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H, H & S – Conciata per le Feste
(21 dicembre 2012 – ore 15 circa nei pressi di Capri, NA – Italy)
Cari amici, dovete sapere due cose prima di leggere questo piccolo resoconto: la prima è che io scrivo, scrivo … ma poi, “faccio” ben poco, non tanto per restare casta fino al Giudizio universale, ma perché non ho molti vizi.
I vizi mi piacerebbero, e tanto, ma non me li posso permettere.
Non sono che una semplice impiegata, un po’ sul precario (come tutti noi, comuni mortali, al giorno d’oggi), pendolare, ma anche casalinga e mamma (non potendomi permettere “personale di servizio”).
Oh, intendiamoci, non sono neppure un’educanda … forse, da questo, nasce il mio sfogo nello scrivere racconti erotici.
La seconda cosa è che sì, lo confesso, anche io ho la mia piccola (?) forma di depravazione. Da ragazza, quando facevamo all’amore col fidanzatino di turno, ci si arrangiava … niente alberghi; raramente si rimediava una casa o una precaria garconnière.
Per lo più si scopava alla buona in macchina o in qualche luogo, più o meno appartato. Ora, dato che sono molto lenta nel provare piacere, in quell’epoca non riuscivo a venire quasi mai.
Mentre la precarietà e i pericoli (questo l’ho capito molto dopo) giocavano a favore del porcellino di turno.
Tutti gli adolescenti “soffrono” o, meglio, godono, di eiaculazione “veloce”, quindi, se la cavavano alla svelta con i preliminari (che a noi ragazze piacciono tanto) e cercavano subito di andare al sodo, sborrando il più presto possibile.
Magari, se la pace della “location” lo permetteva, se ne facevano due o anche tre.
Ma queste sono solo puntualizzazioni che tutti conoscono, ovviamente.
Il preambolo serve solo a confessarvi la mia “perversa” fantasia sessuale.
Quando, finalmente, raggiungevo la mia casetta tranquilla e gli spazi a me familiari, dopo la tempesta , diciamo, nella quiete di camera mia o nel bagno, ben chiuso a chiave, mi dedicavo a una lunga e deliziosa masturbazione.
Libera da affanni e senza fretta, mi attardavo deliziosamente sulle mie grandi labbra e sul clitoride, che, spesso, era ancora arrossato dalle decise e ripetute penetrazioni degli irruenti “compagni di gioco”.
Mi piaceva titillarmi e cercavo di farlo al più presto, in modo da ritrovarmi la pancia o la fighetta, ancora irrorate di sperma, a volte secco, altre volte, caldo, liquido e copioso.
Lo lasciavo fuoriuscire, a goccioloni, dal mio buco, e me lo trastullavo tra le dita, usandolo come lubrificante: era odoroso d’uomo … e molto eccitante.
Questi momenti di estasi mi portavano a fantasticare e, le mie fantasie, erano incentrate su questi punti fondamentali: essere vista o spiata mentre facevo sesso col mio ragazzo e, inoltre, donare piacere a uno sconosciuto.
Non era tanto l’idea di essere posseduta per mio “gusto”, al contrario, il mio gusto, nei ditalini solitari, era rappresentato dal poter donare, il mio corpo, a chi tanto lo aveva spiato, desiderato, agognato.
Una specie di premio inaspettato, la vincita a una lotteria in cui non avresti mai sperato.
Tutte fantasie che credevo irraggiungibili o irreali, subito dopo che avevo goduto.
Poi sono passati gli anni e, grazie al mio attuale compagno, che come ho detto più volte, mi permette di esprimere la mia sessualità come meglio credo e, anche grazie a internet, qualche sfizio me lo sono potuta togliere.
Poca cosa, intendiamoci.
Con il mio uomo abbiamo imbastito, qualche volta, del sesso a tre, il cosiddetto: cuckold.
Altre, poche volte, abbiamo fatto l’amore davanti a tutti, diciamo così, in web cam, su un sito porno.
In entrambi i casi, nonostante io abbia goduto, abbondantemente, nel compiere l’atto (mio marito è molto attento alle mie esigenze) ho conservato la mia vecchia abitudine giovanile: una sana masturbazione, in pace e tranquillità, ricercando e ritrovando i segni dell’avventura appena trascorsa.
La seconda cosa che dovete sapere è che, quello che vi racconto ora, è successo proprio a me, ieri pomeriggio, in maniera del tutto inattesa.
Era venerdì, ovviamente, e dato che la settimana prossima è Natale, la direzione della ditta per cui lavoro, ha preferito incontrare anticipatamente i dipendenti, per gli auguri di rito.
Classica fetta di panettone che, notoriamente, ti resta sullo stomaco con le solite chiacchiere, affettate e inutili.
La cosa positiva è che, non potendo rientrare sul lavoro fuori sede, sono riuscita a tornare a casa verso le tre, in notevole anticipo, insomma.
Ero completamente sola e, al contrario, mio marito sarebbe tornato la sera, e pure abbastanza tardi.
Stressata dal venerdì prenatalizio e con in testa già tutti i pensieri delle cose che dovevo fare, mi concessi una stravaccata occasionale sul divano.
Il tempo di togliere le scarpe, chanel nere a mezzo tacco, ideali, sotto il tailleur grigio indossato quel giorno, per non presentarmi col solito jeans alla festa.
Indugiavo, con le gambe stese, tentata dall’idea di un piccolo, innocente, pisolino ma non me la sentivo di abbassare troppo la guardia.
Comunque, dopo, sarei dovuta uscire, avevo ancora delle cose da fare e, a volte, riposare cinque minuti per poi rientrare in attività, mi rendeva ancora più stanca e nervosa.
Svogliatamente diedi una controllata alla borsetta, che avevo lasciato cadere al mio fianco, e cercando di rinvenire, sperduto in qualche anfratto misterioso del divano, il telecomando della televisione.
Mi accorsi che sul cellulare c’era un messaggio e lo aprii. Era Eddy, mio marito, mi diceva che sarebbe tornato verso le nove e che ci pensava lui a recuperare nostra figlia dai nonni.
Che tesoro: un pensiero in meno!
Dovevo fare pipì, ma i bagni sono di sopra, e io non trovavo la forza per alzare le chiappe dal divano. Intanto, il telecomando non veniva fuori.
Il silenzio del meriggio e la luce soffusa che attraversava le tende, invitavano al relax.
Mentre mi concedevo ancora qualche minuti di pausa, improvviso, il classico ronzio di una sega elettrica, mi riscosse, colpendomi di sorpresa. E’ un suono a cui siamo abituati: vivo in campagna. Novembre e dicembre sono dedicati alla potatura e, nelle macchie e nei frutteti che ci circondano, è un concertino che non si ferma mai.
D’altro canto, non è un suono spiacevole, se ci fai l’abitudine.
Però, stavolta, il suono era un po’ troppo vicino per non attirare la mia attenzione. Per prima cosa, significava che c’era qualcuno molto vicino a casa mia; non che avessi paura ma,visto che abbiamo le porte sempre aperte (pessima abitudine, lo so), mi decisi, comunque, a dare una controllata di fuori.
Era anche un buon motivo per scuotermi dal torpore e riprendere l’attività.
Le pantofole erano lontane, rimisi le scarpe, non troppo idonee alla vita di campagna, ma non me la sentivo di recuperare le ciabattine adesso.
Uscii, ancora in tailleur, senza cappotto, tanto fuori era tiepido perché era stata una bella giornata, piena di sole.
Intanto, le raffiche della sega, risuonavano a s**tti, ma ancora non ne vedevo l’autore.
Girai dietro la casa e, a pochi metri, su una scala, vidi don Liborio, un vecchio pensionato delle ferrovie, che faceva servizi da giardiniere un po’ per tutto il vicinato.
Come gli uomini di una volta, aveva la campagna nel sangue e, lavorare con le piante, era la sua passione.
Nella sua casetta, molto più sopra della nostra, aveva pure qualche a****le, che sapeva governare a regola d’arte, infatti era tra i nostri fornitori di fiducia, altro che “prodotti bio”.
Don Liborio, a prezzi d’amatore, ci procurava spesso qualche soppressata genuina, formaggi, uova e altre prelibatezze.
Era una figura tipica del nostro sentiero, a stento carrozzabile, ed era sempre impegnato a fare qualcosa.
Insomma, un brav’uomo. Nonostante avesse di certo superato la settantina era ancora in forma: asciutto, con la pelle che sembrava di cuoio, per il colore che gli dava la vita, costante, all’aria aperta.
Le sue grosse mani armeggiavano con la sega, colpendo, senza titubanze, i rami di un grosso castagno, le cui foglie erano ormai tutte cadute.
Approfittai di una pausa per salutarlo:
– Ehilà, buongiorno! – gli gridai, facendomi scherno a gli occhi con il palmo della mano.
Lui si accorse subito di me e si voltò, con il suo solito sorriso bonario.
Mi scaldò il cuore: pensai che in oltre dieci anni, non lo avevo mai incrociato, senza che mi donasse un sorriso. Che brava persona … eh, gli uomini di una volta!
– Buongiorno, signò! – rispose immediatamente e si precipitò a scendere dallo scaletto, per venirmi a salutare da vicino – Scusate, vi ho disturbata? Io pensavo che non ci stavate, mi era sembrato che non c’era la macchina vostra … –
– Ma no, don Liborio – risposi sorridendo apertamente a mia volta – non vi preoccupate … anzi, mi fate compagnia. Quando ci state voi in giro, mi sento più sicura … –
– E … signo’, ormai so’ vecchio. – mentre parlava, notai che, comunque, adesso che non aveva la luce del sole negli occhi, pur facendo finta di niente, non riusciva a evitare di spiare le mie gambe, slanciate dalle calze grigie e dalle scarpette col tacco. Avevo la gonna sopra il ginocchio, non abbastanza da essere una mini (non si addiceva alla mia età e alla mia mentalità).
Mi piaceva però, in certe occasioni, ricordare ai miei colleghi, che sotto il maglione abbondante, si nascondeva una donna, che, nonostante i quaranta fossero vicini, si manteneva ancora tonica e femminile.
– Ma che dite, don Liborio, voi vi mantenete così in forma? Fossero come voi gli uomini di città, dove lavoro io. – risi sincera – I miei colleghi sono tutti rammolliti e parlano solo del pallone. – a quel punto, come di prassi, gli chiesi se gradiva un caffè o qualcosa da bere.
Don Liborio si schernì, era troppo discreto, ma poi ammise:
– Veramente un bel caffè lo gradisco, voi lo fate troppo buono … è logico, siete napoletana! –
– Bravo, – gli dissi – mo’ ce lo facciamo proprio: anche io ne ho bisogno. Sono appena tornata e mi stava prendendo la sonnolenza. Appena è pronto vi chiamo. –
E me ne tornai verso casa, rapidamente.
Stavo per andare di sopra prima, per spogliarmi e per fare la pipì, ma invece preferii indugiare.
Il caffè sarebbe stato pronto in un attimo.
Mentre aspettavo che salisse nella macchinetta, la mia mente vagò, forse solleticata, dallo sguardo sorpreso e affascinato del vecchio contadino.
Sapevo che era vedovo e, pensai: chissà se si masturba? Chissà se magari lo ha mai fatto pensando proprio a me?
Dopotutto, ero decisamente la più bella donna del circondario. Senza nessuna presunzione, ma le altre erano dei veri gabinetti, come diceva mio marito. Là intorno erano tutte famiglie contadine, dopo il matrimonio, le ragazze si lasciavano andare e, a trent’anni, erano già dei bidoni.
Non senza un pizzico di civetteria, decisi di farlo venire dentro, a prendere il caffè.
Così, mi affacciai dal retro e lo chiamai:
– Don Liborio, venite, il caffè è pronto! –
Il vecchio stava controllando alcune cicas, sul bordo del nostro giardino, e si voltò, forse un po’ sorpreso.
Aveva sempre da fare e difficilmente entrava in casa di qualcuno, ma non ebbe il coraggio di chiedere che glielo portassi fuori.
Di buona lena, si lavò le mani alla fontanina e, asciugandosi con un fazzoletto che teneva in tasca, si avviò verso casa.
– Non volevo dare tanto disturbo, signo’! – disse fermando sulla porta, poi aggiunse – e vostro marito non c’è? –
– No, – risposi – oggi io ho fatto prima; non c’è la macchina perché mi ha accompagnato una collega. Sono sola soletta … ma venite, accomodatevi. –
Leggermente impacciato, il brav’uomo fece qualche passo verso la cucina.
– E sedetevi due minuti, don Liborio – risi portando le tazze con il caffè fumante.
Sul tavolo avevo già messo una bottiglia di acqua minerale, fresca di frigorifero.
– Voi mi avete fatto il complimento? – continuai – E adesso il caffè ve lo dovete prendere come Dio comanda. –
Lui accettò di buon grado e sedette su una sedia, mentre io civettai e mi tornai a sedere sul divano, naturalmente la gonna scivolò in su, in su, sulle collant scure.
– Assaggiate … e ditemi la verità! – lo guardai con la tazza in mano, fingendo di non vedere il suo sguardo, incollato sulle cosce.
Don Liborio sorseggiò il caffè:
– E’ buono, lo sapevo già. Voi fate il più buon caffè del vicinato. – disse cordialmente.
– Grazie … ve l’ho fatto con la mano del cuore! – poi aggiunsi – Mi ero un poco appisolata … –
– Mi dispiace – disse lui, veramente confuso – io non sapevo … –
– Ma che dite? Si, si … io ho mille cose da fare … figuratevi – accavallai le gambe e mi misi più comoda sul divano – Volevo solo dire che adesso, riprendere mi rincresce. Figuratevi, parlando con decenza, che non sono ancora salita sopra, neppure per fare la pipì! –
Don Liborio, preso alla sprovvista, si agitò leggermente sulla sedia. Era un vecchio ed era all’antica, non era abituato a certe confidenze.
Gli sorrisi sfrontata:
– Beati voi uomini, che potete farla dovunque … –
Il contadino rise.
– Signò, in campagna così si faceva … – poi prese coraggio – senz’offesa, lo sapete quando io ero ragazzo, tanti anni fa, come si faceva? –
– No … dite … – dissi curiosa, non sapendo dove volesse andare a parare.
– Solo le ragazze giovani portavano i mutandoni, le donne che avevano figliato, insomma le femmine sposate che lavoravano in campagna, non portavano proprio le mutande … tranne quando non potevano farne a meno, voi mi capite … –
– Ah ah … e perché? – risi spontaneamente.
– E perchè … perchè … non vorrei offendere … – e si fece una risatina nervosa, mentre si alzava, visibilmente accaldato.
– Ma dite, don Liborio, mica sono una ragazzina … – lo presi in giro, mentre il suo impaccio mi dava carica. Non riuscivo a non pensare al suo sesso … ero curiosa. Come lo aveva? Si faceva ancora duro … da quanto tempo non veniva?
– Non le portavano perché pisciavano all’erta … in piedi insomma! – disse lui facendosi coraggio.
– Cosa? Non si accovacciavano neppure? – incalzai.
– Qualche volta si … – sorrideva, ancora un po’ impacciato, ma l’argomento lo divertiva pure a lui.
– Noi ragazzini le spiavamo, proprio con la speranza che si abbassavano per vederle nude. Per questo pisciavano in piedi … allargavano le gambe, ma non si vedeva niente. –
– Una vita campagnola … – dissi perplessa – e io che pensavo che si proteggessero, di sotto intendo, con due paia di mutande.
– E signò … il mondo è sempre uguale, credetemi. Anche allora si face all’amore. –
mi guardò con un’espressione sognante, credo ripensasse al passato.
– Il padrone se le ripassava quasi tutte, spesso senza vergogna … come il cane. Se ne portava una dietro una pianta e la voleva trovare già pronta. –
Un calore intenso mi invase la vagina, costringendomi ad accavallare le cosce dall’altro lato.
– Aspettate … volete un liquorino? – gli dissi, alzandomi a mia volta.
– No, grazie, signo’ … sto bene così. Grazie per il caffè … squisito e pure per le chiacchiere … –
– Ma volete scherzare? – risposi io – Mi fa piacere sentire le vostre storie … Eh! Chissà quante ne avete fatte pure voi … –
Don Liborio rise, ma non disse niente.
– Sapete una cosa? – gli dissi con complicità – Sono anni che vivo in campagna … ma non ho mai fatto pipì all’aperto … qua fuori, dico … –
Don Liborio rise sinceramente: – Ah signora mia, e che ci vuole, voi vi fate un problema che non esiste. –
– Sapete che cos’è? Sono troppo abituata a farmi il bidet, dopo … –
Il povero vecchio, del tutto impreparato a tanta confidenza, trasalì, non riuscendo a trovare niente da rispondere alla mia sfrontatezza.
Mi ero eccitata ormai.
I pensieri libidinosi che mi avevano invaso la testa, le curiosità morbose su quel povero vecchio, mi avevano catapultata in un mondo di fantasie erotiche.
Giocai la mia carta … ero decisa a vedergli il cazzo, il pensiero della sua probabile astinenza, mi faceva uscire di senno.
– Vi accompagno. – dissi, seguendolo dietro la casa. Poi, più diretta e un po’ troia, dissi con fina ingenuità – Mi avete fatto venire proprio la curiosità, vorrei farmi passare lo sfizio … me lo fate un favore? –
Il vecchio era nel pallone, non riuscì a darmi una vera risposta.
– Volete farmi la guardia? – dissi complice e sorridente –Voglio fare la pipì, voi vedete se viene qualcuno? Tanto … non ho vergogna di voi, potreste essere mio padre … –
Don Liborio non capiva più niente. Era talmente confuso che non sapeva nemmeno se facevo sul serio, non sapeva se lo stavo trascinando in un brutto scherzo oppure no.
Non si aspettava nulla di quello che gli stava succedendo: era frastornato.
E quella sua, sincera, confusione fu la molla che mi diede la forza di essere più esplicita di quanto non lo fossi mai stata … in genere sono abbastanza passiva, sessualmente. Tanto … a che servirebbe industriarmi troppo?
Sin da ragazza, sono sempre stata abbastanza bella da dovermi più difendere dalle voglie di un uomo, che dal manifestargli le mie.
Insomma, se cercavo la possibilità di fare sesso non me ne mancava l’opportunità.
La sua ingenuità lo rese innocuo e indifeso, ai miei occhi.
D’altro canto ero più che sicura che l’uomo non avrebbe mai parlato di quella strana avventura. Non era un pagliaccio da osteria.
– Dove mi metto? – dissi, con la stessa ingenuità di una poppante.
Ero stata talmente diretta da fugare ogni dubbio in don Liborio, che ormai alla mia mercé, mi indicò, meccanicamente, uno spazio dietro un basso cespuglio di rose.
Con disinvoltura, essendo ormai eccitata, mi spostai di poco, nella direzione da lui indicata, ma feci bene attenzione da restare abbastanza in vista per il mio vecchio “amico”.
Cercai un cantuccio dove la terra era abbastanza piana da permettermi di effettuare la mia minzione senza rotolare sul terreno, dopotutto, ero ancora in tacchi e tailleur.
Caricando molto i miei gesti e facendo tutto molto lentamente, mi alzai la gonna stretta, fino ai fianchi, e mi scoprii il grosso culo bianco, abbassando le collant, fino alle ginocchia … ma non bastava … provai ad abbassarmi ma con le calze strette rischiavo di perdere l’equilibrio.
Don Liborio era sbiancato, guardandomi da dietro, a parte lo spettacolo a cui non era preparato, dovette credere che ero pure senza mutandine.
Probabilmente non aveva mai visto una donna in perizoma davanti a se.
Calai giù piano piano anche quello, il filo nero scendeva lungo le mia cosce chiare, sottolineando le mie forme e mandando il povero vecchio in visibilio.
Il posto che avevo scelto, per farmi vedere meglio dal vecchio, era lontano da ogni appiglio … non un solo ramo per tenermi con la mano.
Allora divenni ancora più sfacciata, rischiando anche di offendere il malcapitato.
L’età c’era. E se era impotente … oppure aveva subito qualche operazione?
Alle persone anziane succede.
– Don Liborio – dissi a bassa voce – mi date una mano? Io qua cado sicuro! –
Lui si avvicinò, guardandosi nervosamente intorno … probabilmente aveva più vergogna per lui che per me.
Mi tenni alla sua mano, in precario equilibro, e finalmente lasciai sgorgare la mia abbondante pipì, acuita anche dal freddo che comunque iniziava a farsi sentire.
Il vecchio trovò la forza di sussurrare solo queste parole:
– Madonna mia, madonna … signò, vuje me fate morì, a me! –
– Ma no, perchè? Voi siete così bravo. – finsi una grande ingenuità – adesso mi asciugo e abbiamo finito, va bene? Tenete un fazzoletto pulito? –
Come un automa, prese il fazzoletto pulito, dove si era asciugato le mani poco prima, e me lo porse, ma io, infoiata e non paga, mi voltai verso di lui col sedere e chinandomi in avanti dissi:
– Potete asciugarmi voi, don Liborio? Io ho paura di inciampare nelle calze. –
Il vecchio balbettò qualcosa, ma si decise e, con grande delicatezza, mi tamponò la vagina con la stoffa.
Standogli abbastanza vicino, potei costatare ciò di cui ero già certa, conoscendolo: era un uomo pulito e non puzzava.
Eccitata come mi ritrovavo, probabilmente, non mi sarei fatta troppi scrupoli … ma il fatto che, qualsiasi cosa sarebbe successa, mi trovavo in compagnia di un uomo pulito, mi rincuorava e mi faceva sentire libera … a mio agio.
– Signò, perdonatemi … io … forse è meglio che me ne vado! – sudava e quasi incespicava sulle parole – Non mi fate fare nu’sproposito! Io vi rispetto … –
– Ma lo so, lo so … voi siete un angelo. – dissi.
In quella assurda situazione, nel boschetto di pomeriggio, io ero di fronte al vecchio contadino, e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, tenevo giacca e top di sopra , mentre di sotto, ero nuda e discinta, come mamma mi ha fatto.
La gonna accartocciata in vita, lasciava alla vista dalla vita in giù.
Lui mi guardava la vulva, che io depilo solo ai lati, mentre al centro la lascio naturale, con la folta peluria castano scuro.
Sembrava una conchiglia scura, un riccio di mare … forse, e spiccava nettamente sulla mia carnagione molto chiara.
Lungo le gambe, collant e mutandine che mi impedivano un poco nei movimenti.
Come se fosse la cosa più naturale del mondo, gli presi la mano, senza far parola e me la infilai sotto la maglietta, facendo venire le sue dita a contatto col seno, enorme e morbido.
Toccare la mia pelle delicata lo fece trasalire, cercava di dire qualcosa, ma ormai era in mia completa balia.
– Restiamo cinque minuti, si sta ancora cosi bene … – parlavo per stemperare la tensione, le mie guance ormai erano di fuoco, per l’eccitazione ma anche per un po’ di vergogna, dopotutto stavo veramente esagerando.
Don Liborio, non più padrone dei suoi sentimenti, si strinse a me, abbracciandomi in maniera grossolana e impacciata.
Mi teneva il seno, poi mi toccava la pancia, le sue dita erano forti e ruvide; sentii la sua forza e la sue decisione: quando mi strinse la vulva, come si spreme un limone … mi fece trasalire.
– Voi siete vedovo, è vero? – dissi, pur di fare finta che niente fosse … non so cosa mi aveva preso, una specie di frenesia folle.
Intanto gli aprii il pantalone, un vecchio jeans con i bottoni di plastica, ma sotto portava un’altra difesa … poverino. Certo, a stare sempre all’aria aperta, doveva riguardarsi: infatti indossava, di sotto un pantalone grigio, leggero, certamente un vecchio pigiama.
Non oppose resistenza, quando gli tirai giù anche quello, con una certa decisione.
Aveva le mutande bianche, gli slip che, in vita mia non avevo mai visti indossati.
Ero sorpresa che esistessero ancora.
Erano di cotone a coste e portavano una cucitura ribattuta, triangolare; un lato era aperto, per permettere la fuoriuscita del pisello.
Non mi fermava più niente, in quel momento, poteva indossare anche la minigonna ero decisa a trovare il suo cazzo, nonostante il cumulo di panni che lo ricopriva.
Non volevo niente di particolare … la mia frenetica ricerca aveva un solo scopo primario, esaltante: volevo vedere che effetto avevo fatto a quel vecchio. Volevo vedere come manifesta il piacere che gli donavo.
Che libidine!
Don Liborio ormai affannava. Aveva gli occhi socchiusi e biascicava qualcosa tipo:
– Bella, che bella che siete … – intanto, goffamente, si muoveva a s**tti, cercando, a modo suo di accarezzarmi, tutta.
Sussultò, per poi bloccarsi subito dopo, quando si accorse che la mia mano, senza vergogna, cercava di intrufolarsi sotto l’elastico delle mutande.
Trovai la pelle rugosa e liscia dell’inguine, poco tonica, poi, seguendo i peli arruffati e caldi, trovai la radice del suo pene.
Era molliccio, barzotto, ma pulsava e tendeva a gonfiarsi.
Lui si riprese e tornò a martoriarmi le zinne, arrancando sui capezzoli turgidi, mentre io cercavo di prendere dimestichezza con quel suo arnese.
Non poteva essere duro, poverino, schiacciato com’era, e a testa in giù.
Glielo scorsi tutto, con la mano appiattita, che si intrufolava in profondità, tra le gambe dell’uomo.
Quando gli catturai il glande, abbastanza spropositato, lo trovai bagnato di smegma tiepido e succoso. La scoperta mi fece rabbrividire, lanciandomi nel corpo fitte di piacere, che mi facevano piegare su me stessa.
– Controllate che nessuno ci possa vedere – gli intimai, visto che non avevo alcuna intenzione di portarmelo in casa … volevo gustarmelo tutto, quel rapporto bucolico … Già sognavo di essere presa e sbattuta, senza riguardi, come faceva il “signorotto” di turno, tanti anni fa.
Ci spostammo ancora più dietro al grosso castagno e io mi abbassai di nuovo, cercando di non cadere. Mi aggrappai ai pantaloni del vecchio e gli tirai tutto giù, lasciandolo nudo, di sotto, con le sue gambe abbastanza glabre e magre.
Tra le cosce, alla luce del meriggio inoltrato, una massa molto scura, attraeva tutto il mio interesse e la mia libidine.
Il suo cazzo era cupo e per niente piccolo, solo non era in erezione totale, oscillava, libero, come una proboscide a ogni piccolo movimento del vecchio.
Però la cosa veramente grande era lo scroto … io non ero mai stata con un uomo anziano e non potevo saperlo, aveva le palle grosse, in una sacca rugosa, testa di moro, sembrava una sacca di cuoio … l’immagine era magnetica, aveva qualcosa di osceno che, però, mi attraeva … un certo fascino del peccato, del proibito.
Non mi ero mai sentita tanto trasgressiva.
Inoltre, e quel pensiero mi cadde addosso come una valanga in montagna, era la prima volta che vivevo da sola una mia iniziativa sessuale.
Mio marito non ne sapeva niente, non lo poteva nemmeno immaginare.
Era la prima volta, in venti anni che lo tradivo, in realtà.
Glielo avrei anche confessato volentieri ma tutto era successo così in fretta … come avrei potuto?
Ero certa che l’uomo non subisse un pompino chissà da quanto … forse era solo una mia illazione, ma mi piaceva pensarlo.
– Si sta facendo scuro – dissi, senza particolare motivo, giusto per non fare tutto in silenzio, don Liborio era un automa nelle mie mani e non profferiva un pensiero compiuto da oltre un quarto d’ora.
Puntellandomi bene gli presi in mano tutto il pacco e me o tirai verso le labbra.
Ebbi la netta sensazione che il vecchio cercasse di evitarmi, forse era troppo sorpreso per credere che tutto quello stesse succedendo veramente.
La sua titubanza mi rese ancora più accanita. Mi avventai sulle sue gonadi, succhiando e arrancando, decisa a prendergli in bocca una di quelle grosse, morbide, palle.
Ci riuscii.
I peli bianchi del vecchio erano umidicci e odoravano di maschio.
Dopo una gustosa leccata, mi dedicai alla sua asta, che, attimo dopo attimo, diventava sempre più rigida e imponente.
Don Liborio doveva aver avuto un cazzo notevole, da giovane.
Me lo indirizzai tra le labbra e gli presi il glande in bocca, succhiandolo con veemenza.
Lui mi stava cadendo addosso e dovette aggrapparsi alla scala. Stringeva le gambe e cercava di sottrarsi, involontariamente, probabilmente era per la goduria.
– Signò che mi fai, mamma mia … che mi fai. –
Non potevo né volevo rispondere. Vista la sua reazione spropositata, mi dedicai anima e corpo al bocchino, cercando di portare don Liborio alle stelle.
Quando riuscivo a prenderlo quasi tutto in bocca, lui si piegava sulla pancia, come se dovesse pisciare e non riuscisse a trattenersi.
Lo stesso io, non riuscivo a fermarmi, ero molto eccitata e mi strusciavo, frenetica, le dita sulle grandi labbra, incapace di resistere alla voglia di trastullarmi.
– Tra poco ve ne dovete andare, facciamo presto. – gli dissi liberandomi la gola – Riuscite a venire? Volete venire? –
Capii che affermava, ma era troppo sperduto nella sua estasi, per rispondere in maniera sensata; allora mi alzai e cercai di portare a termine l’accoppiamento prima possibile.
Era tardi. Era rischioso … e, infine, non sapevo il vecchio che tempi avesse, poteva pure metterci ancora mezz’ora.
Non mi andava di lasciarlo andare via a bocca asciutta poverino, chissà da quanto non scopava; ma neppure mi andava di menarglielo in tutti i modi pur di farlo arrivare. Sarebbe diventato noioso e seccante: non era mica andato a puttane, dopo tutto.
L’albero che ci faceva da paravento, verso la casa e il resto del giardino, aveva una comoda sporgenza: era lo spezzone di un ramo potato chissà quanti anni prima.
Mi ci accostai e usai quello spezzone per ancorami con la mano, così, potei mettermi a 90°, considerando che era la posizione migliore per gestire l’introduzione del suo pene e, dopotutto, eravamo così precari, là fuori, che non è che ci potessimo permettere grandi performance.
Tutti quegli arzigogoli mentali, su luogo e posizioni, le poche parole scambiate con lui, senza amore, senza trasporto ma solo con l’obiettivo, preciso, di fare una porcata con un vecchio laido, mi rinvigorirono il piacere. E ricaricavano di umori la patatina.
“Ottimo, pensai, fradicia come sono, il cazzo dovrebbe scivolarmi dentro facilmente.”
Guardai con attenzione il membro di lui, che era al mio fianco. Si masturbava aspettando, compostamente, il suo turno.
Riflettei un attimo e capii tutta la situazione: don Liborio era stato un superdotato, negli anni d’oro. Ora, con l’età, il sangue non aveva più la stessa forza e, nonostante fosse gonfio come un palloncino, non era molto duro.
– Venite dietro! – gli ordinai e lui eseguì, senza dire una sola parola.
Mi puntò subito il glande in figa, ma quando premeva per entrarmi dentro, il suo pene si piegava. Mi impossessai della punta del cazzo, con la mano libera, e, da sotto, con le dita cercai di pressarlo tra le mie grandi labbra.
Lo mollai di nuovo, mi riempii la mano di saliva e me la ripassai in figa per essere lubrificata al massimo.
La mia cosina era per natura molto stretta, purtroppo e, se un cazzo non era bello, consistente, non era facile introdurcelo; mi era già successo.
Ricominciammo ad armeggiare: io col glande che forzavo l’apertura e don Liborio, che si teneva il lungo bastone con due mani, stringendolo come un capitone, per non farlo sgusciare via.
“Ecco, ci siamo” pensai, quando finalmente, avvertii il suo ingresso nella mia natura.
Piano piano don Liborio, forzando e spingendo molto lentamente, s’intrufolò in me, col suo lungo serpente gonfio e mi possedette.
Dopo alcuni secondi mi era dentro fino ai coglioni, il cui contatto, mi diede un rovente piacere, che mi attraversò fino alla nuca.
Avevo la pelle d’oca, e non per il freddo della sera, ve lo assicuro.
Il vecchio, ora che comandava e fotteva, si bloccò dentro di me. Per non rischiare di uscire dalla vagina, non chiavò, piuttosto, esercitava dei piccoli movimenti sussultori,
delle piccole spinte, aiutandosi con le mani che mi avevano bloccata per i fianchi.
Sentirmi tutta riempita da quel coso che sussultava mi portò a un lungo stato d’estasi.
Quando il vecchio, raggiunto un ritmo che gli confaceva, con una mano si spinse in avanti per cercarmi le poppe, gliele liberai dalla maglia e dal reggiseno, per evitare che mi rovinasse gli indumenti.
Ora eravamo nel giardino … compivamo l’antica copula in mezzo al verde. In mezzo alla natura, fredda, di dicembre.
In modo discinto, in totale abbandono, mi lasciavo chiavare da quel poveretto che non vedeva una figa da anni. Mi toccava con bramosia il culo e poi, quando ci riusciva, si aggrappava a una delle tette, che ballonzolavano sotto i colpetti di cazzo che mi imponeva.
Don Liborio aveva le gambe un po’ piegate per mettersi al meglio a favore della mia vagina spalancata. Quando mi accorsi che l’eccitazione gli aveva reso il cazzo estremamente più duro, quando ne sentivo la presenza viva fino alla pancia, i movimenti del vecchio diventarono più virili e, anche se per poco, iniziò a chiavarmi veramente.
Era pur sempre un uomo muscoloso e sano. Si rizzò sulle gambe e cominciò a stantuffare come un toro sulla giovenca.
Tirava, annaspava e chiavava. Dopo nemmeno due minuti, soffiando dal naso, si irrigidì, gemendo, e allora capii che stava per sborrare.
Me lo tolsi dal corpo mentre già le prime gocce di sperma mi irroravano la figa, ma non rinunciai a voltarmi e a prendergli il cazzo in mano …
Volevo vederla e sentirla la sua sborra, alla fine, tutto quello che era accaduto, era frutto della mia curiosità riguardo a come sarebbe venuto il vecchio contadino.
Lo sperma gocciolava a fiotti, come spinto da pulsazioni, era bianco, diafano, mi sembrava molto liquido rispetto a quello denso e appiccicoso di mio marito.
Ero in estasi, tenevo il cazzone con una mano e le sue palle nel palmo dell’altra.
Lo presi in bocca.
La sborra usciva ancora. Succhiai, ne ricevetti ancora in bocca, sulla lingua.
Il sapore del suo sperma era più o meno il solito, mentre l’odore era meno penetrante.
Mentre mi accanivo, sovreccitata, con la figa gocciolante, non feci caso al poveretto, che per poco non mi sveniva addosso, dal piacere e dalla stanchezza.
Si aggrappò all’albero per tenersi in piedi.
– Mamma mia, mamma mia … signò! – mormorava – Signò, non mi tengo, non mi tengo … –
Non capii. Ero troppo intenta a succhiare il pene molliccio ma piacevole; mi resi conto del suo avvertimento solo quando un fiotto salato mi invase la bocca: arretrai.
Ecco cosa voleva dire, il poveretto stava pisciando e proprio non riusciva a trattenerla.
Non mi arrabbiai, non volevo mortificarlo.
Mi alzai subito e, messami di fianco, gli tenni il pisello per tutta la sua lunga pisciata, divertendomi a indirizzare il suo cazzo a destra e a manca.
– Vado dentro, don Libo’ … s’è fatto tardi. Buonaserata! – in un attimo mi ricomposi e lo lasciai là fuori, a riprendersi, nell’oscurità della sera, incombente.
Arrivata a casa, davanti allo specchio mi resi conto della devastazione del mio abbigliamento.
La maglietta era sporca di sborra, ancora umida, le calze si erano sfilate in più punti e il tailleur era tutto stropicciato.
Ma ne era valsa la pena.
Non mi potei permettere di venire a mia volta, come mi piace fare, s’era fatto veramente tardi.
Però, la notte, tentai il tutto per tutto e quando mio marito, completamente ignaro del mio tradimento, arrivò a letto, lo aspettavo tra le lenzuola, completamente nuda.
Lui percepì subito il mio messaggio e lentamente iniziò a carezzarmi, delicatamente.
Nascosta, dietro la schiena, tenevo la maglietta nera intrisa di sperma.
Appena sarebbe stato più eccitato, gliel’avrei mostrata per raccontargli questa storia, così come l’ho appena confessata a voi.
Che ne dite, mi perdonerà?
FINE