“Dottore, Mi Può Aiutare?”

“Dottore, Mi Può Aiutare?”
Avevo soltano sedici anni allora. I miei si erano separati da circa sei mesi ed io vivo con mia madre in una casa nuova, poco distante dalla casa che era rimasta a mio padre e nella quale lui poi aveva iniziato a convivere con un’altra donna. Di tanto in tanto, nei weekend trascorrevo del tempo con loro due, che per assicursarsi la mia benedizione, mi coccolavano e viziavano come meglio potevano.
Mia madre invece continuò ad essere single per ancora un pò. Diceva di non sentirsi pronta ed io potevo sopportare già poco un’altra donna con mio padre, non avrei mai sopportato un altro uomo con mia madre.
Eppure non potevo lamentarmi, vivo due famiglie, vivo tutto raddoppiato. Ero serena, nonostante tutto.
Un giorno, per problemi di ritardo mestruale, mia madre mi costrinse, letteralmente, a recarmi dal suo ginecologo di fiducia, quello che l’aveva accompagnata nel periodo in cui era incinta di me.
Per privacy, dirò solo il suo nome, Alberto.
Dopo due ore di attesa, finalmene potemmo entrare nel suo studio, ben arredato con gusto e sobrietà.
Il dott. Alberto era un uomo particolare, non molto più grande di mia madre, godeva della simpatia di chiunque; rideva e faceva ridere. Metteva allegria sempre, in qualsiasi situazione.
Quel giorno mia madre gli spiegò che erano due mesi che il mestruo non arrivava e lui, annuendo pensieroso, si voltò verso di me, mi fece qualche domanda.
Routine.
Domande a cui rispose con tranquillità.
Dopo qualche altro scambio di battute con mia madre, disse: “Signora, non si preoccupi.”
Si alzò, allontanandosi dalla scrivania e dirigendosi verso una porta nello studio.
“Se permette ora le darò uno sguardo, quantomeno superficiale.”
Allungò la mano, facendo segno di entrare nell’altra stanza.
Mia madre rimase seduta, attenendo la fine della visita.
Entrai nella saletta, dove il dott. Alberto sorridendo mi rassicurò, prima di chiudere la porta alle sue spalle: “Non poreccuparti, sono formalità.”
Si avvicinò al lettino intimandomi di spogliarmi.
Avevo sedici anni, ormai ero una ragazzina, formata; portavo una seconda di seno, con il sedere abbastanza in vista, i capelli castano chiaro che scendevano morbidi sulle spalle e gli occhi nocciola. Ero cresciuta e abbastanza imbarazzata.
Annuì alla sua affermazione e con qualche titubanza, sbottonai il pantaloncino, accompagnandolo verso i piedi per poi sfilarlo.
Sollevai lo sguardo incontrando il suo. Divenni rossa e lui sorridendo si voltò, cercando qualcosa in un cassetto.
Ne approfittai per abbasarmi le mutandine.
Quando mi avvicinai al lettino, lui disse: “Perfetto, stenditi.”
Mi distesi, attendendo sue ulteriori indicazioni, ma stavolta non disse nulla, semplicemente mi allargò le cosce per iniziare ufficialmente la visita.
Con leggermente la testa sollevata, riuscivo a vedere mentre osservava la mia figa, la scrutava

attentamente e molto professionalmente.
Decisi di rilassarmi, appogiando la testa al cuscinetto del lettino. Quando le sue dita, ricoperta dalla gomma dei guanti, toccarono le labbra della mia passera, sobbalzai. Non ero mai stata toccata lì.
“Tranquilla.” mormorò a bassa voce e con un energico sorriso sul volto.
Mantenni la calma, rimasi sdraiata ad aspettare, fino a quando, si voltò, spostando il peso del corpo su un lato per osservare meglio.
Fu allora che lo notai, il rigonfiamento nei suoi pantaloni, visili dal camice sbottonato.
Senza che me ne accorgessi iniziai a sbrodolare e lui se ne accorse.
“ehi ehi signorina.” disse.
Divenni rosso fuoco, lui sorrise e si strappo via i guanti sorridendo: “Non credo tu abbia nulla di preoccupante.”
Mi lasciò in quella stanza mentre lui tornava da mia madre. Mi vestii e li raggiunsi.
Quando tornai a casa ero confusa, soggiogata da quel tocco e da quel gonfiore.
Mi capitò di ripensarci più d’una volta nei giorni a venire. Al punto che un giorno decisi che dovevo fare un tentativo.
Mi presentai allo studio, nello spacco per il pranzo. Supplicai la segretaria di farmi entrare perchè dovevo comunicare qualcosa di urgente.
Stanca delle mie suppliche, la donna mi lasciò passare.
Bussai alla porta due, tre volte. Poi lui aprì.
“Dottore, posso parlarle?”
“E tua madre?”
“No, non c’è devo solo chiederle una cosa.”
Entrai, avvicinandomi alla scrivania a cui lui dopo poco giunse.
Si sedette di fronte a me, aspettando una mia parola: “Allora?”
Non sapevo esattamente per quale motivo fossi lì, ma sapevo cosa sentivo: in un battito di ciglia, percepii del bagnato nelle mutandine, ero così scossa che ci volle un attimo. Mi alzai e mi avvicinai a lui dietro la scrivania.
“Cosa c’è?” insistette lui.
Gli afferrai una mano e me la portai sulla t-shirt all’altezza del seno destro.
Rimase di sasso.
“Ma che cavolo…”
Non gli lasciai terminare la frase che portai la mano sotto la gonnellina.
“Sembra che stia pisciando nelle mutande.” dissi volgarmente.
Il caro dott. Alberto per quanto simpatico e professionale, era pur sempre un uomo e non riuscì a fare resistenza nei confronti di una ragazzina volgare con la passera bagnata.
Mi sedetti a cavalcioni su di lui avvicinando il seno alla sua bocca: “Ho un altro problema.”
Pose le mani sui miei fianchi e chiese: “quale?”
“Sento il tuo cazzo sotto che chiede di uscire ma la mia patatina è ancora vergine…come si fa?”
Alberto sorrise: “Sei davvero una ragazzina molto cattiva.”
Sorrisi anche io, e scivolai a terra con delicatezza, tra le sue gambe. Gli aprii la patta dei pantaloni guardandolo fisso negli occhi. Aveva uno sguardo languido e bramoso.
Il cazzo balzò fuori dai boxer in un istante e con maestria inizia a leccarlo alla punta.
Sentivo la passera di fuoco e mentre lo presi tutto in bocca, mi afferrò i capelli: “Ingoialo!”
Lo spompinai per un pò, leccandogli le palle piene di sperma. Il cazzo gli divenne di pietra e abbastanza grosso da rendermi difficile il pompino.
“Che puttanella.”
Sorridevo ad ogni sua parola, percependo il gusto di quel pisello.
Quando fu abbastanza duro mi aiutò a sedermi sulla scrivania, e con violenza mi sollevò la gonna, spostando le mutandine.
Le sue mani, stavolta nude, toccarono il clitorise, provocandomi brividi ovunque.
Con la lingue iniziò a stuzzicarmi tutta, fino a succhiarmi il grilleto avidamente.
Ero completamente fuori di me mentre lui mangiucchiava la passera.
Quando sentii il suo dito far pressione sull’entrata, lo fermai: “Aspetta.”
“Non preoccuparti…”
Lo lasciai fare, mentre il dito mi accarezzava e pressava la passera.
presto sentii la sua cappela che mi accarezzava le labbra.
“Porca eva, io…” non ebbi il tempo di continuare che con una spinta mi conficcò il cazzo in figa. Diedi un pugno sulla scrivania per il dolore.
Il sangue scorreva sulle cosce e sui fogli sotto di me sulla scrivania.
Prima lentamente, poi velocemente iniziò a scoparmi.
“Puttana, hai una figa così calda.”
Io ero in trance.
“Ohhh così giovane e così puttanta.”
Non riuscivo a rispondere.
“Brava, zitta lasciami spaccarti questa fighetta.”
Mi sollevai per vedere la scena: quel cazzo duro come il marmo entrava e usciva dal mio corpo velocemente.
“No, giù”
Mi spinse con la schiena dritta sulla scrivania, bloccandomi il viso con la mano destra mentre continuava a scoparmi.
“Devi stare ferma, puttana!”
Rimasi ferma e in preda ad un’eccitazione impensabile. Iniziai ad ansimare.
“Brava la mia puttanella, dimmi che ti piace.”
Annuì.
“No parla.”
“Si…”
“Dillo!” proseguì
“Mi piace il tuo cazzo.”
Si avvicinò con il petto a me e mi succhiò le labbra mentre continuava a stantuffarmi sempre con la stessa forza.
“Adesso vieni.”
Si allontanò per sedersi e mi aiutò a sedermi su di lui. Non gliene fregava un cazzo del sangue, voleva solo scoparmi ed io godere.
Mi sedetti sul suo cazzo mentre lui mi prese i seni tra le mani liberandoli dalla t-shirt e dal reggiseno.
“Salta sul cazzo.”
Iniziai a saltellare con foga.
“Si, bravissima. salta. scopa il cazzo.”
ansimai forte.
“Ti spacco il culo dopo.”
Mi strinsi a lui portandogli il capezzolo in bocca, lo succhiò.
“Si, lo voglio anche in culo”
gemeva, sentivo il cazzo pompare dentro di me.
“Puttana eva devo sborrare.”
Mi sollevò, uscendo dalla figa e mi girò, facendomi appoggiare sulla scrivania.
Afferrò i capelli e tornl a scoparmi.
stringevo le carte sotto le mani, mordevo la lingua per non urlare.
“Merda merda.”
Era quasi pronto, ed anche io.
Mi stantuffava come un dannato, io irriggidii le spalle e trattenni il respiro: “cazzo!”
Dopo qualche secondo, tirò a se ancora di più i miei capelli, spingendomi a terra, per poi spruzzarmi lo sperami in viso: “Ingoia, prendi.!”
Lo ingoiai, dopo un attimo di esitazione.
“Sii, puttana. prendi.”
Gli ripulii il cazzo, con la lingua mentre lui mormorava: “mi ha svuotato le palle completamente.”
Gli sorrisi, ancora in ginocchio, con il viso sporco della sua sborra e la figa sporca della mia.
Avevo solo sedici anni, ero diventata una donna

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