Le mie storie (46)

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Le mie storie (46)
Martedì scendo al centro di Napoli per lavoro, quando torno all’ufficio manca poco all’una. Mi arriva un messaggio sul cellulare “sei libera a pranzo? Mia moglie mangia dalla sorella, io non torno a casa, ci vediamo?” Sono stanca, camminare sui tacchi non è proprio il massimo per me, ma, per quanto strano possa essere, questo rapporto al momento è l’unica cosa che mi fa un po’ rilassare. Gli rispondo “vienimi a prendere allo studio all’1:15” mi risponde con una faccina sorridente. Sono nella mia stanza, mi do una rinfres**ta nel bagno, poi esco. Indosso il solito tailleurs da ordinanza, che metto sempre quando devo andare negli “uffici”: giacca e gonna blu, camicetta bianca, scarpe con il tacco (8 cm non di più), autoreggenti, mutandine e reggiseno di cotone bianco comodi come nient’altro. Puntuale come un orologio svizzero, mi squilla il cellulare che mi annuncia la sua presenza sotto al portone. Saluto i colleghi e scendo per la pausa pranzo (che dura due ore). Attraverso la strada ed entro in macchina; lui è dentro e si scusa per non avermi aspettato fuori ma sentiva freddo. Nella sua auto fa un caldo estivo, vedo il climatizzatore che segna 28°, mi tolgo subito la giacca e l’appoggio indietro. Non faccio neanche in tempo a girarmi che sento la sua mano sul culo che mi dà una ravanata. “Buongiorno” gli dico sorridendo, lui ricambia e mi bacia sulle labbra. Finalmente mi siedo comoda mentre la macchina è già in movimento. Gli chiedo dove andiamo e lui mi risponde che vuole stare un po’ in intimità. Io però ho fame, quindi ci fermiamo da McDonald a prendere due panini e poi ripartiamo. Imbocca la tangenziale e poi esce verso Agnano. Prende delle strade secondarie, a me totalmente sconosciute, poi dopo un quarto d’ora di cammino nel nulla, si ferma in uno spiazzo enorme, completamente isolato con il mare sullo sfondo. Io comincio a mangiare il mio panino, lui invece insinua la mano tra le mie cosce. Gli dico di aspettare, ma non ce la fa, cerca di mettermi le dita nella micia ma io lo allontan dicendo di avere pazienza. Arriviamo ad una sorta di compromesso, che consiste nella sua mano che accarezza l’interno della mia coscia mentre con l’altra mangia il panino. Io intanto finisco, prendo un paio di crocchette e poi, con un po’ di difficoltà mi divincolo ed esco dalla macchina per vedere il panorama. Siamo in piena campagna, mi guardo intorno e non vedo anima viva, il mare sullo sfondo completa la meraviglia di posti che se solo venissero “sfruttati turisticamente” potrebbero fare le fortune del sud d’Italia. Lui mi chiama in macchina infreddolito, effettivamente non ha tutti i torti, la temperatura è piuttosto rigida. Entro e mi viene incontro cominciando a baciarmi. Mi tolgo anche la giacca del tailleurs mentre lui si fa largo tra i bottoni della camicetta e con la mano mi agguanta una tetta. Io gli apro il pantalone e comincio a menargli l’uccello. In breve diventa bello duro pronto per la mia bocca. Mi abbasso su di lui che contemporaneamente reclina il suo sedile. Comincio a succhiarglielo; è profumato come non mai, ogni tanto mi fermo a guardarlo, ci gioco con la lingua poi ritorno a prenderlo tutto in bocca, fino in fondo. Comincio a sentire l’umido sulla sua cappella, così mi aiuto con la mano e lo faccio venire. Lui gode parecchio, io mi raddrizzo e mi riposo un po’, dopo tutto non ho più l’età per certe cose in macchina. Passano una decina di minuti, poi apro la portiera e comincio a raccogliere un po’ di cartacce finite ai miei piedi; lui è ancora steso, con il pantalone aperto, la mutanda abbassata e l’uccello a riposo. Mi sporgo fino a sotto il volante, ci sono patatine anche lì, poi metto la mano sul suo ginocchio e mi rialzo. Lui mi guarda e con gli occhi mi indica il suo membro. Mi mordo le labbra e con la mano comincio ad accarezzarglielo; poi lo impugno e comincio a muoverlo su e giù. La portiera dal mio lato è aperta, il vento soffia sul mio sederone e si insinua fin sotto la gonna e le autoreggenti come a volermi gelare la patata. Intanto il suo uccello diventa sempre più grande sotto i miei movimenti, fino a rimanere diritto da solo, bello e maestoso. Lo guardo, lo accarezzo, mi sto per avvicinare nuovamente con la bocca quando lui mi fa “aspetta resta così!” Si alza, apre la sua portiera, la richiude velocemente, comincia a girare intorno alla macchina con il pantalone sceso e l’uccello di fuori; poi arriva dietro di me, mi solleva la gonna mi abbassa la mutanda e comincia a scoparmi a pecorina. Le mie chiappe sentono il freddo che si alterna alle spinte del suo bacino, comincio a godere come non mi era successo prima, poi vengo e poco dopo lui mi segue esplodendomi sulla schiena e pulendo la sua cappella sulle mie natiche. Poi si alza il pantalone e velocemente ritorna al posto di guida. Io esco dalla macchina, prendo un tovagliolino di quelli umidificati, mi tolgo dalla schiena e dal culo il suo sperma e mi riordino. Rientro in macchina anche io infreddolita, accendiamo l’aria condizionata e ripartiamo. Lui si riscalda la mano destra fra le mie cosce per tutto il tragitto del ritorno, io lo lascio fare eccitata. Arrivati sotto il mio posto di lavoro, ci salutiamo senza darci un appuntamento… dopo tutto fare l’amante vuol dire anche questo.

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