Non si lamentò per niente. Anzi. Più lui le spaccava l’anello del buco del culo più lei veniva sgrillettandosi come una pazza.
Certo il suo uccello era più grosso del solito e la vecchia si aprì come una cozza ma la cosa pareva solo darle piacere.
Da quella sera il giochino notturno iniziò a prevedere una prima fase con lei in braccio a lui a leccarle le tette e una seconda a pecorina prima in fica e poi in culo dove si concludeva con la sborrata finale.
Il brutto era solo che quella chiavata notturna non durava mai più di un oretta scarsa e dopo un po che la nonna era andata via a lui tornava duro.
Una sera, propio mentre la stava inculando la nonna gli chiese “Ti piace zia Vera?”.
Lui non capì la domanda.
“Si insomma ho visto come le fissi i tettoni. Vorresti fartela vero?”.
George avrebbe voluto far finta di niente. Normalmente sarebbe stato molto più pudico e riservato, specialmente con sua nonna ma in fondo sua nonna era lì col suo cazzo nel culo. Perchè quindi non confessare…
E lo ammise. Ammise quanto gli piacevano i tettoni grossi e di quanto lo fossero oscenamente quelli di Vera. Anzi, raccontare la cosa lo fece arrapare e finì per riempire di sborra la nonna mentre le parlava della cara zia.
Alla fine se ne scusò “Ti da fastidio se parlo eccitato di tua sorella”.
“Ma no perchè. E’ normale che ti ecciti con quelle angurie che ha. Solo che mi sei venuto troppo in fretta e io ne volevo ancora un po”.
“Ma questo non è un problema nonnina” sorrise lui e presale una mano se la mise sul cazzo che era si umido di sborra ma era anche duro e sodo e pronto a fottere ancora.
Così col pensiero di zia Vera in testa e la mano calda della nonna sul cazzo in pochi istanti si sentì di nuovo operativo e finì per montare a ripetizione la nonnina per una buona oretta. Alla fine esausti e sudaticci si sdraiarono nudi l’uno accanto all’altro e la nonna tornò ai suoi discorsi. “Sai anche a me piacciono le tette grosse”.
“Nonna ma che dici? Tu sei una donna”.
“Bhe è con questo?”.
“Se ti piacciono le donne sei lesbica”.
“La parola giusta è bisex” sorrise lei.
“E tu lo sei?” chiese lui iniziando ad eccitarsi.
“Diciamo che una bella fichetta la lecco volentieri” ammiccò maliziosa mentre le sue dita le scivolavano nella vulva.
“Cristo nonna me lo fai tornare duro”.
“Bhe che c’è di male” strizzò l’occhio la vecchia e scoparono ancora con ancor più foga alternando culo, bocca e fica della vecchia che si godeva un orgasmo dietro l’altro.
Sua nonna adorava le tettone.
Anche se dell’argomento non parlarono per parecchi giorni George aveva chiaro ed evidente questo fatto e così fra una scopata e l’altra iniziò a mandare sul videoregistratore alcuni dei suoi porno preferiti dove le donne avevano davvero dei seni enormi.
La vecchia Irene non si fece problemi anzi pareva che guardare i porno mentre il nipote la montava come una vacca gli desse ancor maggior stimolo spingendola a bagnarsi tutta di piacere.
Non parlavano mai apertamente di una persona precisa anche se Vera era stata nominata da Irene per sottolineare a George quanto una sorella fosse attratta dall’altra ma non c’era bisogno di essere dei detective per accorgersi di quanto durante il giorno Irene fissasse con attenzione le enormi bocce della sorella.
Così una sera lui glielo chiese. “Hai mai visto le tettene di Vera al naturale?”.
“Ovvio siamo sorelle, capita spesso di vestirci assieme”.
“Già” annuì lui senza smettere di pompare.
“Vestirvi o svestirvi nonna?”.
“Certo che sei maliziosso bello della nonna”.
Lui non commentò continuando a pompare come un mulo.
Dopo un pò lei confessò “Tua zia Vera ha i capezzoli così grossi che sembrano dei cazzetti in miniatura”.
“Ma dai” annuì lui sentendo subito dopo la mano della nonna che gli si poggiava sul cazzo.
Lo fece mettere comodo per riprender fiato dopo la chiavata e massaggiandogli l’uccello iniziò a raccontare che le lesbiche con le tette grosse si ficcavano i capezzoli nella fica l’una con l’altra usandoli come sostituti per la masturbazione e che zia Vera era abilissima nel fare quel bel giochino.
“E tu come fai a saperlo?”.
“Perchè me lo sono fatto fare”.
“Ti sei fatta mettere i capezzoli della zia nella fica? Ma sei lesbica davvero allora”.
“Anche… Prendo tutto. Cazzi nel culo e fiche in bocca…anche quella di mia sorella. Ti da fastidio?”.
“Lui le rispose sborrandole in mano…”.
“E bravo il mio nipote porcellone”.
Passarono altri giorni e tutto tornò alla normalità quando un pomeriggio che erano tutti e tre in salotto a guardare la tv nonna Irene disse “Fa così caldo oggi”.
“Davvero caldo” disse Vera e ancor prima che lui potesse rendersene conto si sfilò la maglia.
Non aveva reggiseno e le sue tettone gigantesche erano li a ballonzolare in tutto il loro splendore. Il cazzo gli era venuto duro. Fissava quei meloni con sguardo eccitato anche se tremava per l’emozione.
Irene intanto aveva iniziato a spogliarsi. Senza dire una parola sfilò tutto ed in un attimo fu con addosso le sole calze autoreggenti nere. La sua ficona pelosa era li splendida e pronta e fu il segnale che invitò George a calarsi le braghe.
“Che cazzone!” sbottò Vera togliendosi a sua volta la gonna.
Anche lei (porca) non aveva mutande ma solo una bella fichetta dal pelo nero e rado…
Si accucciò bene sul divano come una cagnolina e porgendogli la fica disse sbrigativa “Dai che aspetti non c’è mica solo tua nonna sai”.
Non se lo fece ripetere due volte.
La penetrò in un sol colpo “Zia ma sei strettina sai”.
In quel mentre nonna Reanata posò la vulva in bocca alla sorella.
Eccitato da quel mare di tette, da quelle due porcone arrapate, dalle loro fiche calde, dai reggicalze sensualissimi scoparono per quasi tre ore senza smettere.
George era un fiume in piena. Sborrava in culo a Irene, sulle tette a Vera, in fica alla nonna, in bocca alla zia.
Perse il conto dei suoi orgasmi come le due vecchie persero il conto dei propii.
Smisero che era ora di cena.
Quella notte, anzichè nonna Irene, nel suo letto si presentò zia Vera col le sue enormi tettone.
“Facciamo una sera per una ti va?” disse la zia.
Lui le stava già succhiando le tette e rispose annuendo.
“Al pomeriggio un bel giochino in famiglia e la sera una bella chiavata normale. Oggi io domani Irene. Se ce la fai”.
“E me lo chiedi” sbottò lui mentre con uno spintone la faceva chinare a pecora e glielo infilava dritto nel culo.
Durò dieci anni fino a quando George non si sposò con una ragazza altrettanto porca e ben tettuta che non gli fece mai mancare i buoni vizi a cui l’avevano abituato la nonna e la zietta… ma questa è un altra storia.
Frank aveva ereditato da una vecchia zia defunta un bell’appartamento in centro.
Non avendone necessità immediata pensò fosse un ottima soluzione affittarlo in nero ad una giovane coppia di sposi.
Lui si chiamava Simone e faceva l’operaio, lei Chiara ed era casalinga.
Bella ragazza, bionda occhi azzurri bel visino angelico ogni fien del mese accoglieva Frank con i soldi dell’affitto sempre sorridente e con delle minigonne paurose che volta dopo volta suscitavano in Frank fantasie sempre più morbose.
Una volta addirittura Chiara gli aprì la porta con la camicetta mezza sbottonata e siccome sotto non aveva reggiseno le sue tette belle piene fecero una fugace apparizione sgusciando fuori coi capezzoli dritti e duri mentre gli passava i soldi.
Frank strabuzzò gli occhi e pensò fosse un pallido invito a provarci così col cazzo già duro nei pantaloni fece un accenno a strusciarsi alla donna.
Lei però appena sentì il bozzo strofinarle la coscia si tirò indietro.
“Ma che le succede signor Frank guardi che io sono felicemente sposata”.
Lui non fece commenti, prese i soldi e uscì in fretta coll’uccello durissimo.
Appena salito in macchina non resistette alla tentazione, con ancora ben chiara in testa l’immagine di Chiara con le tette mezze fuori si sparò una sega fantastica.
Il mese successivo ci andò più cauto. Anche se Chiara gli aprì la porta con una mini rosso acceso, calze a rete da gran vacca e tacchi a spillo da 12 centimetri lui fece finta di nulla.
Lei capì che lui non ci provava e così, guarda caso trovò il modo di chinarsi più volte fingendo di cercare i soldi nei cassetti. Ogni volta si chinava e le sue chiappe ben tornite sgusciavano fuori da sotto la minigonna mostrando un perizomino rosso così striminzito che sarebbe bastato un solo dito per scansarlo e farsi spazio per montarla per benino alla pecora.
Ma ormai Frank aveva capito il giochetto. La troietta ci provava gusto a far rizzare il cazzo agli uomini per poi scansarsi all’ultimo momento e lasciarli li col cazzo duro a farsi le seghe.
Così finse indifferenza anche se appena uscito dalla casa entrò nel primo bar che trovò sulla strada e occupato il bagno si sparò una sega galattica pensando a quel culetto d’oro.
Frank, pur di non dare soddisfazione alla donna pensò persino di mandare un emissario ad incassare i soldi al posto suo. Non era giusto che quella porca ogni volta gli solleticasse il cazzo lasciandolo poi a segarsi miseramente.
Ma il destino a volte è beffardo.
Così qualche mese dopo accadde che Simone, il marito di Chiara, perse di colpo il posto di lavoro sicuro trovandosi a dover ripiegare su piccoli lavori saltuari e un reddito decisamente inferiore.
Questo fece si che da quel momento per poter sopravvivere i due coniugi faticassero non poco a pagare l’affitto.
Così un giorno quando Frank si presentò puntuale all’incasso fu il marito ad aprirgli e a consegnargli però solo la metà dei soldi pattuiti.
“Mancano 200 euro” fece notare lui.
“Si lo so, spero in un futuro migliore ma per ora ho solo questi”.
“Io però voglio i miei soldi”.
In quel momento si intromise Chiara.
Camicetta nera di seta, minigonna, calze a rete e tacchi a spillo. Pareva una puttana.
“Noi avremmo una proposta” ammiccò lei.
“Che proposta?” chiese Frank
“Questa!” ammiccò la ragazza slacciando di botto la camicetta per farne uscire due belle mele mature.
A Frank venne subito duro.
“Se ci vieni incontro te le faccio toccare mentre te o seghi”.
Frank senza pensarci due volte aveva già afferrato le tette della bionda palpandole ben bene.
“Segamelo tu” le ordinò.
Lei fissò Simone, lui annuì.
Con calma gli sbottonò la patta e tirò fuori il cazzo afferrandolo saldamente.
A Frank venne duro come non mai eccitato da quel tocco caldo. Non c’erano dubbi Chiara sapeva bene come si maneggiava il manico di un uomo.
“Lurida troietta stavolta non puoi fare la santarellina vero” sghignazzò lui mentre le strizzava i seni.
Sentì che stava per venire.
“Forza ora chinati mettilo fra le tette e succhialo”.
Simone impassibile annuì.
“Ce li togli duecento euro se ti fa venire in bocca?” chiese.
“Ma scherzi -s**ttò Frank- per una spagnola una puttana non ne prende neanche 50”.
“Ma mia moglie è più brava di una puttana” gli fece notare Simone”.
“Vorresti dire che la tua troietta fa delle marchette da 200 euro a botta?” ridacchiò Frank.
“Secondo mè si. Tu quanto offriresti. Per un rapporto completo intendo?”.
“Cioè fottermi la tua Chiara per mezz’oretta?”.
“Si… Ci togli i duecento euro e andate mezz’ora di la da soli”.
“No -disse Frank- ho un idea migliore. Restiamo qui in salotto e io mi sbatto tua moglie sul divano mentre tu comodo in poltrona ti godi la scenetta”.
“Perchè?” chiese Simone.
“Perchè voglio sia evidente che è una troia”.
Chiara provò ad obiettare ma Frank le mise una mano in testa tenendola chinata sul suo uccello. “Qualcuno ti ha detto di smettere! Succhia vacca, succhia”.
Chiara obbedì.
SI accordarono.
Chiara si spogliò lentamente e sdraitasi sul divano con le sole calze a rete e i tacchi a spillo si preparò ad essere profanata. Frank coll’uccello duro le scivolò sopra e le entrò nella vulva con un unico colpo.
“Che bella calda” annuì Frank soddisfatto e iniziò a pompare a tutta forza. Se la chiavò per un po’ tenedosi sui fianchi di lei quindi la fece girare come una cagnolina e tronfio di voglia la profanò montandola come un cane in calore.
Chiara gemeva a tutto spiano. Scopare le piaceva era evidente. Ma ciò che più stupì Frank era Simone se all’inizio era stato solo un osservatore passivo con Frank che lo faceva cornuto e contento ora pareva persino eccitato dalla cosa.
Come se nulla fosse anche lui si era tirato fuori il cazzo e se lo menava a tutto spiano.
“Simone ma che fai?” sbottò Chiara.
“Sborro tesoro non lo vedi” disse lui come se nulla fosse mentre l’uccello zampillava sperma su tutto il pavimento.
Anche Frank ormai appagato aprì i tubi.
“Vengo anche io” annunciò
“Non in fica ti prego. Non voglio restare incinta” implorò Chiara.
In effetti con la situazione economica che avevano non era il caso di metter su famiglia.
“Ok allora te lo faccio dove non resti gravida” ringhiò Frank e con un sol colpo glielo sfilò dalle grandi labbra vaginali e puntò secco fra le strette chiappette. “Apri bene troietta che sennò ti faccio male” la avvisò e con un unico colpo secco le fece scivolare il cazzo nel culo per una buona metà.
Chiara cacciò un urlo pauroso che in un solo istante ripagò Frank di tutte le umiliazioni subite in passato dalla donna.
“Ora non mi manderai più a casa a farmi le seghe” sorrise e tutto soddisfatto le venne in culo con mezzo litro di buona sborra calda.
Concluso il pagamento dell’affitto i tre si salutarono e Frank tornò a casa ma da quel giorno alla fine di ogni mese era puntualissimo ad andare ad incassare l’affitto ridotto più la differenza in natura. Ogni volta con Simone che assisteva e si segava e Chiara che si faceva sbattere fica bocca e culo senza lesinare. In tempo di crisi economica era tutto sommato un sistema piacevole e appagante per far quadrare i conti.
Ero in vacanza da mia nonna che abita in una località montana dove il clima è davvero salubre e i panorami di prati e monti sono una meraviglia per gli occhi. Anche se ormai avevo vent’anni non smettevo mai di andare in vacanza in quella ridente località memore di quanto l’avevo amata da ragazzino. In pratica da sempre ero cresciuto lì, ogni estate, tre mesi l’anno accanto alla mia amata nonna Leonida.
Questa strani vicenda accadde quando ero arrivato da pochi giorni e confessò che mi turbò parecchio. In pratica, senza alcuna prova e senza uno straccio di verità la vicina di casa di mia nonna mi accusò di essere un guardone e un esibizionista.
Nulla di più falso. Certo ho una bella mazza di quasi venticinque centimetri che da duro pare il tronco di un albero e non ho nessun problema a sfoderarla bella tosta al momento opportuno ma sono abbastanza carino da potermi permettere di usarla con un ragguardevole numero di fichette in calore. Quindi che di botto mi si accusasse di spiare di nascosto una vecchia tardona di sessantanni non poteva che offendermi.
Le cose andarono più o meno così;
Nonostante fossimo in alta montagna quell’anno faceva davvero un caldo insopportabile e quindi di notte trovavo più comodo dormire completamente nudo cosa direi abbastanza normale. Non per vantarmi ma ho un bel corpo: settanta chili abbondanti su un metro e novanta di altezza, pancia piatta quasi scolpita visto che faccio parecchio sport, muscoli dei bicipiti sodi ma non invadenti. Non faccio il body-builder ma la mia bella figura ce l’ho ugualmente. Comunque era il terzo giorno che stavo da nonna e mi svegliai abbastanza presto intorno alle sei circa. E’ una cosa strana che succede quando si va in montagna ma di colpo ci si ritrova a dormire davvero poco, almeno così succede a me, forse sarà la differenza di pressione.
In ogni caso ero sveglio e come accade ogni mattina avevo un erezione da far invidia ad un toro. Fui tentato di tirarmi una sega ma sapevo quanto la nonna odiasse la sborra sulle lenzuola quindi mi trattenni. Ormai non ero più un ragazzetto che sparava schizzi otto volte al giorno, ero un uomo fatto e potevo anche trattenermi.
Quindi decisi di fumarmi una buona sigaretta.
La prima del mattino è sempre la migliore.
Mi infilai un kimono nero che avevo comprato in Cina qualche anno prima e che mi piaceva moltissimo con quel bel drago rosso e verde cucito sulla schiena che faceva tanto Bruce-Lee. Lo usavo tipo fosse una vestaglia quando nudo dovevo uscire dalla camera da letto per andare in bagno o appunto quando mi affacciavo al balcone per fumare visto che la nonna Leonida odiava con tutte le forze la puzza di fumo in casa.
Col mio accappatoio legato in vita mi accesi la sigaretta e la fumai tranquillo. Sotto sentivo ancora l’uccello indurito ma come avevo previsto l’arietta fresca del mattino aveva avuto l’effetto di un mezzo anestetico e pian piano l’erezione stava sparendo.
Fu a quel punto che la vidi.
Era a circa centocinquanta metri da me esattamente sul terrazzo della casa di fronte alla nostra.
La riconobbi subito era Teresa, una signora vedova di sessanta e qualcosa anni quasi coscritta di mia nonna e di lei anche molto amica.
La conoscevo da sempre ma non l’avevo mai vista così.
Non così.
La vecchia, una mora sui novanta chili col ventre grosso e flaccido se ne stava sul suo terrazzo con indosso solo la pelle.
Già, la tardona era tutta nuda!
Sapevo per conoscenza diretta che la porta accanto al suo terrazzo era quella della sua camera da letto, non comunicante col resto della casa ed era quindi ovvio che la vecchia al risveglio dovesse per forza di cose attraversare il terrazzo per andare in casa o in bagno ma non avevo immaginato che lo facesse senza i vestiti addosso.
Certo potevo capire e dare per scontato che la tardona dormisse nuda come facevo anche io ma immaginavo che prima di uscire dalla camera da letto ed attraversare il terrazzo si infilasse addosso qualcosa… come me appunto.
Invece nulla la tardona era lì con le sue tette non grosse ma comunque invitanti e la sua peluria bella nera e molto florida.
Bastò questa immagine per avere sotto alle gambe un alza bandiera non indifferente. Ora avevo tutto il cazzo ritto fuori dal kimono e sentivo la cappella pulsare eccitata.
Continuando a fumare mi godetti quello spettacolino porno finchè la vecchia non sparì. Cosa stesse armeggiando sul balcone non l’avevo capito ma mi ero ben goduto quei cinque minuti di tettone e culoni dondolanti, di fregne pelose e di ciccia flaccida.
Tornai in casa… andai in bagno e mi sparai una bella sega!
Non potevo farne a meno.
La mattina dopo lo spettacolo si ripetette quasi uguale solo che stavolta ero già in attesa quando la signora Teresa sbucò sul balcone. Già la stavo aspettando.
Ero diventato un guardone? No, direi di no. In fondo non mi acquattavo in posti strani per spiarla o chissà che. Me ne stavo tranquillo sul mio balcone a guardare il panorama.
Dal mio punto di vista se la vecchia usciva sul balcone nuda dove tutti potevano vederla era un peccato non guardare.
Comunque finalmente uscì.
Stavolta non era nuda.
Già. Notai subito che indossava una maglietta tipo canotta di colore rosso che le copriva la pancia e il seno.
Era un peccato non poter rivedere le tettone ma subito notai che sotto dalla vita in giù c’era comunque una bella gattona da osservare.
Guardai concentrato per osservarle bene la patatona quando di colpo la vecchia si chinò accucciandosi sul balcone.
Ma che cazzo stava facendo chinata a fica al vento alle sei del mattino?
Naturalmente la cosa più semplice del mondo.
Pisciava.
Già. La vecchia appena alzata, come tutti, aveva una gran voglia di pisciare e molto probabilmente non avendo voglia di scendere le scale aveva preparato sul terrazzo un bel catino pronto per l’uso.
Mi godetti la pisciata osservando meglio che potevo le grosse labbra della sua ficona che si aprivano sparando fuori il liquido giallo. La cosa aveva un che di eccitante e per forza di cose il mio bel travone di carne si alzò sull’attenti.
Provai l’impulso di toccarmi ma resistetti ben deciso a rimandare a dopo una buona e soddisfacente sega.
Invece non fu così.
Già perchè finito di farsi la sua bella pisciata la vecchia cicciona non si limitò ad alzarsi ma iniziò ad esplorarsi la ficona come se vi avesse perso dentro qualcosa.
All’inizio pensai che se la stesse solo asciugando ma poi fu chiaro anche dalla sua faccia che stava facendo altro.
Già. La tardona si tirava un ditale.
Questo ovviamente cambiava tutto. Se fino a quel momento mi ero sentito un po’ in colpa ad osservare una povera vecchia che facendo dio necessità virtù espletava i suoi bisogni corporali nel modo più facile e comdo mentre io ne approfittavo per guardarla ora era di botto diventata una vecchia maialona che se la godeva.
Questo mi arrapava terribilmente.
Meccanicamente iniziai a menarlo. Prima piano e poi sempre più velocemente e posso quasi dire che sborrammo insieme.
La cosa durò anche le due mattine successive e ci avevo quasi preso gusto a sborrare sul balcone quando di colpo mi resi conto che avevo tralasciato la cosa più ovvia ossia che se io vedevo la sua passerona anche lei vedeva bene me e il mio cazzone…
Fino a che l’avevo osservata e basta tutto poteva risolversi in un nulla ma lì ero stato chiaramente a tirarmi il cazzo fino a fartelo esplodere e non potevo più dire che era tutto un equivoco no?
Così quel pomeriggio quando sentii la signora Teresa che discuteva con mia nonna mi sentii un verme totale.
La signora Teresa e in questo era stata un gran po’ stronza era andata a parlare con la nonna proprio di questo problema e le stava appunto raccontando che la mattina la spiavo dal balcone per cercare dio vederla nuda e che per di più quando lei si accorgeva che la stavo guardando mi tiravo fuori il cazzo e mi toccavo.
Insomma ero un esibizionista che si tirava segoni sul balcone davanti a tutti.
Era proprio così? A sentire Teresa si visto che aveva tralasciato di dire alla nonna che lei era tutta nuda intenta a sgrillettarsi come una pazza. Già cara la mia tardona perchè se fossi stata vestita io non ci avrei mica fatto caso no? Mi dicevo e mi incazzavo mentre lei mi descriveva alla nonna come il classico spione che violava l’intimità di una povera vedova.
Non potendone più entrai nella stanza fissando la donna con tutta la mia rabbia ma lei non ci fece nemmeno caso. Anzi fissandomi me lo disse in faccia “Bisogna proprio che la smetti di spiare sai”.
“Io non spio…”.
“Ma si dai che ti ho visto tutto nudo che mi spiavi dal balcone”.
“Anche tu eri nuda però” s**ttai perchè volevo a tutti i costi che nonna sapesse quanto era vacca la donna.
“Io a casa mia giro come mi pare sei tu che non devi guardare ti pare”.
“Io non l’ho mica fatto apposta. Ero lì a fumare e poi ti ho vista uscire nuda”.
“E poi te lo sei tirato fuori” aggiunse lei con una mezza risata.
Guardavo mia nonna carico di vergogna “E’ stato un riflesso”.
“No bello mio è stato un segone coi fiocchi” ridacchiò ancora più forte dandomi implicitamente del segaiolo.
Non sapevo che altro dire.
Per fortuna intervenne la nonna. “Sentite certe cose capitano. Coi balconi di fronte è normale. Bisogna che facciamo in modo di non guardarci più vi pare? La cosa migliore credo sarebbe coprire tutto il terrazzo di Teresa con qualcosa. Non so magari delle lenzuola colorate o qualcosa del genere”.
Io e Teresa ci guardammo non mi andava di smettere di vederla nuda e lessi nei suoi occhi che anche a lei fissare il mio cazzo non dispiaceva poi quanto voleva farci credere.
Comunque la nonna era stata decisiva così quello stesso giorno saltò fuori dalla cantina un vecchio taglio di stoffa lunghissimo color blu petrolio. Con quello avremmo oscurato per bene il terrazzo di Teresa e ilo problema si sarebbe risolto da solo.
Visto che ormai avevano deciso che ero io il colpevole, il guardone, il segaiolo la nonna decise anche che sarebbe toccato a me tendere la bacchetta lungo tutto il terrazzo su cui attaccare la coperta.
Così tentando di rimanere impassibile per non buttare altra benzina sul fuoco andai a casa della signora Teresa con la bacchetta e la stoffa pronto a fare il mio lavoro. Sul mio sguardo si leggeva tutta la rabbia soprattutto per quanto quella vecchia stronza si era mostrata fasulla ed ipocrita ma finsi indifferenza.
Teresa mi fece entrare ed andammo subito sul terrazzo. Mentre salivamo le scale notai che indossava una gonnellina a fiori molto leggera e una maglietta bianca. Sotto alla maglietta si vedeva tutto il reggiseno che per fortuna quel giorno aveva avuto la saggia idea di mettersi.
Lo stesso non si poteva dire per il sotto. Bastò infatti essere distaccato da lei di qualche gradino per osservare la gonna svolazzante e notare che nove su dieci non indossava mutandine..
Notai la cosa, la immagazzinai in un angolo della memoria ripromettendomi in seguito di sparami una soddisfacente sega immaginando di sborrare nella boccaccia di questa vecchia vaccona fasulla che mi aveva fatto fare una così brutta figura con mia nonna e mi misi al lavoro.
Tersa mi lasciò ad armeggiare col martello e i chiodi e in meno di mezz’ora ebbi finito.
Ora il terrazzo era perfettamente schermato.
Mai più spettacoli porno gratuiti da vecchie tardone sgrillettomani.
Chiamai la signora Teresa. Avevo finito.
Lei tornò ma vidi subito che era senza maglietta.
Sopra aveva solo un reggiseno di colore rosso molto più adatto ad una ragazzina che ad una vecchia e che pareva far risaltare i suoi tettoni anziché nasconderli.
“Che caldo che fa” disse forse per giustificarsi ai miei occhi.
“Già dissi. Ma non ti preoccupare adesso vado via e puoi anche metterti tutta nuda. Io non ti guardo”.
“Adesso però guardi altrochè” ridacchiò lei e per sottolineare il tutto si toccò ben bene una tetta sotto al reggiseno.
Le piaceva farmi passare per uno sfigatello che non aveva nulla di meglio che filarsi un vecchio cesso come lei. Mi dava così fastidio che non mi trattenni più “Guarda che ho visto cosa facevi sai”.
“Cosa facevo cosa?”.
“Ti tiravi un grilletto ti ho vista”.
“Ma che porco che sei. Ma lo sa la nonna che dici stè parolacce”.
“Parolacce un cazzo. Tu sei una vacca e ti masturbi sul balcone. Se ti guardo è solo perchè ti fai guardare”.
“Vacca ci sarà tua nonna io sono una signora per bene sai”.
“Ma vaffanculo” chiusi il discordo io e me ne andai.
Lei mi seguì velocemente giù pe rle scale e prima che uscissi di casa mi sbarrò il passo.
“Senti mi dispiace” disse.
“Cosa ti spiace? Di avermi sputtana con mia nonna o di essere una troia”.
Lei mi si avvicinò e con un colpo secco fece sgusciare fuori una tetta dal reggiseno. “Ecco guarda… Guarda che bella….”.
“Non mi interessa più”.
“Ma si che ti interessa dai” e così facendo tolse del tutto il reggiseno.
“Perchè poi tu vada a dire a mia nonna che ti ho strappato il reggiseno io”.
“Ma non lo farei mai. Quella che cercavo era solo una scusa per farti venire a casa mia. Io ci provavo ma tu non ti decidevi. Sapevo di avetelo fatto venir duro pisciando, poi me la sono anche spupazzata per farti guardare meglio ma tu niente… Solo seghe e basta. Se non ti facevo venire io eri ancora li a guardarmi dal balcone”.
“Quindi era tutto un trucco per…”.
“Si, bravo l’hai capito” sussurrò lei che già aveva una mano sul cavallo dei miei pantaloni e mi tastava il cazzo.
Poi mi prese la testa e se la tirò al seno. “Ciuccia dai. Ciuccia stè belle tettazze”.
Obbedii.
Era stupendo. Mentre succhiavo i suoi grossi capezzoli il cazzo sgusciò fuori dritto fra le sue mani e cominciai a sentire che me lo accarezzava sempre più velocemente.
“Che trave che hai qua sotto ma tua nonna lo sa?”.
“Lo sa, lo sa” confermai godendomi il segone mentre con le mani le stavo già abbassando la gonna svelando la ficona pelosa e pronta per me.
Nudo dalla vita in giù, arrabbiato ed arrapato non ci misi molto a farla girare mettendola a pecorina sul pavimento.
Lei non desiderava altro ed io non chiavavo da cinque giorni quindi fu abbastanza normale che il mio cazzo scivolasse in un sol colpo dentro a quella vulva marcia di umori.
La vecchia aveva una gran voglia e mi incitava a pompare sempre più veloce mentre mi incitava a sfondarla a colpi di cazzo.
Andai avanti a montarla per una buona mezz’ora e mi tolsi la soddisfazione di tirarglielo fuori dalla fica appena in tempo per poggiarglielo sulle labbra e sborrare tutto nella sua maledetta boccaccia che aveva parlato troppo.
Teresa non si lamentò affatto anzì dopo aver deglutito la mia sborra serenamente continuò a succhiarlo ottenendo di farmelo praticamente restare duro e pronto.
Ci facemmo subito una seconda chiavata. Stavolta nel suo letto, lei sotto, io sopra in un mare di sudore a pompare come ricci. La signora raggiunse parecchi orgasmi eccitandomi ed invogliandomi a continuare a fotterla a tutto spiano. A me non importava che fosse brutta o che fosse vecchia. In quel momento volevo solo fotterla a 360 gradi.
Ero lì a scoparmela da quasi un ora.
Le ero già venuto in bocca ed ora le avevo allagato la fregna ma quando si alzò in piedi andando dal suo letto al terrazzo non potei fare a meno di notare con quanta studiata troiaggine si sedeva delicatamente sul catino. La guardai pisciare sul terrazzo. Stavolta da pochi metri e al riparo grazie alla tenda che avevo appena montato.
Lei pisciò tranquilla e non si stupì troppo quando le porsi il cazzo duro per un tris dovuto.
“Aspetta che la asciugò che sono piena di piscia”.
“Non è necessario… Tanto non è lì che vado” ridacchiai io.
La inculai. Senza vaselina, senza protezioni ma solo con l’insana voglia di spaccarle completamente il culo.
Per fortuna la vecchia non era del tutto vergine nemmeno lì e lo si capì bene quando le infilai il cazzo dentro fino a far sbattere i coglioni sulle sue chiappe.
In perfetta pecorina la montai deciso ad inamidarle il culo.
Era stupendo ed in più avevo quasi la certezza che quell’estate avrei potuto approfittare di quella vecchia puttana quando e come meglio credevo. Dovevo solo stare attento a non far sospettare nulla alla nonna.
Già la mia cara nonna.
Ma dov’era in quel momento la cara nonna?
Ovviamente a controllare che quel pelandrone di suo nipote avesse fatto per bene il lavoro che aveva promesso.
Esattamente davanti a me ritta sull’ultimo gradino della scala a fissarmi mentre inculavo a tutto spiano la vicina di casa.
“Ciao nonna” dissi io con un verso soffocato proprio mentre sentivo il terzo schizzo inondare il culo a Teresa.
“Ciao un bel cazzo” sbuffò la donna e girato sui piedi ridiscese lentamente la scala. Teresa ed io ci staccammo in fretta e col mio cazzo ciondoloni e la sua fica ed il suo culo che ancora colavano lo sperma con cui l’avevo riempita raggiungemmo nonna Leonida prima che uscisse di casa.
“Leonida aspetta” la bloccò Teresa.
“Aspetta cosa… Ormai avete fatto no. Allora finite e poi rimandalo a casa”.
“Leonida… mi spiace”.
“Ma vaffanculo troiaccia. Lo sapevo io che mi scopavi il nipote. Lo sapevo che eri una vaccaccia”.
“Nonna mi spiace”.
“Tu zitto porco che facciamo i conti a casa”.
Interrotta la chiavata obbedii alla nonna.
Poco dopo eravamo in cucina. Io seduto su una sedia con lei a fianco semplicemente inviperita “Io lo sapevo. Lo sapevo che era una vecchia porcona. Tutta le storia del guardone. Lo sapevo che voleva fottermi il nipote -brontolava – e tu brutto maiale proprio non resistevi vero. Già quella ha tirato fuori la fica e tu giù. Ma lo sai che quella si fa i ditalini con le carote e le zucchine. Ma tu lo sai sulla verdura quanti microbi ci sono sopra? No dico almeno le lavasse prima…
Pensa ai microbi che aveva nella fica e che adesso hai tu sul pisello”.
Prese da uno scaffale una specie di tubetto molliccio e lo mise sul tavolo. “Questa è crema disinfettante per la vagina. Non è il massimo ma la facciamo andar bene. Forza spalmiamola subito prima che ti venga blu”.
Obbedii denudandomi dalla vita in giù.
La nonna poggiò il tubetto sul mio cazzo e premette forte. Con un getto gelido quella specie di gel trasparente mi si posò sul cazzo. Stavo per spalmarlo io stesso quando la nonna con una salviettina mi si mise accanto iniziando a spolverarmi come fossi un mobile. Fregava forte, molto forte, una cosa sempre più simile ad una sega che non mancò di sortire un certo effetto di indurimento.
“E poi dico io nel culo. Ma lo sai i germi che avrà quella nel culo. Ma davvero vuoi prenderti la gonorrea o chissà cosa. Ma tu sei malato sai”.
“Scusa nonna” sussurrai io ma ero così preso a godermi quella che ormai era una sega in piena regola che avevo poco forza di sembrarle pentito.
La cappella era gonfia, l’uccello d’acciaio e stavo godendo a mille. “E adesso cosa fai? Mica mi vorrai sborrare in mezzo alla cucina”.
“Vado in bagno subito”.
“Si vai vai. Tanto a tua nonna mica ci pensi più. Già ormai siamo grandi e la nonna non serve vero”.
“Nonna ma che dici?”.
“Dico che sei un ingrato. Che se ti ricordassi le cose magari una avrebbe piacere no. Già ma il signorino ormai ficca in giro e la nonna non se la ricorda più. Mica si ricorda di chi lo ha fatto uomo”.
La fissai. Col cazzo duro. Durissimo.
Le sue grosse tette traboccavano sotto al vestito. Le sue cosce sode facevano capolino sotto alla gonna.
“Nonna. Io non lo potrò mai scordare. Mai. Certo non l’ho mai detto a nessuno ma se sono come sono lò so di doverti molto. Non sai nemmeno quanto ti sia grato di avermi fatto uomo. E’ stato il più bel regalo di compleanno che una nonna potesse fare al nipote”.
“Parole, parole” mugugnò lei.
“No. Fatti -sussurrai io mentre delicatamente le accarezzavo il petto- Nonna non sai quante volte ho ripensato a quella scopata che ci siamo fatti quel giorno e alle altre cento nei anni successivi. Non sai quante volte ancora ti penso e mi arrapo”.
“E allora perchè non lo dimostri mai. Sono quasi tre anni che vieni qui e non fai nulla”.
“Nonna ma hai passato la settantina… Io non credevo che…”.
“Che cosa? Che questa non tirasse più” disse lei sfilandosi la gonna con un sol colpo e restando nuda dalla vita in giù.
Erano tre anni che non vedevo la sua passerona ma a parte il pelo un po’ grigio era ancora la bella miciona con cui avevo perso la verginità quasi sei anni prima.
“Allora cosa dici?”.
“Dico che è bellissima e vorrei leccarla come facevo una volta”.
“Potevi anche svegliarti prima no? Sono tre anni che non fai niente. Tre anni che vado in giro per casa senza mutande sotto, che metto le auto reggenti anche d’estate, che faccio la doccia con la porta aperta e tu… un cavolo. E poi mi chiavi la vicina”.
“Nonna tu mi dicevi sempre dei malori che avevi, di come ti sentivi stanca io non credevo che volessi farlo ancora. Io ti rispettavo e mi facevo le seghe piuttosto che importunarti”.
“Ma bello della nonna non lo sai che la mtua mazza i malori li cura”.
“Davvero?”.
“Ma certo cura e tiene giovani”.
“O nonnina cara ma che errore che ho fatto. Che grande errore. Allora vieni, vieni che ti do la medicina. Tre anni di medicina arretrata” e senza perdere altro tempo me la feci sedere in grembo impalandola in un colo solo.
Nonna Leonida era così marcia di voglia che l’uccello le scivolò dentro in un istante la sua fica di settantanni era ancora così calda che pareva una ragazzina.
Approfittai per sbottonarle la camicetta e liberare le sue tettone sesta misura. Ero semplicemente in estasi.
“O nonna che bello”.
“O nipotino mio che cazzone duro”.
“Sei tu che lo fai gonfiare nonna”.
“Si bravo nipotino, bravo scopa la nonna falla felice”.
“Sempre nonna… Lo sai che ti voglio bene”
Una donna in prestito
di antonio fusco
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